L’articolo mira ad analizzare le questioni sollevate dalla disciplina dei provvedimenti cautelari nella istruttoria pre-concorsuale, secondo la vigente legge fallimentare e il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Lo scritto dedica particolare attenzione alla tipologia delle misure cautelari adottabili dal tribunale e, specialmente, a quelle riguardanti l’amministrazione della società in crisi, alla luce del rapporto tra potere giudiziale e autonomia privata.
The paper aims to analyze the issues raised by the regulation of precautionary measures in pre-bankruptcy inquiry, according to the current Royal Decree no. 267/1942 (“legge fallimentare”) and to the new Legislative Decree no. 14/2019, modified from Legislative Decree no. 135/2016 (“Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza”). The paper pays particular attention to the typology of precautionary measures that can be adopted by the judge and especially to those concerning the administration of the troubled companies, in the light of relationship between judicial power and private autonomy.
Keywords: precautionary measures – pre-bankruptcy inquiry – troubled companies
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1. Le misure cautelari nella legge fallimentare e nel Codice della Crisi - 2. Gli obiettivi della tutela cautelare preconcorsuale e la strumentalità dei provvedimenti - 3. La tipologia dei provvedimenti cautelari e i rischi di un ampliamento indiscriminato - 4. L’inammissibilità della sostituzione degli amministratori in carica - 5. L’affidamento a terzi di poteri di amministrazione dell’impresa: critica e conclusione - NOTE
La legge fallimentare novellata (art. 15, 8° comma) prevede la possibilità per il tribunale di emettere, su istanza di parte, nel corso dell’istruttoria prefallimentare, “provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto del provvedimento, che hanno efficacia limitata alla durata del procedimento e vengono confermati o revocati dalla sentenza che dichiara il fallimento ovvero revocati con il decreto che rigetta l’istanza”. La norma – com’è noto – ha avuto un’applicazione piuttosto ampia e variegata nella prassi e ha suscitato un cospicuo dibattito dottrinale su diversi aspetti societari e processuali [1], di cui si trova eco anche nella giurisprudenza. Quest’ultima, però, ha manifestato la propensione a intendere molto, forse troppo estensivamente i poteri attribuiti all’autorità giudiziaria nella fase che precede l’apertura delle procedure di crisi e d’insolvenza delle società commerciali, adottando talora provvedimenti “invasivi”, atti a destabilizzarne l’assetto organizzativo, paralizzando o esautorando l’organo amministrativo e giungendo sino alla rimozione degli amministratori in carica e alla loro sostituzione con un amministratore giudiziario [2]. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (d’ora innanzi “CCII”), come modificato dal D.Lgs. 20 ottobre 2020, n. 147, introduce con gli artt. 54 (“Misure cautelari e protettive”) e 55 (“Procedimento”) una nuova disciplina dell’istituto, che si innesta nell’ambito del c.d. procedimento unitario di accesso alle procedure di regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza e la loro omologazione (artt. 48 e 113 CCII) e di apertura della liquidazione giudiziale (art. 49 CCII), ispirandosi al paradigma normativo della tutela cautelare “atipica” proprio dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. La nuova disciplina ha il pregio di risolvere alcuni dei problemi, specialmente processuali, emersi nella prassi giurisprudenziale precedente, conformandosi appunto allo schema del procedimento cautelare uniforme (artt. 669-bis ss. c.p.c.) [3], e di risolvere espressamente in senso positivo i dubbi sin qui sollevati circa la compatibilità delle misure cautelari con le procedure di regolazione negoziale della [continua ..]
Il problema cruciale che si pone – e che, a maggior ragione, per quanto detto, si porrà con l’entrata in vigore del CCII – è quello della reale capacità della disciplina processuale speciale di selezionare le misure cautelari legittimamente adottabili dal tribunale in funzione del perseguimento degli obiettivi di “tutela del patrimonio o dell’impresa del debitore”. Queste misure appaiono destinate a incidere, infatti, più che su singole situazioni giuridiche e rapporti obbligatori o negoziali dell’imprenditore in crisi, sull’organizzazione concreta e sull’esercizio dell’attività d’impresa. Ciò è anche dovuto al fatto che la “tutela” in discorso è concepita dalla normativa europea [10] (di cui la legge delega n. 155/2017 e il CCII hanno tenuto e dovranno vieppiù tenere conto) in termini eminentemente dinamici e prospettici; e questo, naturalmente, rischia di accentuare la flessibilità e mutevolezza dei detti obiettivi e di dilatare oltremisura il requisito della “strumentalità” della tutela cautelare. La Raccomandazione 135/2014/UE sull’introduzione di una disciplina uniforme in materia di insolvenza indicava come finalità quella di “garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria, ovunque siano stabilite nell’Unione, l’accesso a un quadro nazionale in materia di insolvenza che permetta loro di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza, massimizzandone pertanto il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l’economia in generale”. La Direttiva 20 giugno 2019, n. 1023 sui quadri di ristrutturazione preventiva prevede l’obbligo di assicurare un regime diretto a facilitare la ristrutturazione dell’impresa, ove vi sia la probabilità dell’insolvenza, chiarendo nella definizione di cui all’art. 2, lett. a) che tale è il regime che appresti misure che “intendono ristrutturare le attività del debitore che includono la modifica della composizione, delle condizioni o della struttura delle attività e delle passività del debitore o di qualsiasi altra parte della struttura del capitale del debitore, quali la vendita di attività o parti dell’impresa, e, se previsto dal diritto nazionale, la vendita [continua ..]
Ma torniamo all’esame particolareggiato degli artt. 2 e 54 CCII e dei provvedimenti cautelari adottabili. Non sono certamente in discussione i provvedimenti “conservativi” dei beni, dell’azienda e del patrimonio dell’imprenditore organizzato in forma societaria, e quindi il sequestro conservativo e giudiziario, con gli adattamenti della disciplina ordinaria imposti dall’oggetto e dalla finalità specifica della tutela [16]. Malgrado la nomina di un custode giudiziario delle attività oggetto di siffatti sequestri possa limitare fortemente i poteri gestori e dispositivi dell’organo amministrativo e quindi, giocoforza, condizionare la gestione dell’impresa che appartiene alla sua competenza [17] (tendenzialmente esclusiva nelle s.p.a.), anticipando più o meno ampiamente l’effetto di “spossessamento”, con conseguenze sulla soluzione della crisi o dell’insolvenza che potrebbero anche risultare indesiderabili. Tuttavia, per le società non vale la distinzione tra la sfera personale e quella imprenditoriale, né tantomeno quella tra amministrazione statica e dinamica del patrimonio del debitore. Per questa ragione, il pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale mediante operazioni distrattive o comunque pregiudizievoli per i creditori o per l’efficienza dell’impresa stessa, che potrebbero compromettere gli esiti delle procedure di crisi o d’insolvenza in pendenza del procedimento di apertura della liquidazione o di omologa dell’accordo o del concordato, esige e giustifica il sacrificio del debitore(-società), sia pure in presenza di altre discipline che presidiano ex post gli stessi interessi. Nemmeno sono qui in discussione i provvedimenti atipici di carattere “anticipatorio”, che, pur senza riguardare determinati elementi attivi patrimoniali, ordinano o inibiscono agli amministratori e agli organi sociali in genere il compimento di determinati atti o negozi [18], incidendo in via diretta o indiretta sull’attività gestionale, anche in relazione all’esecuzione di deliberazioni precedentemente approvate o di rapporti con soggetti terzi contraenti o con i creditori. Questi ultimi potranno talora risentire gli effetti riflessi dei provvedimenti del giudice del procedimento unitario, senza esserne colpiti in via immediata, in quanto estranei al procedimento, salvo che [continua ..]
La possibilità di rimozione o revoca e sostituzione dell’organo amministrativo della società, da parte del giudice della fase cautelare pre-concorsuale, tocca i problemi cruciali posti dal principio di “neutralità organizzativa” e dalla discussa tendenza della moderna legislazione concorsuale al superamento della barriera tra la sfera organizzativa e la sfera patrimoniale della società in crisi o insolvente [25]. Questa barriera è superata, com’è noto, nella disciplina del concordato, soltanto con riguardo alle “proposte concorrenti” (art. 163 L. Fall. e art. 90 CCII) e all’“esecuzione “forzata” del concordato preventivo delle società, specie a contenuto “riorganizzativo” [26], poiché la legge prevede espressamente (art. 185 L. Fall., art. 118 CCII) la possibilità che il tribunale conferisca al commissario giudiziale poteri gestori sostitutivi o che revochi l’organo amministrativo, nominando un amministratore giudiziario al fine di dare attuazione effettiva al piano o persino di approvare, in luogo dell’assemblea, le delibere aventi ad oggetto le operazioni sul capitale e straordinarie e le modifiche statutarie funzionali. Ma, al di fuori di queste previsioni, che presuppongono particolari sviluppi o patologie esecutive del concordato, la legge non prevede altre ipotesi d’intervento sull’organizzazione della società e gli amministratori mantengono la direzione dell’impresa, se pur in regime di “spossessamento attenuato”, interloquendo con i creditori e gli organi della procedura in una situazione di alterità e secondo una normale dialettica. D’altronde, anche in caso di fallimento o di liquidazione giudiziale, l’organizzazione sociale resta integra e la sua capacità decisionale incontra i soli limiti derivanti dalla perdita della disponibilità e dell’amministrazione del patrimonio, per cui i soci, l’assemblea e l’organo amministrativo possono ancora esplicare le loro prerogative purché non in contrasto con l’organizzazione e con le finalità della procedura [27]. Orbene, quanto detto dovrebbe bastare già a motivare l’illegittimità di una misura cautelare, disposta in fase di accesso alle procedure di crisi o d’insolvenza, avente ad oggetto la [continua ..]
Nemmeno può trovare ingresso nel novero delle misure cautelari atipiche adottabili nella fase pre-concorsuale, in alternativa alla sostituzione dell’organo amministrativo, la nomina di un “amministratore provvisorio dell’impresa”, che si affianchi agli amministratori in carica con poteri limitati all’organizzazione e alla gestione dell’impresa, allorquando la società si accinge a entrare nella procedura d’insolvenza o è in attesa di approvazione o omologazione di una soluzione negoziale della crisi [31]. La soluzione riecheggia l’affidamento al commissario giudiziale della gestione dell’impresa durante la c.d. fase di osservazione dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese (art. 19, D.Lgs. n. 270/1999), che però presuppone la dichiarazione d’insolvenza e si iscrive in una logica di diritto speciale che è governata – in via prioritaria rispetto ai diritti del debitore e degli stessi creditori – dalle “finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali”. A parte ciò, deve osservarsi che l’organizzazione e la gestione dell’impresa rappresentano il nucleo essenziale della funzione amministrativa, come tale inseparabile dall’organizzazione e dalla gestione della società. Un conto è, infatti, distinguere logicamente e normativamente i due profili o, magari, constatarne la possibilità di scissione (peraltro patologica) sul piano del rapporto di fatto [32]; altro conto è, invece, predicare la possibilità di “espropriazione” della funzione gestionale, cioè della direzione strategica dell’impresa in crisi o insolvente nella fase d’accesso alla procedura, postulando una sorta di “distribuzione” o di “condivisione” dei poteri tra gli organi sociali e gli organi giudiziari in relazione alle iniziative da intraprendere per affrontare – in un qualsiasi modo – la situazione di crisi o d’insolvenza. Questa visuale pecca infatti, oltre che di asistematicità, di scarso realismo, poiché trascura di considerare che la gestione della situazione di crisi è attività estremamente complessa, articolata e imprevedibile, che dipende dall’esito di plurime interlocuzioni [continua ..]