La nota prende spunto dal provvedimento del Tribunale di Roma per soffermarsi brevemente sulla responsabilità degli amministratori nominati per il risanamento dell’azienda, su quella degli amministratori privi di deleghe e su quella dei sindaci per esaminare, infine, il criterio di quantificazione del danno applicato dal provvedimento in commento.
align="center"> <The article is inspired by the decision of the Court of Rome to briefly analyze the responsibility of the chiefs of executive appointed for the reorganization of the company, the responsability of the other administrators not executive and the responsability of the auditors. The article evaluetes, finally, the criterion of quantification for the damages applied by the decision examinated.
1. La vicenda processuale - 2. La responsabilità dei nuovi amministratori nominati per far fronte alla crisi - 3. La responsabilità degli amministratori privi di deleghe - 4. La responsabilità dei sindaci - 5. La quantificazione dei danni - NOTE
Il Tribunale di Roma con il provvedimento in esame si pronuncia sulla nota vicenda del crack della Cirio e, più precisamente sulla responsabilità degli amministratori nominati verso la fine del 2002 per il risanamento della società, per aver ritardato la presa d’atto dello stato di insolvenza, nel tentativo di elaborare un progetto di risanamento che non ebbe successo per la mancanza di finanziatori, procrastinando quindi la dichiarazione dello stato di insolvenza al mese di agosto 2003. Il Tribunale di Roma si pronuncia, inoltre, sulla responsabilità degli amministratori privi di deleghe e su quella dei sindaci ma non anche su quella della società di revisione dando atto del fatto che fosse intervenuta una rinuncia alla domanda a seguito della transazione intercorsa tra le amministrazioni straordinarie delle società attrici e la società di revisione. La Cirio Finanziaria in amministrazione straordinaria e la Cirio Holding in amministrazione straordinaria proponevano [1], infatti, un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci per la mancata tempestiva richiesta della dichiarazione dello stato di insolvenza assumendo che tale dichiarazione sarebbe dovuta intervenire già nel gennaio 2003 e, quindi, subito il verificarsi, nel mese di dicembre 2002, del primo omesso rimborso alla scadenza del prestito obbligazionario. Con riferimento alla condotta dei sindaci veniva, invece, imputato loro di non aver adottato tutte le misure previste dalla legge al fine di impedire che gli amministratori proseguissero nella irregolare gestione o quanto meno idonee a limitare i danni che da tale gestione erano derivati. Le richieste risarcitorie a seguito della transazione intercorsa con la società di revisione, che concerneva anche i danni derivanti dal compimento di illegittime operazioni che avevano diminuito il patrimonio delle società attrici, ricomprendevano i danni per aver ritardato l’accertamento dello stato d’insolvenza delle due società attrici. Il Tribunale, dopo diverse vicende processuali, accerta la responsabilità degli amministratori e dei sindaci condannandoli al risarcimento dei danni in via solidale tra di loro e dichiarando altresì il diritto di alcuni convenuti ad essere manlevati dalle imprese assicuratrici.
Nell’attuale sistema codicistico gli amministratori sono responsabili del loro operato nei confronti della società (artt. 2392-2393 c.c.), dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) e nei confronti dei singoli soci e dei terzi (art. 2395 c.c.). Gli amministratori sono responsabili nei confronti della società, con conseguente obbligo di risarcire i danni cagionati, nel caso in cui non adempiano i doveri, imposti loro dalla legge [2] e dallo statuto, con l’ordinaria diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze [3]. Gli amministratori a seguito della riforma del 2003 rispondono, dunque, non già quali mandatari, bensì in ragione della «diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze» e, quindi, sostanzialmente la diligenza esigibile dall’amministratore è quella dell’art. 1176 c.c., 2° comma, ragguagliata alle circostanze del caso. La responsabilità degli amministratori verso la società è di natura contrattuale [4] in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto con la conseguenza che la società che agisce è tenuta a provare esclusivamente l’esistenza di un danno imputabile ad inadempimento e non anche la colpa degli stessi [5], incombendo conseguentemente, in capo agli amministratori, al fine di andare esenti da responsabilità o di attenuare la stessa, l’onere di fornire la prova di assenza di colpa o di nesso causale [6] tra condotta e danno. Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore sebbene non possa investire le sue scelte di gestione può concernere l’omissione di quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta imprenditoriale di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle condizioni [7]. Nella fattispecie i nuovi amministratori, nominati per far fronte alla crisi della società mediante un piano di risanamento della società che non aveva possibilità di successo, erano consapevoli della natura irreversibile del dissesto, palesatosi anche con il mancato rimborso del prestito obbligazionario, sono stati ritenuti responsabili dell’aggravamento della situazione debitoria che avrebbero potuto evitare richiedendo tempestivamente la dichiarazione [continua ..]
La sentenza in esame statuisce, poi, la responsabilità degli amministratori privi di deleghe sulla base del fatto che l’evidenza dell’impossibilità di far fronte alla scadenza del prestito obbligazionario delle società induce a ritenere che gli stessi fossero a conoscenza dell’insolvenza e, quindi, della necessità di richiedere immediatamente la dichiarazione dello stato di insolvenza o che comunque l’avessero colpevolmente ignorata. Per il Tribunale la condotta degli amministratori privi di deleghe che hanno avallato la condotta omissiva degli amministratori esecutivi comporta la violazione dei loro obblighi sia che questi debbano essere valutati alla stregua del dovere di vigilanza di cui alla normativa antecedente la riforma del diritto societario del gennaio 2003, sia che si debba far riferimento, invece, al mero obbligo di agire informati che si ravvisa in capo agli amministratori a seguito della nuova formulazione dell’art. 2392 c.c. che ha, invero, abolito l’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione sociale. Partendo dal presupposto della mancanza di un obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione sociale da parte di tutti gli amministratori va, tuttavia, osservato che l’art. 2381, 3° comma, c.c., stabilisce che il consiglio di amministrazione debba valutare, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. Tale previsione che sembrerebbe, quindi, imporre, un controllo sull’andamento della gestione circoscritto alle informazioni fornite dagli amministratori delegati [10] deve essere, però coordinata con la previsione di cui all’ultimo comma del medesimo art. 2381 c.c. che prevede, per l’appunto, il dovere degli amministratori deleganti di agire in modo informato. Tale coordinamento si palesa necessario al fine di non far rivivere quell’obbligo di vigilanza sul generale andamento della gestione sociale, oggi non più sussistente in capo agli amministratori, nel dovere di agire in modo informato. La responsabilità degli amministratori privi di deleghe è, infatti, oggi riconnessa alla violazione del dovere di agire informati di cui all’art. 2381 c.c. che impone sia di avvalersi delle informazioni ricevute, sia di attivarsi motu proprio nel caso sussistano segnali di allarme tali da indurre a ricercare dati [continua ..]
Con riferimento, infine, alla responsabilità dei sindaci nella sentenza in esame il Tribunale ha statuito che dei danni causati dagli amministratori devono rispondere anche i sindaci delle due società considerato che l’insolvenza manifestatasi con il mancato rimborso del prestito obbligazionario era stata rilevata da alcuni sindaci già nel novembre del 2002 e che, comunque, non poteva non essere non conosciuta dagli altri sindaci. I sindaci, sebbene non possano influire direttamente sulla gestione della società, essendo questa riservata agli organi amministrativi, non potendo pertanto determinare o vietare le scelte degli amministratori, hanno un potere-dovere di controllo, che se fosse stato esercitato, nella fattispecie, avrebbe impedito il ritardo nella dichiarazione di insolvenza. L’art. 2407 c.c. individua, infatti, una responsabilità dei sindaci solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica [14]. Tale ipotesi di responsabilità concorrente, che si distingue dall’ipotesi di responsabilità esclusiva prevista dal 1° comma dell’articolo in questione che concerne, invece, la verità delle attestazioni da loro compiute, è relativa ad atti compiuti dagli amministratori ma fonda il suo presupposto in una negligenza propria [15] del sindaco consistente, appunto, nel non aver compiutamente vigilato [16]. I doveri che gravano sui sindaci sono non solo in funzione dell’interesse dei soci ma anche di quello dei creditori sociali [17]. Il ruolo del collegio sindacale, come si evince dalla nuova formulazione dell’art. 2403 c.c. che a seguito della riforma del 2003 espressamente contempla la vigilanza sul “rispetto dei principi di corretta amministrazione”, non è limitato allo svolgimento di compiti di mero controllo contabile e formale ma è esteso anche al contenuto della gestione [18]. Il Tribunale di Roma richiama, poi, condividendolo, un consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di responsabilità degli organi sociali delle società di capitali per il quale la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dall’art. 2407, 2° comma, c.c., non richiede l’individuazione di [continua ..]
Da ultimo, per completezza, occorre brevemente soffermarsi sul criterio adottato dal Tribunale di Roma per la quantificazione dei danni. In tema di responsabilità degli amministratori, il danno risarcibile concerne il progressivo peggioramento della situazione patrimoniale della società, sia sotto il profilo delle perdite, sia sotto il profilo del mancato guadagno. Nella fattispecie il Tribunale di Roma ha rilevato che il ritardo nella dichiarazione di insolvenza ha causato danni corrispondenti agli interessi maturati sui debiti delle due società successivamente alla data in cui, presumibilmente e ragionevolmente, sarebbe potuta intervenire la dichiarazione dello stato di insolvenza da parte del Tribunale nel caso in cui gli amministratori avessero diligentemente adempiuto i loro doveri. Il Tribunale non ha, poi, ravvisato la sussistenza di un danno nel pagamento di debiti da parte della società considerato che tali pagamenti sono revocabili e che alcuna prova è stata fornita in merito all’impossibilità di recuperare le somme. Il debito in questione avendo natura risarcitoria forma, inoltre, oggetto di rivalutazione monetaria, costituendo, appunto un debito di valore. Il Tribunale di Roma, nella quantificazione dei danni causati dagli amministratori e dai sindaci, sposa, dunque, quell’orientamento [20] per il quale può essere imputato all’amministratore esclusivamente il danno che è conseguenza immediata e diretta delle violazioni poste in essere nella gestione societaria. Il nesso di causalità giuridica impone, in virtù del principio di cui all’art. 1223 c.c., che siano risarcibili esclusivamente le perdite che siano conseguenza immediata e diretta del fatto lesivo. Il danno risarcibile deve essere, quindi, determinato in misura pari alla diminuzione patrimoniale effettivamente sofferta che nella fattispecie corrisponde all’aggravamento del passivo dipendente, appunto, dal ritardo da parte degli amministratori nell’attivarsi per la richiesta della dichiarazione dello stato di insolvenza.