Un’analisi normativa e di sistema sull’impatto in ambito concorsuale della nuova disciplina sulle vendite telematiche. Una riflessione sugli spazi applicativi del D.M. n. 32/2015 in rapporto alle peculiarità della liquidazione fallimentare riformata e al rinnovato ruolo del curatore.
A regulatory and system analysis on the impact of the new regulation on telematic sales in the context of insolvency. A reflection on the application spaces of the D.M. n. 32/2015 in relation to the peculiarities of the reformed bankruptcy liquidation and the renewed role of the curator.
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1. Il quadro normativo di riferimento - 2. L’obbligatorietà della vendita con modalità telematiche - 3. Il travaso dell’“obbligatorietà” delle vendite telematiche in sede concorsuale - 4. Un “focus” sulle modalità delle vendite ex art. 107 L. Fall. - 5. La facoltà del ricorso “parziale” alle forme del codice di procedura - 6. Le peculiarità della liquidazione concorsuale “riformata” - 7. I rapporti interorganici nella liquidazione fallimentare e il senso della liquidazione pianificata - 8. Ratio delle vendite telematiche e sistema concorsuale - 9. Il paradigma “esecutivo-individuale” del D.M. n. 32/2015 e la specificità delle vendite fallimentari - 10. Conclusioni - NOTE
La materia delle vendite telematiche è disciplinata, in aggrovigliata sovrapposizione, da norme di rango primario e secondario innestate sull’originaria trama processuale codicistica. Rilevano segnatamente i novellati disposti di cui al 1° comma dell’art. 490 c.p.c., al 4° comma dell’art. 569 c.p.c. e agli artt. 161-ter e 161-quater disp. att. c.p.c. L’art. 490 c.p.c. prevede ora l’inserimento di un avviso sul neoistituito portale del Ministero della Giustizia relative a tutti gli atti esecutivi dei quali debba essere data “pubblica notizia”. La previsione riguarda ciascuna vendita disposta dal giudice o dal professionista delegato, decorsi trenta giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle specifiche tecniche previste dall’art. 161-quater disp. att. c.p.c. Tenuto conto che detta pubblicazione è avvenuta il 20 gennaio 2018, la pubblicazione di cui sopra è divenuta obbligatoria a far data 19 febbraio 2018. In forza dell’art. 631-bis c.p.c. (introdotto dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito dalla L. 6 agosto 2015, n. 132), l’omessa pubblicazione sul portale ministeriale è drasticamente sanzionata addirittura con l’estinzione del processo esecutivo. A tenore dell’art. 161-quater, 1° comma, disp. att. c.p.c., la pubblicazione de qua è eseguita a cura dell’incaricato alla vendita, quindi, segnatamente, del professionista delegato o del commissionario; in mancanza devono supplire il creditore pignorante o l’intervenuto provvisto di titolo esecutivo Le ordinanze emesse dopo tale date dovranno includere nella predeterminazione delle spese a carico del creditore, anche l’importo necessario alla pubblicazione sul portale a cura del professionista. La previsione ex art. 631-bis c.p.c. implica l’inserimento in ordinanza anche di un termine per il versamento da parte del creditore delle spese al professionista, con la specificazione che, in caso di mancato versamento, il professionista sia tenuto a comunicare immantinente la circostanza al giudice dell’esecuzione in funzione della declaratoria di estinzione della procedura. Per le procedure nelle quali l’ordinanza di vendita sia precedente al 19 febbraio, quest’ultima andrà integrata dal giudice dell’esecuzione, salvo non preveda già [continua ..]
Il giudice, con l’ordinanza di delega al professionista ex art. 591-bis c.p.c., statuisce – salvo non sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura – che la vendita abbia luogo con modalità telematiche, le quali dovranno riguardare, tanto il versamento della cauzione, quanto la presentazione delle offerte e, infine, lo svolgimento della gara tra gli offerenti [1]. In particolare, l’opzione telematica viene elevata a “quomodo” obbligatorio di ogni vendita forzata fissata dal giudice o dal suo delegato dal novantesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale d’accertamento della piena funzionalità del portale delle vendite pubbliche [2]. Posto che tale pubblicazione è stata resa il 10 gennaio 2018, il “vincolo” telematico scatterà a far data dal 10 aprile 2018. Ancorché l’obbligatorietà del modello telematico sia acclusa nell’art. 569 c.p.c. che disciplina l’ordinanza di vendita, il che ne suggerirebbe la riferibilità alle ordinanze posteriori al 10 aprile 2018, non anche a quelle emesse in difetto della disposizione sopravvenuta, nondimeno assume dimensione pregnante il tenore della norma transitoria che, menzionando le vendite «disposte dal professionista delegato», postula la vincolatività del canale telematico anche per le vendite già oggetto di delega e, tuttavia, ancora da calendarizzare o rifissare [3]. Peraltro, poiché le modalità di vendita e la selezione del gestore, sono di competenza del giudice, sarà quest’ultimo a dover gestire il “passaggio di conversione”, mediante un provvedimento ad hoc, se del caso a seguito di rimessione del fascicolo da parte del delegato. Ciò detto, il regolamento tecnico per l’espletamento delle vendite con modalità telematiche è contemplato dal D.M. 26 febbraio 2015, n. 32, che attua le previsioni di cui all’art. 161-ter disp. att. c.p.c., norma che affidava al Ministro della Giustizia la fissazione di regole operative per le gare telematiche informate a princìpi di competitività, trasparenza, semplificazione, efficacia, sicurezza, esattezza e regolarità. Il decreto ministeriale in parola ha, peraltro, istituito il registro dei [continua ..]
La prospettiva dell’informatizzazione globale del processo civile (iniziata già con le sperimentazioni del 2001) e di una più ampia apertura dell’universo-giustizia verso gli interlocutori esterni, ha reso fisiologica l’emersione di una doppia necessità: quella di un veicolo unitario di trasmissione e diffusione delle informazioni; quella di un modello omogeneo per la gestione informatica delle vendite. Se uno scopo è immanente nella realizzazione di un punto di accesso on line centralizzato in capo al Ministero della Giustizia è dato scorgere, esso coincide con l’incremento della soglia di efficacia e incisività delle vendite, attraverso una maggiore accessibilità delle informazioni. Se l’istituzione di un’unica area web per le vendite forzate assume per il mercato degli immobili una valenza decisiva, sia in termini di trasparenza che di potenzialità penetrativa, la regola della tendenziale obbligatorietà della vendita telematica, secondo modelli rigidamente scanditi, viene inesorabilmente a misurarsi con la peculiarità delle procedure fallimentari, il che comporta la ridefinizione del suo quadro di incidenza. Prima dell’intervento normativo che ha sancito l’obbligatorietà delle piattaforme telematiche secondo le indicazioni del D.M. n. 32/2015, in sede fallimentare le vendite potevano svolgersi con modalità telematica laddove il programma di liquidazione avesse previsto che alla dismissione dell’attivo si sarebbe proceduto ai sensi dell’art. 107, 1° comma, L. Fall. Se invece il curatore si fosse determinato, ai sensi dell’art. 107, 2° comma, a scegliere una vendita da celebrarsi secondo le disposizioni del codice di procedura civile, la possibilità di procedere per via telematica doveva fare i conti con la mancanza del decreto di cui all’art. 161-ter disp. att. c.p.c. Con la modifica dell’art. 569, 4° comma, c.p.c. il contesto è mutato solo parzialmente. Allo stato, sembra di poter rilevare che, qualora il programma di liquidazione sia redatto facendo applicazione del 1° comma dell’art. 107 L. Fall., non possa farsi carico al curatore dell’obbligo di procedere in modalità telematica, perlomeno secondo la regolamentazione ministeriale da ultimo messa a regime. Specularmente, allorché il curatore [continua ..]
L’art. 105 L. Fall., nella sua formulazione previgente al D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 enunciava la regola generale dell’applicazione alle vendite fallimentari delle disposizioni del codice di procedura civile relative al processo esecutivo. Per i mobili l’art. 106 L. Fall. prescriveva la vendita ad offerte private oppure all’incanto, secondo quanto stabilito dal giudice delegato, mentre per gli immobili l’art. 108 prevedeva la vendita con incanto o senza incanto a norma del codice di procedura civile, innanzi al giudice delegato. La riforma del 2006 ha smantellato questi meccanismi anacronistici, riscrivendo interamente la disciplina delle vendite fallimentari, facendo assumere il ruolo di norma cardine all’art. 107 L. Fall., che statuisce ora: «le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive». Il cambio di rotta è globale: la via è quella della deformalizzazione delle vendite. È in tal senso che, lungi dal fornire una disciplina compiuta e organica delle procedure di alienazione dei cespiti appresi alla massa, il riformatore si è limitato a pretendere il semplice, ma pregnante rispetto di “procedure competitive”. Nel precisare che tutte le vendite fallimentari si eseguono «anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate (...) da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati», l’art. 107, 1° comma, si è incaricato di offrire un’indicazione di principio: sia sempre il curatore a scegliere gli strumenti più duttili, ad adeguarli ad ogni esigenza, a renderli funzionali all’obiettivo del massimo realizzo. Punto. Ovvio poi che, in parte quale concessione alla storia, in parte quale suo retaggio, il riformatore abbia reputato utile mettere espressamente a disposizione della curatela fallimentare il modello operativo sedimentato delle esecuzioni forzate individuali, cui ricorrere ove adatto all’evenienza da gestire. Non è casuale che l’art. 107 L. Fall. non contenga alcun rinvio a norme specifiche dell’esecuzione individuale, al netto dei rimandi correlati all’ingegnoso istituto del pagamento a rate nel breve [continua ..]
La possibilità di avvalersi degli schemi processuali dell’esecuzione individuale e dell’attività del giudice delegato quale magistrato dell’esecuzione concorsuale, è subordinata alla circostanza che tale modalità sia indicata nel programma di liquidazione dal curatore. La ratio della previsione del ricorso all’ausilio del giudice delegato va rintracciata probabilmente in un triplice piano: innanzitutto pesa il retaggio di quasi mezzo secolo di rapporto ancillare tra la liquidazione fallimentare e il codice di rito civile, inoltre, viene in rilievo l’esigenza del legislatore di raffigurare una forma di vendita dotata di una specie di sicurezza, di una competitività “presunta”, di un efficace crisma di legalità; infine, rileva l’opportunità di amministrare in modo progressivo e non repentino la metamorfosi del ruolo del curatore, che da mero esecutore delle direttive del giudice delegato, è divenuto “solista”, tanto scelte liquidatorie, quanto della loro attuazione. La tendenza che ancor oggi si registra e che vede i curatori ricorrere alle norme codicistiche dell’esecuzione forzata combacia, con ogni evidenza, con l’ambizione di scansare ogni responsabilità. Il coinvolgimento del giudice delegato è un ombrello cui è spesso difficile rinunciare. Ma nulla esclude che il ricorso al rasserenante modulo “classico” non obliteri l’occasione presupposta dalla clausola di compatibilità, che sembra, invero, consentire al curatore di seguire anche solo parzialmente lo schema codicistico, ossia di mutuarlo nel programma di liquidazione non in modo rigido, ma alleggerendolo di tutto ciò che appaia sovrabbondante. In quest’ottica, nulla esclude che il curatore decida di disattendere espressamente le modalità telematiche del D.M. n. 32/2015, finanche scegliendo un canale analogico.
Il R.D. n. 267/1942 rispondeva ad una severa ed impietosa coerenza: il debitore che investe corre il rischio del vincere o del soccombere; l’impresa può riuscire o non riuscire; qualora non riesca essa sconta l’espulsione dal mercato, trattandosi solo di monetizzarne gli elementi a soddisfazione ridotta dei creditori. Ovvio che una semplificazione di questo tipo, ragionando secondo una logica a trama storica, era del tutto consona ad un’economia agricola e rurale, nella quale, al più, si trattava di vendere immobili e mobili. Da qui, il risolversi della liquidazione fallimentare in una sorta di dittico assorbente: alienazione forzata immobiliare e alienazione forzata mobiliare. Del tutto coerente, che a tanto bastasse il rimando alle forme dell’espropriazione codicistica. La liquidazione fallimentare riformata attinge adesso una somma di valori economici svariati, attuali e verosimili, pronosticabili e futuri, di cui va ipotizzata e governata la monetizzazione. Tutto è tendenzialmente liquidabile a beneficio della massa: non solo i beni materiali o immateriali, ma i poteri, le azioni, le facoltà, le pretese, i rapporti giuridici considerati in sé o quali strumenti per l’acquisto di altri beni, le aspettative e le situazioni pure di fatto, quindi ciascuna situazione suscettibile di procacciare anche mediatamente un’utilità finanziaria alla procedura concorsuale. La liquidazione fallimentare assurge a fase di sfruttamento dell’azienda, nei limiti del possibile attraverso la sua salvaguardia come going concern o attraverso la valorizzazione delle aggregazioni di beni “rivitalizzabili”. L’attenzione all’impresa e ai blocchi di beni (da liquidare tendenzialmente come tali) rifiuta in nuce gli schemi stereotipati dell’esecuzione individuale. D’altronde, non si tratta più di alienare celermente i singoli beni per distribuire l’obolo immediato ai creditori, ma di porre in “sicurezza” i valori oggettivi e soggettivi per metterne a frutto, più che il prezzo intrinseco degli elementi, il pregio economico che sorge dai loro complessi. Tanto il curatore deve assicurare, tanto il giudice delegato deve pretendere avvenga. Il fallimento smarrisce la funzione di momento meramente satisfattivo – che invece è proprio dell’esecuzione forzata individuale – per acquisirne [continua ..]
La circostanza che l’art. 107, 2° comma, L. Fall. legittimi il curatore a prevedere, nel programma di liquidazione, che determinate vendite siano effettuate direttamente dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di rito non nasconde – secondo quanto si è detto – l’evidenza di tre profili: a) l’impiego delle forme codicistiche è un’opzione e non (più) un passaggio obbligato; b) è facoltà del curatore operare una scelta differente; b) è una possibilità del curatore quella di adattare alle esigenze concrete le rigidità delle forme procedurali esecutive, stante l’espressa riserva di compatibilità. L’obiettivo riformatore appare chiaro: assicurare in capo alla “diarchia” curatore-comitato dei creditori più ampi poteri in sede di “amministrazione esecutiva” ed “espropriativa” e, di conseguenza, allontanare da questa il giudice delegato, ridimensionandolo a organo deputato al controllo della mera regolarità della procedura ed alla soluzione di conflitti. La regia della liquidazione è ora affidata al curatore, che della fase in commento diventa il motore, attuandola nel concerto col comitato dei creditori; costoro da destinatari passivi degli epiloghi della liquidazione diventano titolari del potere di decidere le sorti del patrimonio appreso alla massa [7]. Il giudice delegato ha perduto ogni prerogativa d’impulso condizionante l’attività del curatore; la sua presenza in ambito liquidatorio è ora circoscritta alle fattispecie contemplate dalla legge, in cui il potere autorizzativo preventivo rinviene un margine esiguo, specie se si legge in modo riduttivo la valutazione di conformità al programma di liquidazione di cui all’ultimo comma dell’art. 104-ter. Ora, se il monopolio della liquidazione è ascritto ora al curatore, a norma dell’art. 104-ter L. Fall. detto monopolio va declinato attraverso una capillare pianificazione. Il curatore elabora un programma nel quale compone un disegno globale, fissando a suo grado modalità e termini per la realizzazione dell’attivo. Proprio la scelta della programmazione allontana una volta di più il fallimento dalla disciplina delle vendite telematiche codicistico-regolamentare, atteggiandosi a presa d’atto [continua ..]
Il diffuso incremento delle vendite concluse on line ha indotto il nostro Legislatore a “spingere” su internet anche il mercato delle aste giudiziarie. Certamente, nel contesto delle vendite forzate immobiliari, gli scopi legislativi si compendiano nell’esigenza di evitare le tipiche interferenze e turbative che la presenza fisica degli offerenti all’atto della gara tradizionalmente determina. Detto fine assume, nel contesto delle alienazioni endofallimentari, una dimensione più ridotta, se non recessiva, ove si considerino taluni aspetti alle stesse connaturati: la dismissione di beni attiene nel fallimento, in prevalenza, beni aziendali, aggregati o disaggregati, ossia elementi mobili o immobili che, gravitando attorno ad un’impresa, hanno una consistenza differente rispetto a quella delle abitazioni, ai garage, ai terreni dei privati; la vendita si rivolge per lo più a realtà settoriali se non di nicchia e a soggetti che hanno forma di società e che, in quanto tali, sono maggiormente refrattari, perlomeno in linea di principio, a subire pressioni esterne.
Affinché le modalità di vendita e, a monte le formalità pubblicitarie, prescelte dal curatore possano dirsi adeguate alla tipologia dei beni da dismettere, è imprescindibile un’individuazione casistica delle categorie di soggetti potenzialmente interessati alla vendita, distinguendoli in base a due variabili: la loro ubicazione territoriale e le tipologie di impiego dei beni. Piattaforme standardizzate, che prescindono da tale esame, non consentono di realizzare al meglio l’attivo fallimentare, in quanto possono comportare il mancato coinvolgimento dei soggetti potenzialmente più interessati. Il D.M. n. 32/2015 rivela una fisionomia riprodotta sul calco dell’esecuzione forzata individuale. A porlo in risalto è innanzitutto la previsione del “Registro degli incarichi di vendita telematica”, laddove il riferimento esplicito è alla “procedura di espropriazione forzata mobiliare o immobiliare”. Proprio nell’art. 9 si legge poi un riferimento permeante ed selettivo alla vendita senza incanto, con incanto o tramite commissionario. La medesima norma esige, poi, la comunicazione delle sole vendite esecutive, trascurando ogni menzione di quelle concorsuali. Ad un impianto esecutivo individuale sembrano del resto collegarsi le previsioni dell’art. 12 sulle modalità di presentazione dell’offerta e dei documenti allegati, dell’art. 17, sulle verifiche a cura del gestore per le operazioni di vendita, dell’art. 18, sull’ammissione degli offerenti alle operazioni di vendita e, infine, dell’art. 19 sugli obblighi del gestore per le operazioni di vendita. Le vendite telematiche, ai sensi dell’art. 569 c.p.c. novellato, devono svolgersi «nel rispetto della normativa regolamentare di cui all’articolo 161 ter disp. att. c.p.c.» il quale a sua volta rimanda al regolamento di cui al D.M. 26 febbraio 2015, n. 32, che ulteriormente richiama le “specifiche tecniche” prescritte dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero. Con ogni evidenza, la disciplina delle vendite telematiche assume per intero una matrice insolitamente regolamentare, per di più innestandovi, per taluni profili salienti, semplici specifiche tecniche elaborate dalla DGSIA, posto che legislatore, all’art. 161-ter, ha ritenuto di ribadire l’enunciazione di [continua ..]
In altri termini, l’ipotesi del curatore che prefigura e delinea da sé, ai sensi dell’art. 107, 1° comma, L. Fall., il quomodo delle vendite fallimentari, nel rispetto dei principi di competitività e trasparenza, è scevra da ogni contaminazione con le regole sulle vendite telematiche coatte individuali. La vendita – che pure è opportuno prescelga un modulo semplificato “a base telematica”, al fine di accorciare le distanze rispetto alle possibili platee di interessati – non sottostà alle regole del D.M. n. 32/2015. La disciplina delle vendite telematiche parrebbe, per converse, sia pure astrattamente applicabile nel caso in cui il curatore abbia deciso di importare tout court, ai sensi del 2° comma dell’art. 107 L. Fall., l’archetipo codicistico delle espropriazioni forzate singolari. In tal caso, la disciplina delle vendite telematiche sembrerebbe, non senza adattamenti disagevoli mutuabile. Le criticità non sono poche, né irrilevanti, posto che le vendite codicistiche attuate in sede fallimentare prevedono un modulo “rovesciato” rispetto a quello dell’esecuzione individuale. Se in quest’ultima il responsabile della liquidazione, ossia il giudice, delega un suo ausiliario, nell’ambito della liquidazione fallimentare in “versione codicistica”, il congegno è capovolto. Infatti, è il dominus esclusivo della liquidazione ad interpellare il suo controllore e a decretarne il coinvolgimento in una fase rispetto alla quale egli è istituzionalmente estraneo. Detto interpello finisce per risolversi quasi sempre in un peculiare “rimbalzo”, ove il giudice delegato finisca per “ripassare” gli atti al curatore, affinché sia pur sempre costui a procedere alla vendita dei beni, sia pure alla stregua di delegato per le operazioni di vendita. In buona sostanza, il curatore riprende in carico su di sé il carico della liquidazione, ma su basi, per così dire, maggiormente “protette”. Il curatore, infatti, si agevola di una più proficua interlocuzione con il giudice delegato, reso “corresponsabile” della gestione della fase dismissiva dei beni. Non si comprende, tuttavia, quale vantaggio il ricorso pedissequo alle norme sull’esecuzione forzata produca per la procedura [continua ..]