L’autore analizza l’ordinanza del Tribunale di Messina, il quale è chiamato a verificare, in sede fallimentare, la domanda cautelare al fine di esperire le azioni revocatorie per ottenere la restituzione dei beni sottratti, per mezzo di un’operazione di scissione di società, alla garanzia patrimoniale del debitore fallito. Il provvedimento si inserisce nel dibattito sulla revocatoria della scissione di società e, così come la Corte di Giustizia UE, non tiene in considerazione tutti gli interessi rilevanti e gli effetti dell’operazione societaria, concludendo erroneamente, a parere dell’autore, per l’ammissibilità del sequestro giudiziario dei beni oggetto di scissione.
The author analyses the order of the Court of Messina, which is called to verify, in bankruptcy, the application for interim relief to carry out revocatory actions to obtain the restitution of the assets stolen from the bankrupted debtor’s capital guarantee through an operation of division of companies.
The provision is part of the debate on revocation of division of companies and, like the EU Court of Justice, does not consider all the relevant interests and the effects of the corporate transaction, erroneously leading to the seizure of the assets involved in the division.
Keywords: seizure – avoidance action – division of companies
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1. L’assoggettamento della res all’azione esecutiva concorsuale e gli effetti sull’organizzazione conseguente alla scissione - 2. Il requisito del fumus boni iuris e la tutela prevista dall’art. 2506-quater c.c. - 3. Il periculum in mora: dall’eventualità del depauperamento patrimoniale alla responsabilità risarcitoria - 4. Il principio errato delineato dalla Corte di Giustizia UE: la revocatoria delle sole componenti attive e la posizione preferenziale dei creditori della società scissa - 5. Il regime di circolazione patrimoniale nella scissione - NOTE
Con l’ordinanza in esame il Tribunale di Messina torna ad interessarsi [1] del tema dell’applicazione della revocatoria fallimentare all’operazione di scissione di società: da un lato per prendere posizione sulla dibattuta questione della revocabilità dell’atto di scissione, dall’altro per precisare – anche con taluni tratti innovativi – i termini del rapporto tra il sequestro giudiziario, richiesto in via strumentale, e le disposizioni attualmente contenute negli artt. 66, 67 L. Fall. e 2901 c.c. Al tema del problematico rapporto tra la disciplina dell’operazione di scissione e la revocabilità della stessa operazione pare opportuno dedicare specifica attenzione, visto che la pronuncia in esame è occasione di studio di orientamenti rilevanti – Corte Giust. UE, 30 gennaio 2020, C-394/18 e Cass., ord. n. 31654/2019 – ma non ancora consolidati in giurisprudenza. L’orientamento secondo cui va esclusa la revocabilità dell’operazione societaria [2] si basa sul rapporto di genere a specie sussistente tra la disciplina (generale), cui appartiene l’actio pauliana quale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., e la disciplina (speciale), dettata dalle norme codicistiche che regolano le società di capitali e, in particolar modo, le vicende straordinarie che le possono riguardare, tra le quali la scissione. Per coloro che sostengono l’inammissibilità della revocatoria, risulta chiaro che il legislatore abbia voluto delineare un micro-sistema normativo a tutela dei creditori, senza la necessità di esperire altri rimedi di carattere generale previsti dal nostro ordinamento. Un sistema “tipico ed autosufficiente”, proprio per garantire certezza e stabilità dei rapporti giuridici facenti capo alle società, anche se relativi alle loro eventuali vicende straordinarie. Il micro-sistema è composto dagli artt. 2503 (opposizione dei creditori), 2506-quater (effetti della scissione) e, quale norma di chiusura, dall’art. 2504-quater c.c. [3], il quale preclude, una volta terminate le iscrizioni nel Registro delle Imprese delle operazioni di fusione e/o scissione, che i creditori anteriori all’operazione, che non abbiano proposto opposizione alla suddetta modificazione strutturale, possano impugnarne la validità. In sostanza, [continua ..]
Meritano attenzione i presupposti per l’esperimento dell’azione revocatoria ai fini della declaratoria di inefficacia degli atti dispositivi posti in essere nel caso in esame. La giurisprudenza ha affermato [27] che l’azione revocatoria ex art. 2901 ss., costituisce un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale in favore dei creditori, i quali sono legittimati ad esercitarla al fine di ottenere la dichiarazione di inefficacia, nei loro confronti, dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, quando ricorrono tre requisiti. Il primo di questi è relativo alla natura oggettiva: l’eventus damni, ovvero l’obiettivo ed effettivo pregiudizio arrecato al creditore dall’atto di disposizione a contenuto patrimoniale, che abbia comportato una modificazione della situazione economica del debitore. Sul punto, il Collegio ritiene che con l’atto di scissione, lungi dall’operare un normale riassetto organizzativo di qualche utilità imprenditoriale, sia stato realizzato un mutamento qualitativo dell’assetto patrimoniale della società tale da rendere certamente più difficoltoso, per i creditori, aggredire il patrimonio stesso per ottenere una realizzazione coattiva del loro credito, essendosi la Cartiere dell’Etna s.r.l. spogliata di immobili, in favore della Sama s.r.l., e di beni mobili consistenti in attrezzature di cospicuo valore, in favore della Cartiere del Sole s.r.l., al di fuori di qualsiasi contropartita. Il tema impone alcune riflessioni. Il Collegio omette di considerare il micro-sistema a tutela dei creditori ed il funzionamento dell’art. 2506-quater c.c. [28]. In forza di quest’ultimo, l’iscrizione nel Registro delle Imprese identifica il momento in cui comincerà ad operare il regime delle preclusioni per la pronuncia di invalidità dell’atto [29]: con la conseguente produzione dell’efficacia costitutiva e la definitiva stabilità dell’operazione [30]. Inoltre, il terzo comma dello stesso articolo dispone che ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico. La ratio del contenuto precettivo richiamato risiede nella regola che disciplina la responsabilità delle società diverse da [continua ..]
In ordine al periculum in mora in materia di sequestro giudiziario, si confrontano due interpretazioni. La prima di queste, maggiormente estensiva, considera sufficiente che lo stato di fatto esistente in pendenza di giudizio comporti la possibilità che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso, a prescindere dal timore di sottrazione, alterazione o dispersione dei beni stessi [59]. In sostanza, ciò che viene comunemente inteso come periculum in mora (e cioè il pregiudizio grave ed imminente), può ovviamente sussistere anche nelle ipotesi in cui viene richiesto un provvedimento di sequestro giudiziario, anche se esso non costituisce condizione necessaria per la concessione del sequestro, atteso che lo stesso art. 670 c.p.c. [60] richiede, ai fini indicati, semplicemente ragioni che rendano opportuna la custodia [61]. A questo riguardo, si osserva che l’opportunità di conservazione del bene non richiede un pericolo attuale di sottrazione, ma è sufficiente che si prospetti una semplice possibilità di pregiudizio tale che, al termine della lite, la parte istante non riuscirebbe ad ottenere il vantaggio eventualmente riconosciutogli, svolgendo il sequestro una funzione di cristallizzazione della situazione di fatto, in modo che il lasso di tempo intercorrente tra la successiva fase cognitiva e la decisione non pregiudichi, in caso di vittoria del ricorrente, la possibilità di conseguire il proprio diritto [62]. Per la seconda interpretazione, maggiormente restrittiva, il periculum in mora, ai fini del sequestro giudiziario, deve consistere in un pericolo anche astratto che i beni controversi subiscano deterioramenti, alterazioni o sottrazioni nel corso del giudizio di merito, con conseguente necessità di sottrarre i beni stessi alla libera disponibilità del sequestrato [63]. Si è osservato che il periculum può derivare dalla cattiva gestione del bene da parte del possessore o detentore [64]; sul tema alcuni esempi specifici sono: la cattiva manutenzione dell’immobile (che può deteriorarsi), la cattiva gestione dell’azienda (in riferimento all’avviamento commerciale), nonché la custodia e la gestione di un macchinario venduto (e non pagato, di cui si era chiesta la restituzione) [65]. Nell’ordinanza de qua il tema è ben affrontato dal [continua ..]
L’indagine volta ad accertare la possibilità di esercitare l’azione revocatoria della scissione – ai fini di proporre azioni esecutive e conservative sui beni trasferiti alla società di nuova costituzione – non si limita alla dottrina e giurisprudenza nazionale: dopo il rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte di Appello di Napoli [87], si è espressa la Corte di Giustizia dell’Unione europea [88]. In tema, il giudice del rinvio osservava che: “il mantenimento della certezza del diritto riguardo agli effetti della scissione e agli interessi delle parti implicate nella scissione, che è uno degli obiettivi della sesta direttiva, può essere garantito solo se il mancato esercizio delle azioni previste all’art. 12 della sesta direttiva abbia l’effetto di escludere la possibilità per i creditori di esercitare successivamente altre azioni a tutela delle loro garanzie sul patrimonio del debitore. Pertanto, la nozione di nullità di cui all’art. 19 della sesta direttiva dovrebbe includere tutte le azioni che comportano l’inefficacia della scissione, sia assoluta che relativa, e, in quest’ultimo caso, indipendentemente dalla validità della scissione” [89]. Ed aggiungeva che, “l’articolo 12 della sesta direttiva non esclude l’esercizio di qualsiasi azione successiva volta a tutelare la garanzia dei creditori sul patrimonio del debitore e che sussiste una serie di differenze, nel diritto nazionale, tra l’azione di nullità e l’azione pauliana”. Di conseguenza le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di Giustizia erano le seguenti: “se i creditori della società scissa, le cui ragioni di credito siano anteriori alla scissione, che non si siano avvalsi del rimedio dell’opposizione ex articolo 2503 c.c. (e dunque dello strumento di tutela introdotto in attuazione dell’art. 12 della Direttiva), possano avvalersi dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c. dopo che la scissione sia stata attuata, allo scopo di farne dichiarare l’inefficacia nei loro confronti e, quindi, di essere preferiti in sede esecutiva ai creditori della o delle società beneficiarie nonché di essere anteposti agli stessi soci di quest’ultime”; ed inoltre, “se la nozione di nullità, contemplata dall’art. 19 della [continua ..]
Quanto appena osservato può esemplificarsi nei seguenti termini: si ammette la proposizione, su istanza del creditore della società scissa, dell’azione revocatoria della scissione o, come meglio specificato dalla Corte di Giustizia UE, sulla componente patrimoniale attiva di detto atto, al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia degli effetti dispositivi e traslativi senza intaccare quelli riorganizzativi. Tutto questo, ovviamente, è giuridicamente inammissibile. La contrapposizione tra effetti riorganizzativi ed effetti patrimoniali è legalmente inutile, perché la scissione (come la fusione) realizza uno actu tutti gli effetti, riorganizzativi e patrimoniali, che, frequentemente nelle decisioni come quella in esame, si vorrebbero distinguere [103]. Non a caso, per descrivere l’istituto si usa l’espressione “polimorfismo” [104] (sul piano strutturale), al quale (sul piano funzionale) “si accompagna il suo carattere polifunzionale [105], la cui realizzazione è finalizzata a soddisfare molteplici esigenze sia di riorganizzazione degli aspetti patrimoniali ed organizzativi delle strutture imprenditoriali sia di articolazione e rimodulazione dei loro assetti proprietari” [106], il tutto incentrato sulla circolazione del patrimonio sociale. Questo perché il legislatore ha elevato ad unità il complesso di beni e rapporti che integrano il patrimonio della società scissa o una parte di esso [107]; così, dinanzi al profilarsi di una crisi d’impresa, l’applicazione tempestiva di una procedura di riorganizzazione della stessa rappresenta la migliore soluzione [108]. Nel caso di scissione mal riuscita o dubbia, si applicheranno le norme in tema di responsabilità degli amministratori per dissipazione dell’attivo [109]. Si evidenzia, inoltre, che il dovere di vigilanza e di controllo imposto ai sindaci delle s.p.a. ex art. 2403 c.c. [110] non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali [111]. D’altra parte, il patrimonio trasferibile alle società risultanti dall’operazione non può consistere in un singolo bene di per sé inidoneo allo svolgimento di una [continua ..]