Il contributo affronta il tema del decorso del termine di prescrizione dei crediti nella fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni. Secondo la soluzione interpretativa offerta, la prescrizione ricomincia a decorrere solo a partire dalla chiusura delle attività liquidatorie, evitando così per i creditori concorsuali che durante il concordato si realizzi l’effetto estintivo del diritto conseguente al decorso della prescrizione.
The study focuses on the running of limitation period for claims in the executive phase of composition with creditors proceedings (aimed at the liquidation of assets). According to the interpretative solution offered, the limitation period starts to run again only from the end of the liquidation activities, thus avoiding that the extinction effect of the rights resulting from the statute of limitations is realized during the proceeding.
KEY WORDS: Arrangement with creditors, Enforceability , Delegated Judge, Liquidation, Liquidation of assets, Approval. Prescription, Par condicio, Allocation.
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1. Introduzione - 2. Natura della fase liquidatoria del concordato e divieto di esecuzioni individuali - 3. Inefficacia dei pagamenti per debiti anteriori al concordato - 4. Prescrizione dei crediti nella fase esecutiva del concordato: il contrasto tra giurisprudenza di legittimità e di merito - 5. L’interruzione della prescrizione ai sensi dell’art. 2935 c.c. - 6. L’inidoneità di un atto di costituzione in mora a interrompere la prescrizione - 7. Il momento a partire dal quale i crediti divengono esigibili - 8. L’applicazione dell’art. 2935 c.c. per ragioni di giustizia sostanziale - 9. Le ordinanze del 2021-2022 dei Tribunali di Milano, Roma e Brescia - 10. Conclusioni - NOTE
Negli anni recenti si è andato consolidando un orientamento di legittimità [1], secondo il quale il termine di prescrizione dei crediti – in assenza di validi atti interruttivi – continua a decorrere anche nel corso delle attività esecutive del concordato preventivo con cessione dei beni. Da ciò deriva l’effetto, invero nefasto per il ceto creditorio, per cui un imprenditore ammesso alla procedura di concordato, approvato dai creditori e omologato dal Tribunale, dopo dieci anni (ai sensi dell’art. 2946 c.c.; oppure dopo il diverso termine speciale eventualmente applicabile) dall’omologazione (o dall’ultimo diverso atto interruttivo) può eccepire ai creditori concorsuali l’estinzione dei loro diritti per intervenuta prescrizione. Questo orientamento giurisprudenziale si fonda tuttavia su un’interpretazione che pare fuorviante e irragionevole rispetto sia alle norme che regolano il concordato preventivo liquidatorio, sia alle norme dettate dal codice civile e dalla Legge Fallimentare in tema di prescrizione dei crediti. La giurisprudenza di legittimità sul tema oltretutto non pare fin qui aver fornito ricostruzioni e interpretazioni soddisfacenti, con particolare riferimento al principio di concorsualità che informa la procedura di concordato preventivo, al connesso divieto di azioni esecutive di cui all’art. 168 L. Fall., nonché al vincolo obbligatorio che l’art. 184 L. Fall. comporta per tutti i creditori anteriori in caso di omologazione; da altro punto di vista, la stessa ha quasi del tutto omesso di esprimersi sull’applicabilità e sulla portata che nel caso di specie ha l’art. 2935 c.c. in tema di esigibilità del diritto di credito [2]. Affrontando la quaestio iuris secondo queste direttrici, si ritiene che l’orientamento di legittimità in parola si riveli meno solido di quanto potrebbe sembrare prima facie, e possa essere superato individuando proprio nell’esigibilità del diritto il trigger che fa scattare la prescrizione.
La giurisprudenza è chiara nell’affermare che la fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni è inquadrabile nel genus dei procedimenti di esecuzione forzata [3]. A norma dell’art. 168 L. Fall., sono inibite le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore “dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese e fino al momento in cui il decreto di omologazione del concordato preventivo diventa definitivo”. Tuttavia, la giurisprudenza maggiormente condivisibile (a parere di chi scrive) – con specifico riferimento al concordato con cessione dei beni – si esprime nel senso che il divieto persiste anche dopo l’omologazione, rendendo così improponibili le azioni individuali intraprese successivamente ed improcedibili quelle già intraprese prima, e ciò sulla base delle considerazioni per cui: – i beni oggetto della cessione ai creditori sono vincolati alla loro soddisfazione; – la disponibilità dei beni stessi è limitata ai soli atti che siano funzionali all’esecuzione del concordato; – altrimenti, si violerebbe la par condicio creditorum [4]. Se, pertanto, nella fase del procedimento in senso stretto, la priorità di sottrarre il patrimonio alla minaccia dell’esecuzione è garantita dall’art. 168 L. Fall., il quale estende il divieto fino al momento in cui il decreto di omologazione diventa definitivo, nella fase successiva, avente ad oggetto l’adempimento degli impegni del debitore, sopravviene la norma di cui all’art. 184 L. Fall., che replica implicitamente un principio limitativo dell’attività del creditore basato sulla valutazione delle conseguenze sostanziali dell’intera procedura concorsuale [5]. Fino alla chiusura dei riparti, dunque, persiste il divieto per i creditori di coltivare o intraprendere azioni esecutive.
Corollario del divieto di esecuzioni contro il debitore in concordato è che, così come nel fallimento, eventuali pagamenti fatti dal debitore in concordato siano inefficaci, come statuito da giurisprudenza consolidata [6]. Sebbene l’art. 169 L. Fall. non richiami espressamente l’art. 44 L. Fall. (che tale inefficacia prevede per il fallimento), anche alla procedura di concordato deve ragionevolmente applicarsi il principio in base al quale sono inefficaci o inopponibili alla stessa procedura i pagamenti effettuati dal debitore concordatario in favore dei suoi creditori al di fuori del piano concordatario e comunque in violazione della par condicio creditorum (a prescindere che tali pagamenti siano effettuati nel periodo intercorrente tra la presentazione della domanda di concordato e la sua omologa o solo successivamente a quest’ultima). La giurisprudenza della Cassazione ha più volte ribadito il principio per cui “in caso di risoluzione del concordato preventivo e di conseguente dichiarazione di fallimento, […] sono privi di efficacia quegli atti che, pur trovando la loro ragione d’essere nella procedura concordataria, siano divenuti estranei alle finalità dell’istituto, in quanto eseguiti al di là dei limiti stabiliti nella sentenza di omologazione o in violazione del principio della par condicio creditorum e dell’ordine delle prelazioni” [7].
A norma dell’art. 168, 2° comma, L. Fall., le prescrizioni rimangono sospese per la durata del procedimento di concordato preventivo ed esattamente fino al decreto di omologazione. Tuttavia, la legge nulla stabilisce di esplicito per la fase successiva. La Corte di Cassazione, quindi, ha tratto il principio secondo cui il termine prescrizionale riprenderebbe a decorrere dopo la definitività del decreto di omologazione [8], in considerazione del fatto che la procedura di concordato preventivo non costituirebbe un impedimento giuridico per il creditore a far valere il proprio diritto, non essendovi alcun ostacolo a formulare nei confronti del debitore in concordato istanze, solleciti ed atti cautelativi di costituzione in mora ai fini dell’art. 2943 c.c. [9]. Tale orientamento di legittimità pare criticabile per tutti i motivi che verranno meglio esposti infra. Occorre inoltre menzionare un orientamento opposto, perlopiù di merito, secondo cui la prescrizione rimane sospesa (o comunque non decorre) anche nella fase esecutiva [10]. Questo orientamento di merito ha recentemente trovato nuova linfa [11], e si ritiene preferibile perché permette all’interprete una soluzione coerente al problema in questione, senza la necessità di addentrarsi in terreni interpretativamente scivolosi come, per esempio, quello offerto dall’art. 2941, 6° comma, c.c., su cui argomenta la maggior parte delle recenti sentenze di legittimità sul tema, spesso con formule ripetitive [12].
Si ritiene che la giurisprudenza sul tema in questione non abbia dato sufficiente e idoneo risalto all’art. 2935 c.c., secondo il quale “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. Infatti, durante la procedura di concordato preventivo (compresa la sua fase liquidatoria), il creditore non può realmente far valere il suo diritto. Non pare corretto, quindi, escludere l’applicazione dell’art. 2935 c.c. nel caso di specie, accogliendo un’interpretazione meramente letterale (quindi capziosa) di tale norma, secondo cui la possibilità di compiere atti stragiudiziali o agire in sede di cognizione per far accertare il proprio credito nei confronti del debitore in concordato sarebbe sufficiente ad escludere la sospensione o interruzione della prescrizione. Invero, non deve dimenticarsi che in senso processualcivilistico l’azione esecutiva è quella alla base del processo di esecuzione forzata ed è finalizzata a ottenere l’effettivo soddisfacimento del diritto soggettivo in caso di mancata collaborazione del soggetto obbligato. Ebbene, è evidente che il concordato liquidatorio viene intrapreso da debitori che non sono più in grado di adempiere le proprie obbligazioni a causa di una conclamata situazione di crisi, e che espressamente dichiarano al ceto creditorio di non poter (né voler) pagare i propri debiti oltre le percentuali offerte a saldo e stralcio nell’ambito della proposta concordataria. In questa situazione, l’unica tutela giurisdizionale per i creditori, idonea a far decorrere la prescrizione ai sensi dell’art. 2935 c.c., non può che essere quella effettiva garantita da un’azione esecutiva. Esecuzione che, tuttavia, né nella fase di procedura di concordato strettamente intesa (dal ricorso introduttivo all’omologazione) né nella fase successiva di esecuzione del piano, è possibile intraprendere, in quanto vietata dall’art. 168 L. Fall. e dall’interpretazione che della norma ha dato la giurisprudenza che qui si ritiene preferibile. Occorre quindi interrogarsi sull’effettiva possibilità di “far valere” un credito nel concordato liquidatorio. Al di là della formulazione letterale della norma, pare doversi ammettere che, laddove la legge ponga un ostacolo alla soddisfazione (spontanea o coattiva) del [continua ..]
Al di là dell’individuazione del preciso perimetro e contenuto dell’“esercizio del diritto” di cui all’art. 2935 c.c., occorre indagare se nel caso di specie un ipotetico atto di messa in mora sia in grado di produrre effetti, cioè se sia in grado – nel caso concreto in cui si trovano creditore e debitore – di dare soddisfazione all’interesse tutelato da quella posizione giuridica soggettiva (cioè ottenere il pagamento della somma di denaro oggetto del diritto di credito). Alla luce di quanto suesposto, parrebbe illogico pretendere che i creditori, per evitare che il loro credito si prescriva, debbano durante l’esecuzione del concordato mettere continuamente in mora il debitore, pur sapendo che questi non ha la possibilità di adempiere, né essi di agire esecutivamente. Innanzitutto, si evidenzia come la fase esecutiva del concordato preventivo liquidatorio vada pacificamente equiparata a un’esecuzione forzata sui beni del debitore [15]. In secondo luogo, come già illustrato in precedenza, l’art. 44 L. Fall. deve ritenersi applicabile anche al concordato preventivo liquidatorio, ivi compresa la fase della sua esecuzione, con la conseguenza che il debitore in concordato non può fare pagamenti per debiti anteriori [16]. Alla luce di tutto ciò, deve dunque desumersi che eventuali diffide o lettere di costituzione in mora inviate da un creditore al debitore in concordato (in particolare durante la sua fase liquidatoria) siano del tutto inefficaci (oltre che inutili). Va richiamato a questo proposito l’art. 1219 c.c. (“Costituzione in mora”) che al 2° comma stabilisce testualmente che: “Non è necessaria la costituzione in mora: […] 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione; 3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore”. La terza ipotesi di mora automatica di cui all’art. 1219 c.c., concernente le obbligazioni “portables”, è ispirata proprio alla superfluità di un’iniziativa del creditore tutte le volte in cui la collaborazione richiestagli sia limitata al compito meramente passivo di ricevere la prestazione (cioè quello che normalmente accade nel concordato preventivo a seguito dell’espressione del voto e della [continua ..]
Per stabilire quando sussista l’esigibilità dei crediti (che è presupposto della messa in mora) e dunque quando possa dirsi che i creditori riacquistino la piena e autonoma disponibilità dei propri diritti (e, conseguentemente, la possibilità di pretenderne la soddisfazione), è dirimente individuare il momento nel quale il completamento delle attività liquidatorie faccia sorgere in capo al Commissario Liquidatore una posizione soggettiva che lo legittimi (o lo obblighi, a seconda della visuale) a pagare quanto dovuto ai creditori (e da questi preteso). Innanzitutto, si ritiene di poter escludere che abbia rilievo il mero esaurimento delle attività di liquidazione degli asset aziendali, perché detta fase ha precipuamente lo scopo di predisporre le somme necessarie all’adempimento della proposta concordataria (mediante l’incasso del prezzo di vendita dei beni aziendali ceduti e liquidati). Ciò premesso, va evidenziato che la disciplina del concordato preventivo non contiene alcuna norma in ordine alla conclusione della fase esecutiva, da cui possa desumersi che l’autorità giudiziaria debba dichiarare che il concordato preventivo sia stato adempiuto e la fase liquidatoria completata. Ciononostante, è frequente nella prassi che i Tribunali adottino provvedimenti con cui dichiarano la chiusura della procedura (in senso lato) di concordato preventivo. Secondo l’orientamento prevalente (e preferibile, seguendo quanto statuito da Cass., Sez. Un., 16 luglio 2008, n. 19506), tali provvedimenti “rientrano nel novero degli atti di giurisdizione esecutiva – allorché assolvono ad una funzione corrispondente a quella dei provvedimenti di analogo tenore emessi nell’ambito della liquidazione fallimentare”. Inoltre, si ritiene che anche nel concordato preventivo con cessione dei beni – una volta compiuta la liquidazione dell’attivo e prima del riparto finale – deve essere presentato al Giudice Delegato ed approvato un rendiconto: a) innanzitutto, per il richiamo operato dall’art. 165, 2° comma, L. Fall. (“Si applicano al commissario giudiziale gli articoli 36, 37, 38 e 39”) all’art. 38, ultimo comma, L. Fall. (“Il curatore che cessa dal suo ufficio, anche durante il fallimento, deve rendere il conto della gestione a norma dell’art. 116”); b) in secondo luogo, e [continua ..]
L’istituto della prescrizione trova fondamento in una duplice esigenza: da un lato, quella di carattere pubblicistico, di conferire certezza ai rapporti giuridici, di sanzionare l’inerzia ingiustificata del titolare del diritto e di adeguare la situazione di diritto a quella di fatto; dall’altro lato, quella di matrice prettamente privatistica, di liberare da vincolo giuridico il soggetto titolare del diritto contrapposto a quello facente capo al soggetto che omette di esercitarlo. Si ritiene che l’inerzia dei creditori di imprese sottoposte a concordato preventivo liquidatorio, a seguito dell’avvenuta omologazione (e soprattutto laddove la durata della procedura sia esorbitante), non sia affatto ingiustificata. Anzi, la stessa si fonda su un affidamento nel soddisfacimento concordatario, che risulta essere legittimo e degno di tutela, perché basato su un particolare tipo di accordo, frutto di una procedura con caratteri sia privatistici sia pubblicistici, e assimilabile, nella sua fase liquidatoria, a un procedimento di esecuzione forzata [23]. Da una prospettiva più ampia, si evidenzia inoltre che anche la stessa giurisprudenza contraria all’applicabilità dell’art. 2935 c.c. ammette come in alcuni casi tale norma debba comunque applicarsi per ragioni di giustizia sostanziale [24]. Pare quindi davvero paradossale e contrario a una tutela effettiva dei creditori, addossare a loro i rischi connessi alla durata del concordato preventivo liquidatorio, e in particolare quello rappresentato dall’estinzione dei diritti di credito, laddove si ammetta il decorso del relativo termine di prescrizione.
Le soluzioni interpretative qui proposte, basate sul rilievo dell’art. 2935 c.c., sono state di recente confermate da tre rilevanti pronunce di merito. Con ordinanza del 15 marzo 2021 (per quanto consta, inedita), il Tribunale di Milano [25]: a) ha apertamente sconfessato gli orientamenti della Corte di Cassazione richiamati (Cass. nn. 5667, 12059 e 20889 del 2019), e soprattutto ha accolto le argomentazioni vertenti sull’art. 2935 c.c. in tema di esigibilità dei crediti; b) ha opportunamente valorizzato i caratteri di concorsualità che connotano la fase esecutiva del concordato preventivo liquidatorio, a partire da una puntuale esegesi dell’art. 168, 1° e 2° comma, L. Fall.; c) da ultimo, argomentando a partire dal concetto generale di “esercizio del diritto”, ha smentito le tralatizie formulazioni giurisprudenziali secondo cui un atto stragiudiziale di messa in mora sarebbe atto idoneo e sufficiente a interrompere la prescrizione. Anche il Tribunale di Roma, con ordinanza del 3 febbraio 2021 [26], ha statuito in termini analoghi in un contenzioso dai tratti similari. Il Tribunale capitolino ha fatto leva innanzitutto sul principio della par condicio creditorum e, in secondo luogo, sull’effetto, in termini di esigibilità dei crediti ai sensi dell’art. 2935 c.c., del decreto di omologazione ai sensi dell’art. 184 L. Fall., per concludere infine che il termine da cui far decorrere la prescrizione dei crediti va individuato nell’esecutività di un piano di riparto che tale credito includa. Di recente, il medesimo orientamento di merito ha trovato conferma nell’ordinanza del 12 febbraio 2022 del Tribunale di Brescia [27] (anch’essa, per quanto consta, inedita), che ha richiamato i due precedenti summenzionati e ha affermato la centralità dell’art. 2935 c.c., la cui portata va esaminata alla luce del vincolo obbligatorio che l’art. 184 L. Fall. comporta per tutti i creditori anteriori in caso di omologazione di concordato preventivo liquidatorio. Tale vincolo infatti costituisce un impedimento legale all’esercizio del diritto di credito, idoneo a escludere il decorso della prescrizione.
Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi che la prescrizione dei diritti di credito non decorra durante la fase esecutiva del concordato preventivo con cessione dei beni, e ricominci invece a decorrere solo a partire dalla chiusura delle attività liquidatorie [28].