Prendendo spunto dalla pronunzia del Tribunale di Trieste, l’A., dopo aver accennato in linea generale alla disciplina della tutela privilegiata dei crediti sotto il profilo dei criteri interpretativi e dell’ambito di operatività delle relative norme, puntualizza i profili salienti di alcuni privilegi che assistono i crediti derivanti dal recupero delle agevolazioni pubbliche di sostegno alle imprese (segnatamente, quello di cui all’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998 e quello regolato dall’art. 8-bis D.L. n. 3/2015), per infine soffermarsi sulle questioni di diritto intertemporale sollevate nel fallimento dall’introduzione di un nuovo privilegio a seguito di ius superveniens.
Moving from the deliberation of the Trieste Court, and after a general survey of the legislation pertaining to the privileged protection of credit and with reference to the criteria of interpretation and limits application, the paper focuses on some special privileges pertaining to credits derived from the recovery of public subsidies offered to sustain private enterprises (Re. art. 9, 5° co., D.Lgs n. 123/1998 and art. 8-bis, D.L. n. 3/2015) with final remarks on issues of intertemporal jurisprudence raised in cases of bankruptcy by the introduction of new privileges based on jus superveniens.
1. Il caso deciso dal Tribunale di Trieste - 2. I criteri interpretativi e l’ambito di operatività delle norme in materia di privilegi. Cenni - 3. Il privilegio di cui all’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998 per i crediti derivanti dal recupero delle agevolazioni pubbliche ed il suo ambito di applicazione - 4. L’art. 8-bis, 3° comma, D.L. n. 3/2015 e la tutela privilegiata del credito restitutorio del Fondo di garanzia per le PMI relativo alle somme liquidate a titolo di perdite - 5. La natura delle norme attributive dei privilegi: la prospettiva processualistica - 6. (Segue): in particolare: immediata applicabilità del nuovo privilegio e sistema fallimentare - 7. (Segue): la tesi sostanzialistica delle norme sui privilegi e le sue conseguenze in ambito fallimentare - 8. Conclusioni - NOTE
La sopravvenienza di una nuova normativa in materia di privilegi ripropone serialmente, specie in ambito concorsuale, delicate questioni teoriche e pratiche di diritto intertemporale, prima fra tutte quella della decorrenza degli effetti dell’innovazione legislativa [1]. Un campionario particolarmente interessante di questi motivi problematici è fornito dalla pronunzia in rassegna, che ha affrontato una tematica per nulla insolita nell’operatività delle vicende concorsuali. Nello specifico il Tribunale giuliano è stato chiamato ad occuparsi, in sede di opposizione allo stato passivo, della domanda di recupero di interventi pubblici di sostegno erogati ad un’impresa poi entrata in procedura, pervenendo alla decisione di riconoscere la tutela privilegiata sancita da una norma sopravvenuta al credito restitutorio del Fondo di garanzia per le PMI [2]. Il caso oggetto della decisione può essere sintetizzato come segue [3]. Una società aveva ottenuto da una banca un finanziamento chirografario, assistito in parte dalla garanzia prestata dal Fondo. A seguito dell’inadempimento della società beneficiaria del finanziamento, la banca finanziatrice aveva escusso la garanzia ed il Fondo aveva pagato la quota parte del credito garantito, acquisendo così il diritto di surroga ex art. 1203 c.c. nella posizione creditoria della banca [4]. Il credito del Fondo – nello svolgimento delle relative procedure di recupero per conto di questo, il gestore beneficia dell’applicazione della procedura esattoriale [5] – era stato conseguentemente iscritto a ruolo e, intervenuto il fallimento della società finanziata, tempestivamente insinuato al passivo dall’agente della riscossione, che ne aveva richiesto l’ammissione in via privilegiata [6]. L’invocata prelazione non era stata riconosciuta dal giudice delegato [7]. Diversamente, l’opposizione allo stato passivo proposta su questo punto è stata accolta dal Tribunale [8]. Le argomentazioni sviluppate nel decreto a sostegno di questa decisione sono, qui di seguito sommariamente schematizzate, le seguenti [9]: a) ai fini della decisione sulla sussistenza o meno di un privilegio non è rilevante la qualificazione della prestazione operata dalle parti, ma la caratteristica del credito a cui afferisce in quanto tale; b) il [continua ..]
Il primo argomento, con altre parole, può riassumersi nella regola, pacificamente accolta, per la quale, al fine di individuare l’oggetto del privilegio e determinarne l’estensione soggettiva, si deve avere riguardo alla causa del credito [10]. L’applicazione in concreto di questa regola postula un rapido excursus sul tema, strettamente connesso ma lasciato nell’implicito dal decreto, relativo ai canoni ermeneutici da seguire nell’interpretazione delle norme in materia di privilegi. Il principio che viene qui in considerazione è quello, consolidato, secondo cui il regime dei privilegi, per il contenuto limitativo che esso comporta nei confronti del debitore, non può essere interpretato in via analogica [11]. Le norme che prevedono i privilegi – la natura dei quali, ricordiamolo, è connotata dai caratteri di legalità e tipicità – sono, cioè, di stretta interpretazione [12]. Mette conto di aggiungere che questo criterio è stato precisato [13], anche alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale [14], nel senso che: a) a fronte di una norma attributiva di un privilegio, non è consentito utilizzare lo strumento ermeneutico per introdurre, sia pure in considerazione del rilievo costituzionale di un determinato credito, una causa di prelazione ulteriore, in quanto una simile operazione implicherebbe la configurazione di un autonomo modulo normativo che codifichi la tipologia del nuovo privilegio ed il suo inserimento nel sistema di quelli preesistenti, ciò che invece costituisce una scelta economico – politica riservata alla discrezionalità del legislatore; b) è, per converso, ammissibile l’utilizzabilità dello strumento ermeneutico non solo nei limiti consentiti dalla massima portata semantica dell’espressione legislativa, ma anche quando l’estensione della norma a un caso non compreso nella lettera legislativa sia giustificata da un giudizio di meritevolezza del medesimo trattamento, fondato sulla ratio legis indipendentemente dalla somiglianza al caso previsto; c) il confine tra le due fattispecie come sopra individuate è costituito dalla causa del credito, che, ai sensi dell’art. 2745 c.c., rappresenta la ragione giustificatrice della creazione di qualsiasi privilegio, perciò valendo a [continua ..]
La seconda questione che la pronunzia ha affrontato, risolvendola in senso negativo, riguarda l’applicabilità al credito restitutorio del Fondo di garanzia per le PMI del privilegio per i crediti derivanti dal recupero delle agevolazioni pubbliche istituito dall’art. 9, 5° comma, D.Lgs. n. 123/1998, cit. [16]. La definizione del privilegio in parola operata dal Tribunale segue una linea già tracciata da altri precedenti rinvenibili nel panorama giurisprudenziale, che offrono un saggio applicativo concreto delle regole ermeneutiche a cui abbiamo fatto cenno nel precedente paragrafo [17]. Questo approdo è la risultante di un percorso che muove dalla ricognizione della normativa di riferimento nella quale si cala l’istituzione del privilegio, che è quella della disciplina degli interventi pubblici di sostegno all’economia contenuta nel D.Lgs. n. 143/1998, cit. [18]. Nel contesto di questo articolato, che vuole essere il quadro disciplinare fondamentale degli interventi di sostegno pubblico alle imprese [19], assumono decisivo rilievo ai fini dell’indagine, in particolare, gli artt. 7 e 9. L’art. 7, 1° comma, D.Lgs., cit., individua le modalità di erogazione degli interventi, prevedendo che gli stessi possono consistere «in una delle seguenti forme: credito d’imposta, bonus fiscale (...), concessione di garanzia, contributo in conto capitale, contributo in conto interessi, finanziamento agevolato». Il successivo art. 9 disciplina la revoca dei benefici, la relativa procedura e la misura delle restituzioni conseguenti alla revoca. Particolarmente, quanto alle cause della revoca, l’articolo stabilisce che questa è disposta: a) «in caso di assenza di uno o più requisiti, ovvero di documentazione incompleta o irregolare, per fatti comunque imputabili al richiedente e non sanabili» (1° comma); b) «qualora i beni acquisiti con l’intervento siano alienati, ceduti o distratti nei cinque anni successivi alla concessione, ovvero prima che abbia termine quanto previsto dal progetto ammesso all’intervento» (3° comma); c) «per azioni o fatti addebitati all’impresa beneficiaria» (4° comma, dove, nella prospettiva delle restituzioni, si fa nuovamente riferimento anche alle sopra riportate ipotesi di cui al 1° e 3° comma). Il privilegio di cui si [continua ..]
Non è quindi un caso – come ha sottolineato il Tribunale svolgendo il terzo argomento a sostegno della sua decisione – che sul punto specifico relativo alle garanzie concesse dal Fondo di garanzia per le PMI vi sia stato il successivo intervento legislativo attuato con l’art. 8-bis, 3° comma, D.L. n. 3/2015, convertito dalla L. n. 33/2015, cit. Questa disposizione ha infatti stabilito: «Il diritto alla restituzione, nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di Garanzia [per le PMI] (...) costituisce credito privilegiato e prevale su ogni altro diritto di prelazione, da qualsiasi causa derivante, ad eccezione del privilegio per spese di giustizia e di quelli previsti dall’art. 2751-bis del codice civile, fatti salvi i precedenti diritti di prelazione spettanti ai terzi. La costituzione e l’efficacia del privilegio non sono subordinate al consenso delle parti. Al recupero del predetto credito si procede mediante iscrizione a ruolo ai sensi del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 e successive modificazioni». Pur non essendo la norma impeccabile dal punto di vista della tecnica redazionale, il legislatore è riuscito comunque ad esprimere in termini sufficientemente decifrabili il concetto che il credito del Fondo (il «diritto alla restituzione [...] delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo») nei confronti del beneficiario del finanziamento assistito dalla sua garanzia (il “benficiario finale”) – credito sorto a seguito dell’escussione della stessa da parte della banca finanziatrice – e nei confronti di eventuali contro garanti del Fondo (i “terzi prestatori di garanzie”) gode di tutela privilegiata. Ha colto pertanto nel segno la decisione in commento quando ha rilevato che la disposizione adesso «premia in termini generali il “diritto alla restituzione nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzie, delle somme liquidate (...)” prescindendo completamente dalla dinamica a monte della ripetizione, sia essa conseguente ad una revoca o meno»: la legge ha cioè «voluto superare la distinzione di titolo, ammettendo a privilegio» tale diritto di credito, in quanto «connotato, più che dalla tipologia restitutoria [continua ..]
5. La natura delle norme attributive dei privilegi: la prospettiva processualistica È ricorrente l’affermazione secondo cui, data la natura e la funzione dell’istituto, i privilegi, in quanto causa di prelazione, costituiscono sempre una deroga al concorso dei creditori ex art. 2741 c.c. e presuppongono, per esercitare la loro efficacia pratica, un’espropriazione forzata, individuale o concorsuale (ovvero un procedimento assimilabile), non essendo concepibile che questi possano operare al di fuori della procedura espropriativa [34]. In altri termini, è possibile affermare che solo quando si imponga il concorso dei creditori, in sede esecutiva individuale (v. infatti l’art. 510, 2° comma, c.p.c.) o concorsuale che sia, si concretizza il momento di attuazione del diritto di prelazione [35]. L’amplificazione di questo rilievo ha condotto a sostenere che le norme attributive di un privilegio hanno, pertanto, natura essenzialmente processuale, poiché l’unico orizzonte in cui le stesse possono trovare applicazione è quello dell’elaborazione di piani di riparto in sede di esecuzione, concorsuale od individuale [36]. Riguardato da questa prospettiva processualistica, il regime intertemporale delle norme attributive di un nuovo privilegio risulterebbe perciò regolato, come si è poc’anzi messo in evidenza (v. supra, par. 4), dal principio tempus regit actum [37], e dunque, dal canone dell’immediata applicabilità da parte del giudice procedente. L’eco di questa interpretazione sembra potersi avvertire nella giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui, alla luce dei «principi generali delle procedure fallimentari, l’introduzione di un nuovo privilegio da parte del legislatore deve sempre ricevere immediata applicazione da parte del giudice delegato, dal momento che le norme processuali sulla graduazione dei crediti si individuano avendo riguardo al momento in cui il credito viene fatto valere» [38]. Il che, in termini ancora più puntuali, implica che «per principio generale regolatore delle procedure concorsuali (fallimentari ed espropriative in generale), il privilegio introdotto ex novo dal legislatore è destinato a ricevere immediata applicazione da parte del giudice procedente, anche con riguardo a crediti che – [continua ..]
L’operatività nel fallimento [40] del principio dell’immediata applicabilità del nuovo privilegio da parte del giudice procedente deve tuttavia coordinarsi con la regola della necessarietà ed esclusività del procedimento di verificazione dei crediti ex artt. 92 ss. L. Fall. (art. 52, 2° comma, L. Fall.) e con quella, conseguente, dell’efficacia preclusiva (endofallimentare) dell’avvenuto accertamento del passivo (art. 96, ultimo comma, L. Fall.) [41]. Il canone generale che connota il sistema è, invero, quello che le statuizioni riguardanti il passivo fallimentare [42], una volta divenute definitive, «spiegano effetti preclusivi nell’ambito della procedura fallimentare di ogni questione relativa all’esistenza del credito, validità ed efficacia del titolo da cui deriva ed all’esistenza di eventuali cause di prelazione» e che «in sede di ripartizione dell’attivo del fallimento, oggetto della cognizione del giudice delegato sono solo le questioni relative alla graduazione dei crediti ed all’ammantare della somma distribuita, restando esclusa la proponibilità di ogni altra questione relativa all’esistenza, qualità e quantità dei crediti e dei privilegi, in quanto riservata in via esclusiva al procedimento di accertamento del passivo» [43]. Peraltro, nel caso di una legge istitutiva di un nuovo privilegio (con espressa attribuzione di retroattività [44]), questo canone generale, secondo la Corte di Cassazione [45], incontra un’eccezione [46]. Fin da epoca risalente, infatti, il Supremo Collegio ha enunciato il principio – «consolidato in termini di diritto vivente», secondo quanto certificato dalla Corte costituzionale [47] – per il quale il riconoscimento del nuovo privilegio in favore di crediti già ammessi definitivamente al passivo, in virtù della normativa anteriore, come chirografari può essere richiesto ed operato, anche dopo la formazione del giudicato endofallimentare e fino a quando il riparto non sia divenuto definitivo, con le forme dell’insinuazione tardiva ex art. 101 L. Fall.: questo in deroga al canone, altrimenti operante, della non utilizzabilità della domanda tardiva per il riconoscimento di un privilegio relativo al [continua ..]
Come si è anticipato (v. supra, par. 4), la lettura in chiave processuale delle norme istitutive dei privilegi non è l’unica possibile, né, pur se avallata dalla Consulta, risulta quella condivisa dalla Corte di Cassazione. Ad essa, infatti, si contrappone, la soluzione sostanzialistica, che può dirsi compendiata, al massimo livello, nella giurisprudenza del Supremo Collegio a Sezioni Unite [63], secondo cui «le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile che attengono alla qualità di alcuni crediti, consistente nella loro prelazione rispetto ad altri, per cui trova applicazione, salvo espressa deroga normativa (...), il principio generale di cui all’art. 11 preleggi, secondo cui le leggi non sono retroattive. Ne consegue che la modifica legislativa, che abbia introdotto un nuovo privilegio o modifiche ad uno già esistente, si applica solo se il credito sia sorto nello stesso giorno o in un giorno successivo rispetto al momento in cui la legge entra in vigore e pertanto la gradazione dei crediti si individua avendo riguardo al momento in cui il credito sorge e non quando viene fatto valere. In tal senso (...) non trattandosi (...) di norme processuali, le stesse non sono suscettibili di applicazione come ius superveniens ai giudizi in corso» [64]. Nella prospettiva sostanzialistica, le ricordate enunciazioni della Consulta, sulle quali la tesi opposta poggia la convalida della tesi della natura processuale delle norme in materia di privilegi (v. supra, par. 5), vengono svalutate come semplice «passaggio argomentativo” a cui «non può attribuirsi rilievo» «in quanto costituente un mero obiter, relativo ad una interpretazione di norme rimessa al giudice ordinario e reso, inoltre, con riguardo ad una disposizione [65] ... che viceversa conteneva la previsione di retroattività» [66]. Argomento, quest’ultimo, di per se stesso affatto decisivo, senza dimenticare, a voler essere precisi, che anche l’appena ricordata enunciazione delle Sezioni Unite sul punto specifico costituisce un obiter dictum. Né valore dirimente sembra potersi assegnare al rilievo che le norme sui privilegi sono disposizioni di diritto civile, stante il generale riconoscimento della presenza di norme processuali anche in questo codice, ed [continua ..]
Gli intrichi che si scoprono con l’analisi della decisione in commento fanno venire in rilievo un passaggio della Relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali proposto dalla “Commissione Rordorf”, che getta una luce anche sul tema dei privilegi. In essa viene infatti osservato come la relativa disciplina «si presenta oggi, effettivamente, assai frastagliata e, per molti aspetti, obsoleta» e gli interventi legislativi in materia – lo testimonia emblematicamente, aggiungiamo, la vicenda oggetto della pronunzia in rassegna – «scontano un grave deficit di sistematicità». Da qui «l’esigenza di una rivisitazione complessiva, cui un futuro legislatore delegato dovrebbe poter attendere all’esito di una scrupolosa rassegna di tutte le figure di privilegio oggi esistenti nell’ordinamento», tenendo «ben presente che il privilegio si pone, per sua stessa definizione, come un’eccezione al fondamentale principio di uguaglianza, onde esso si giustifica solo a condizione di rispondere ad un interesse del pari costituzionalmente protetto». Questa esigenza ha trovato consacrazione normativa nell’art. 10 della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 (Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza), basata sui lavori della Commissione, che ha stabilito il criterio direttivo volto «al riordino e alla revisione del sistema dei privilegi, principalmente con l’obiettivo di ridurre le ipotesi di privilegio generale e speciale, con particolare riguardo ai privilegi retentivi, eliminando quelle non più attuali rispetto al tempo in cui sono state introdotte e adeguando in conformità l’ordine delle cause legittime di prelazione». Tuttavia, per ragioni di tempo, la prospettiva di attuazione immediata di questo criterio è stata dichiaratamente lasciata cadere dalla seconda “Commissione Rordorf”, istituita il 5 ottobre 2017 e chiamata in gran fretta dal volgere al tramonto della legislatura [70] ad elaborare gli schemi dei decreti legislativi di attuazione della delega [71]. Resta, comunque, la meritorietà della scelta di mettere mano alla materia, anche se rinviata a tempi migliori [72]. Peraltro, non ci si può nascondere che la programmata razionalizzazione sistematica della disciplina [continua ..]