Il lavoro, che riproduce la relazione tenuta nel corso del XVII Congresso internazionale di diritto commerciale e di diritto marittimo Sainz de Andino, organizzato il 6 ottobre 2017 presso l’Università di Huelva, è dedicato alla memoria di Michele Sandulli.
Il lavoro si occupa del ruolo dei soci nell’ambito delle procedure concorsuali: dopo aver delineato la diversa posizione ricoperta da costoro nelle procedure di liquidazione e, rispettivamente, di ristrutturazione finanziaria, si concentra l’attenzione su queste ultime, al fine di mettere in luce come l’applicazione dell’ordinaria disciplina societaria finirebbe per pregiudicare ogni forma di riorganizzazione del capitale proprio; tale disciplina, infatti, subordina qualsiasi intervento sul capitale e sulle partecipazioni sociali al consenso, individuale o collettivo, dei soci: i quali, tuttavia, non hanno nessun interesse a prestarlo. Si pone pertanto l’esigenza di superare la resistenza dei soci, attraverso tecniche che, per quanto tra loro diverse, implicano in ogni caso una deroga, più o meno incisiva, al diritto comune delle società: ed è con una rapida indicazione degli strumenti adottati a questo fine dai principali ordinamenti europei che il lavoro si chiude.
The work deals with the role of shareholders in the context of a judicial bankruptcy procedure; after having delineated the different positions covered by them, respectively in liquidation and financial restructuring, it focuses attention on the latter, in order to illuminate how the application of ordinary company law would ultimately result in prejudicing any form of reorganization of company capital; this regulation, in fact, subordinates any intervention regarding the capital and on shareholding to the individual and collective consensus of the shareholders; which, in any case, do not have any interest to lend themselves to it. There is a need to overcome the resistance of the shareholders, by means of techniques that, however diverse between them, imply, in any case, an exception, more or less incisive, to ordinary company law; and the work finishes with a rapid indication of the instruments adopted to that end in the principal European legal frameworks.
1. Premessa - 2. Diritto concorsuale e diritto societario - 3. Liquidazione concorsuale e ristrutturazione finanziaria - 4. Procedure concorsuali, disciplina societaria e partecipazione sociale - 5. Riorganizzazione del capitale proprio e prerogative dei soci - 6. La riorganizzazione del capitale proprio nella proposta di Direttiva europea 2016/359: il problema - 7. (Segue): la soluzione - 8. (Segue): le tutele - NOTE
Al fine di tratteggiare, nei limiti imposti dalla presente occasione, il ruolo ricoperto dai soci nella ristrutturazione finanziaria dell’impresa organizzata in forma societaria, appare opportuno prendere le mosse da una circostanza spesso avvertita, ma più raramente approfondita: si allude alla percepibile tensione tra il dirittoconcorsuale e quello societario, che emerge, si direbbe plasticamente, dal testo della recente proposta di Direttiva UE 2016/359, in materia di quadri di ristrutturazione preventiva, seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, presentata dalla Commissione europea il 22 novembre 2016, ed in particolare dal suo art. 32, che prevede l’introduzione nella II Direttiva in materia societaria (Direttiva 2012/30/UE) di espresse deroghe alle regole generali dalla stessa previste, al fine di permettere l’istituzione del quadro di ristrutturazione preventiva. Parlando di tensione, non si intende alludere alla reciproca autonomia normativa tra la disciplina concorsuale e quella societaria, alla circostanza, cioè, che la dottrina non ha mancato di mettere in luce [1], che si tratta di sistemi non solo tra loro formalmente distinti, tanto sul piano del diritto interno, quanto su quello del diritto internazionale privato (come dimostra emblematicamente l’evoluzione legislativa e giurisprudenziale del tema della postergazione dei crediti dei soci che ha caratterizzato l’ordinamento tedesco): ma ispirati, in molti sistemi per dir così multi-livello, a scelte di politica del diritto addirittura opposte (trattandosi, in materia concorsuale, di assicurare una uniformità di disciplina, in modo da evitare il c.d. forum shopping, e da favorire la creazione di un mercato unitario, mentre, in ambito societario, l’obiettivo è piuttosto quello di assecondare la concorrenza tra ordinamenti); siffatta autonomia, infatti, rappresenta bensì unpresupposto logicamente necessario di tale tensione, la quale, e proprio in quanto nozione logicamente relazionale, si pone, e per definizione, tra fenomeni tra loro diversi: ma risulta, in quanto tale, assiologicamente insufficiente a dar conto della sua causa ultima, della sua ragione profonda, la quale sembra piuttosto doversi [continua ..]
Il tradizionale diritto concorsuale, proprio in quanto disciplina dotata di una portata generale, che cioè trova applicazione (almeno) agli imprenditori commerciali, se non anche, come accade in alcuni ordinamenti, a tutti i debitori, presenta una struttura formale analoga a quella del rapporto obbligatorio di diritto comune e della relativa garanzia patrimoniale: che cioè si fonda sulla (ed anzi si esaurisce nella) contrapposizione tra il debitore e il creditore, che in vero rappresentano gli unici protagonisti delle vicende in esame. Spostando l’attenzione alla disciplina delle società, e segnatamente a quella delle società di capitali, alla quale soltanto si avrà in questa sede riguardo, si assiste all’entrata in scena di un terzo personaggio, del tutto sconosciuto al diritto comune delle obbligazioni, vale a dire il socio: il quale, nell’ambito della struttura finanziaria e patrimoniale dell’impresa organizzata in forma societaria, assume una posizione che, per quanto concettualmente intermedia tra quelle del debitore e del creditore, risulta formalmente diversa da entrambe. Per un verso, infatti, i soci, in quanto destinatari del valore netto del patrimonio sociale, si prestano ad essere avvicinati all’ordinario debitore (non societario), dal quale tuttavia si distinguono per il fatto di non essere chiamati a rispondere delle relative obbligazioni: almeno di regola, e salva la previsione, in vero sistematicamente eccezionale, e non solo nelle società di capitali, di forme di responsabilità illimitata; per altro verso, e, conseguentemente, al pari questa volta dei creditori, i soci vantano una pretesa, seppure residuale, sul patrimonio della società (vale a dire sul valore dell’impresa): pretesa che tuttavia trova il proprio titolo non già in un diritto di credito, ma nella partecipazione sociale, e segnatamente nelle relative prerogative patrimoniali (che peraltro non esauriscono, almeno di regola, il suo contenuto, affiancandosi a quelle che, per quanto definite “amministrative”, non hanno ad oggetto la gestione dell’impresa sociale, che risulta invece affidata, talora in via esclusiva, agli amministratori, quanto piuttosto, oltre alla nomina dei componenti di almeno alcuni organi sociali, la fissazione e la modificazione delle regole [continua ..]
Le conseguenze che, sul piano sostanziale, discendono dall’estraneità dei soci alla procedura aperta a carico della società sono del resto sensibilmente differenti, a seconda che si tratti appunto di una procedura diretta alla liquidazione del patrimonio della società debitrice o, rispettivamente, alla ristrutturazionedella sua situazione finanziaria. Nelle procedure di liquidazione, siffatta estraneità risulta nel complesso innocua: anzi, la circostanza che la liquidazione riguarda il solo patrimonio sociale, senza coinvolgere le partecipazioni sociali, che resteranno pertanto intatte, consentirà ai soci di appropriarsi del residuo attivo della liquidazione, nell’eventualità, remota, che un siffatto residuo vi sia; mentre, in caso contrario, la permanenza della loro titolarità in capo a costoro risulterà del tutto priva di concreta rilevanza: se non addirittura destinata, come accade nel sistema italiano, a poter venire meno a seguito della cancellazione della società ad opera del curatore. Ben diversamente accade nell’ipotesi di ristrutturazione finanziaria, sempre che non ci si limiti a riorganizzare il passivo reale della società, vale a dire il complesso dei suoi debiti, ma si finisca per incidere anche sul capitale proprio, e cioè per modificare gli assetti proprietari, al fine di trasferire il controllo della società dai soci attuali ai creditori, o comunque a terzi: siffatto obiettivo implica, infatti, il ricorso ad una serie di tecniche le quali, ed è questo il punto, richiedono tanto per il diritto societario interno, e, per quanto riguarda le società per azioni, anche per quello europeo, una qualche forma di collaborazione, tendenzialmente spontanea, della collettività dei soci, riuniti di assemblea straordinaria, qualora, in particolare, si tratti di adottare deliberazioni rientranti nella competenza dell’assemblea straordinaria (come quelle aventi ad oggetto operazioni straordinarie dirette a modificare l’intera struttura dell’organizzazione sociale, o anche soltanto un aumento di capitale riservato a soggetti diversi dai vecchi soci), se non anche del socio individualmente considerato, se si intendano assegnare direttamente ai creditori le partecipazioni sociali, delle quali gli attuali titolari sono in vero gli unici [continua ..]
La necessità, derivante dal diritto comune delle società, della collaborazione dei soci al fine di riorganizzare il capitale proprio, e, allo stesso tempo, la mancanza, alla luce dell’assetto degli interessi che emergono dal diritto concorsuale, di qualsiasi incentivo idoneo ad indurre costoro ad assecondare spontaneamente i tentativi di riorganizzazione del capitale proprio, valgono, dunque, a rendere siffatti tentativi in concreto impraticabili: un esito, questo, che, per quanto sistematicamente ed applicativamente insoddisfacente, risulta comunque inevitabile, almeno fino a quando non si modifichi radicalmente la prospettiva e non si mettano in discussione alcune convinzioni di fondo che caratterizzano la tradizionale ricostruzione tanto del diritto concorsuale, quanto di quello societario, quanto, infine, dei rapporti tra l’uno e l’altro. Si allude, in primo luogo, all’impostazione volta a riconoscere a tutte le procedure concorsuali, anche quelle di ristrutturazione finanziaria, una funzione in buona sostanza esecutiva, vale a dire di strumento di attuazione della garanzia patrimoniale, che in realtà caratterizza unicamente le procedure di liquidazione: ed alla conseguente tendenza a circoscrivere al patrimonio del debitore, e dunque della società debitrice, l’operatività di siffatte procedure; in secondo luogo, ci si riferisce all’abitudine, inveterata, ad adottare una concezione antropomorfa e soggettiva della società, a considerarla cioè in termini di soggetto dell’impresa, cioè di imprenditore, destinato a ricoprire, nell’ambito della procedura concorsuale, unicamente il ruolo, proprio appunto di ogni debitore, di soggetto passivo. A venire in considerazione, è, infine, la diffusa tendenza a ricostruire la partecipazione sociale in chiave proprietaria, in termini cioè di oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà del socio, e dunque, e prima ancora, di bene (giuridicamente) del tutto autonomo dalla società, e quindi estraneo alle vicende che la riguardano, a partire dall’apertura di una procedura concorsuale a suo carico: procedura che, allora, non risulta, e per definizione, idonea ad incidere sulla partecipazione detenuta dai soci, negli stessi termini in cui non è in grado di farlo in ordine agli altri beni che compongono il patrimonio (personale) [continua ..]
I primi sistemi muovono dalla convinzione della necessità, ai fini della riorganizzazione del capitale proprio, di un autonomo atto organizzativo, vale a dire, almeno di regola, di una deliberazione dell’assemblea straordinaria [5], e, parallelamente, della insufficienza, a tal fine, dell’omologazione giudiziaria del piano che preveda una riorganizzazione siffatta: a partire, come accennato, dalla premessa che quest’ultimo risulta in grado di incidere unicamente in ordine alla posizione, oltre che del debitore, dei creditori, gli unici chiamati ad approvarlo, ma non su quella dei soci. Proprio la riaffermata necessità, in realtà solo formale, di una deliberazione assembleare induce, tuttavia, a cercare di scongiurare l’ostruzionismo dei soci attraverso la compressione, più o meno marcata, delle loro prerogative organizzative: al qual fine taluni sistemi si limitano ad incidere sull’esercizio del voto da parte degli stessi soci, e segnatamente a circoscriverne la discrezionalità attraverso la previsione di una sorta di doveri, o di oneri, di collaborazione, mentre altri giungono, più radicalmente, a privare i soci della relativa legittimazione, che viene attribuita a soggetti non soltanto nominati dall’autorità giudiziaria, ma tenuti ad esercitare tale diritto in conformità del contenuto del piano. La prima opzione sembra caratterizzare, in particolare, il sistema spagnolo, il quale, in estrema sintesi, sembra configurare una sorta di divieto in capo ai soci (oltre che agli amministratori) di negare irragionevolmente il proprio consenso ad operazioni di conversione in capitale proprio dei crediti o di emissione di strumenti convertibili in partecipazioni sociali, prevedendo che, ove il loro contegno abbia pregiudicato la conclusione di un accordo di rifinanziamento o un accordo extra-giudiziale di pagamento, l’eventuale concorso della società si presume colpevole (art. 165, 2° comma, LC): con l’esito, ulteriore, che, ove il concorso sia effettivamente considerato colpevole, i soci che abbiano violato tale divieto possono essere coinvolti nella relativa qualificazione, in funzione del contributo alla formazione della maggioranza (art. 172, 2° comma, n. 1, LC), e nei loro confronti potrà essere fatta valere la conseguente [continua ..]
A tale sistema si ispira, come si accennava, la citata proposta di Direttiva [9], la quale non soltanto individua nella «modifica … della struttura del capitale», vale a dire del capitale proprio, uno dei possibili contenuti del relativo piano, e dunque una delle possibili vicende in cui può prendere forma la ristrutturazione [10]: per tale intendendosi uno strumento funzionale a consentire la continuazione anche solo parziale di un’impresa (art. 2, n. 2) che versa in difficoltà finanziarie e per la quale sussiste una probabilità di insolvenza (art. 1, 1° comma, lett. a); ma include espressamente (per quanto subordinatamente alla compatibilità con il diritto nazionale) i “detentori di strumenti di capitale”, e dunque i soci, tra le c.d. parti interessate, e cioè tra i titolari di interessi sui quali il piano è in grado di incidere (art. 2, n. 3). Consapevole del fatto che la riorganizzazione del capitale proprio, secondo il diritto comune societario, richiede il consenso almeno della maggioranza dei soci, ed al contempo della circostanza che ben difficilmente costoro si risolverebbero a prestarlo (preoccupazione, questa, espressa in termini inequivoci dal Considerando 29, ove si sottolinea l’esigenza di evitare che i soci «possano bloccare irragionevolmente l’adozione di un piano di ristrutturazione che ripristinerebbe la sostenibilità economica del debitore»), la proposta, da un lato, prevede, come già ricordato, all’art. 32, specifiche deroghe alle disposizioni della II Direttiva in materia societaria che, in occasione delle modificazioni del capitale e del ritiro forzato di azioni, riconoscono in via generale ai soci determinate prerogative individuali e collettive (artt. 19, 40, 41 e 42, Direttiva 2012/30/UE): deroghe, queste, in vero più simboliche che significative, dal momento che, anche alla luce dei recenti sviluppi della giurisprudenza europea (e v. la sentenza della Corte di Giustizia, 19 luglio 2016, causa C-536/14), l’applicabilità di siffatte disposizioni generali alle società in crisi appare quantomeno dubbia [11]; dall’altro, all’art. 12, 1° comma, affida agli Stati membri il compito di assicurare che, in presenza di una probabilità di insolvenza, i soci, e più in generale i detentori di strumenti di capitale, non [continua ..]
In particolare, l’art. 11, oltre a stabilire, o, meglio, a ribadire l’applicabilità alla ristrutturazione trasversale dei debiti delle regole previste dall’art. 10 per ogni ipotesi in cui il piano risulti destinato ad incidere anche sugli interessi di parti interessate dissenzienti (come appunto accade per definizione in un caso, come quello in esame, nel quale esso viene omologato nonostante il dissenso non già di singole parti interessate, ma di intere classi dalle stesse formate: ciò che rende allora per certi versi superfluo l’espresso richiamo all’art. 10 da parte dell’art. 11), richiede, inoltre, il rispetto della c.d. regola della priorità assoluta ed il consenso di almeno una classe di creditori, che, «in base ad una valutazione dell’impresa», potrebbero essere almeno parzialmente soddisfatti nell’eventualità di una liquidazione. La disposizione dell’art. 12, 2° comma, letteralmente intesa, sembra individuare nell’inserimento dei soci in un’apposita classe, a tal fine formata, e nel riconoscimento a costoro della legittimazione ad esprimersi in ordine ai piani di ristrutturazione che prevedano la riorganizzazione del capitale proprio uno degli strumenti in grado di superare atteggiamenti ostruzionistici da parte di costoro: il che appare per molti versi singolare, non risultando affatto evidente in che modo il “veto” dei soci possa essere evitato non già privando i soci del diritto di “voto”, ma, paradossalmente, riconoscendoglielo. Deve infatti notarsi che, ai sensi dell’art. 9, gli Stati membri, da un lato devono in ogni caso riconoscere il diritto di voto ai creditori, e, dall’altro, possonoriconoscerlo anche ai soci, e più in generale ai detentori di strumenti di capitale, purché interessati dal piano, purché, cioè, esso, secondo quanto disposto dal già ricordato art. 2, n. 3, incida sui loro interessi: ne deriva che se deve escludersi, in via di principio, la possibilità di riconoscere il diritto di voto ai soci non interessati dal piano (come accade nell’ipotesi cioè in cui esso si limiti a ristrutturare il passivo reale, senza riorganizzare il capitale proprio), nulla invece impone di riconoscere il diritto in questione a quelli ad esso interessati; in altri termini, in presenza di [continua ..]
Nel sistema delineato dalla proposta, insomma, la riorganizzazione del capitale proprio si ricollega in ogni caso, anche qualora ai soci non venga riconosciuto il diritto di voto, al piano di ristrutturazione omologato: l’attuazione del quale, allora, non richiede il compimento di appositi atti organizzativi destinati a darvi esecuzione. In questa prospettiva, un rischio di ostruzionismo da parte dei soci si pone in realtà unicamente in sede di approvazione del piano, e limitatamente all’eventualità che anche a costoro venga riconosciuto il diritto di voto: ed è proprio al fine di scongiurare un rischio siffatto che la proposta impone, in tal caso, l’applicazione del meccanismo di ristrutturazione trasversale dei debiti; un rischio analogo, invece, nemmeno astrattamente si presta ad essere riferito alla fase, successiva, della sua esecuzione: la quale solleva, semmai, l’esigenza, opposta, di evitare che i soci vengano privati coattivamente di quel valore positivo che la partecipazione sociale pur potrebbe continuare a presentare, anche in presenza di una crisi, tanto più se precoce, come appunto è a dirsi di quella a cui si riferisce lo strumento di ristrutturazione, non a caso espressamente definita come preventiva, regolato dalla proposta [18], la quale, come ricordato, ne circoscrive l’adozione a chi versa in una situazione di difficoltà finanziaria che vale a rendere solo probabile l’insorgere dell’insolvenza, come risulta, oltre che, in generale, dall’art. 4, 1° comma, dallo stesso art. 12, 1° comma. In altri termini, i soci, lungi dal poter ostacolare l’attuazione del piano, potranno, semmai, esserne pregiudicati, qualora, in particolare, le partecipazioni sociali continuino a presentare un qualche valore positivo: si assiste, dunque, ad un completo capovolgimento di prospettiva, trattandosi, per dir così, non più di preservare la concreta praticabilità della riorganizzazione del capitale proprio dall’ostruzionismo “organizzativo” dei soci, ma, tutto al contrario, di tutelare le posizioni “patrimoniali” di costoro per l’eventualità in cui siffatta riorganizzazione si rivelasse dotata di una, illegittima, portata “espropriativa”. La forma di tutela prevista a questo riguardo dalla proposta è quella, [continua ..]