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Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Sentieri normativi verso l'introduzione delle misure di allerta e prevenzione della crisi di impresa nell'ordinamento italiano (di Francesca Ferrandi. Dottore di ricerca all’Università di Roma “Tor Vergata”e cultore della materia in diritto processuale civile all’Università di Pisa)


Anche in base all’esperienza di altri ordinamenti europei, da tempo nel nostro Paese ci si interrogava sulla opportunità di riformare la legge fallimentare favorendo, al fine di fronteggiare la crisi dell’impresa, non ancora divenuta insolvenza, un approccio diverso, improntato sugli istituti di allerta e prevenzione, ossia strumenti volti al sollevamento della struttura aziendale in crisi, mediante un complesso di metodologie capaci di far emergere tempestivamente i segnali di sofferenza di questa entità economica, in una prospettiva di rigorosa prevenzione dell’insolvenza.

Atavici dubbi dottrinari e politici in merito alla proficuità, oltreché alla legittimità costituzionale, di tali meccanismi ne hanno ostacolato la compiuta introduzione nel nostro ordinamento tanto che lo stato di crisi, non ancora tradottosi in vera e propria insolvenza, restava, all’alba dei lavori della Commissione Rordorf ancora sotto il completo arbitrio dell’autonomia imprenditoriale.

Solo grazie all’onda emozionale del moto riformatore europeo il nostro legislatore ha modificato le vetuste disposizioni della legge fallimentare prevedendo l’introduzione di procedure di allerta e composizione assistita della crisi di natura non giudiziale e confidenziale tese a realizzare una risoluzione anticipata della crisi dell’impresa.

For a long time our legal system was waiting for a reform of the bankruptcy law, which had the aim of solving the business crisis before it could become insolvency. This aim could be pursued only on the basis of a new and different approach to the problem of solving the entrepreneurial crisis. In particular, this approach involves introducing into our bankruptcy system the procedure of “allerta e composizione assistita della crisi” aimed at the timely identification of the reasons for the economic suffering of the enterprise and its corporate restructuring.

Political and doctrinal doubts about the utility, as well as the constitutional legitimacy, of these procedures have precluded their introduction into our system. As a result the management of the company in a state of crisis, not yet translated into true insolvency, remained, at the beginning of the work of the Rordorf Commission, still under the arbitrary will of the entrepreneur.

This paper aims to illustrate how the italian legislator, on the basis of indications from the wide European reform movement, has modified the old provisions of the “Legge Fallimentare”. This reform has endowed our legislative system with non-judicial and confidential procedures for the composition of the entrepreneurial crisis aimed at achieving a solution for the enterprise’s economic suffering as early as possible.

SOMMARIO:

1. L’allerta nell’ordinamento italiano. Visioni contrastanti - 2. Il progetto di legge elaborato della Commissione Trevisanato - 3. I lavori della Commissione Rordorf - 3.1. Dalla gestione dell’emergenza alla cultura della prevenzione: la necessità d’introdurre misure di allerta nella riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza - 3.2. L’allerta del debitore - 3.3. L’allerta interna - 3.4. L’allerta esterna - 4. Conclusioni - NOTE


1. L’allerta nell’ordinamento italiano. Visioni contrastanti

Mi pare di dire cosa ovvia quando affermo che nell’ultimo decennio l’attenzione verso il fenomeno della crisi delle imprese è esponenzialmente aumentata, in ragione delle note difficoltà dell’economia globale, nonché, a maggior ragione, nazionale [1]. Di conseguenza, questa criticità che ha colpito l’intero mondo economico e non solo l’imprenditoria, ma anche altri operatori, come i professionisti, ha dato incentivo alla riflessione dottrinaria su un punto che oserei dire fondamentale: se la crisi d’impresa sia, in un mercato sano, un portato fisiologico della libera concorrenza [2]. In quest’ottica, allora, l’impresa in crisi diverrebbe semplicemente il soggetto che, all’interno di questo gioco economico, non ha prevalso, cioè, in altri termini, il soggetto perdente [3]. Il legislatore indubbiamente, più volte, ha tentato di muoversi conformemente a questa nuova visione economica. E, da ultimo, come vedremo meglio in seguito, anche la Commissione Rordorf l’ha assecondata. Quell’organismo complesso chiamato impresa è, del resto, oggi per la società tutta, uno strumento attraverso cui perseguire il benessere, pertanto, conservarlo in vita, quando ciò non sia disfunzionale a questi stessi fini, è estremamente profittevole. La pronta rilevazione dei sintomi della crisi garantisce, infatti, la possibilità di porre in essere ogni rimedio teso ad evitare il definitivo ed irrimediabile insorgere della stessa, con la conseguenza di potersi attivare per gestire, il più proficuamente possibile, le residue chance di sopravvivenza dell’organismo in difficoltà, contrastando condotte dilatorie e/o poco limpide, che mettano ancor più a rischio, non solo la conservazione del complesso aziendale, ma anche e soprattutto i diritti dei creditori [4]. Ciò che lungamente si è discusso in dottrina è se sia opportuno il tentare di salvare l’impresa in crisi ad ogni costo [5], come accennavo, questa sembra, ai più, la strada intrapresa dalle riforme degli ultimi anni. Il tema della definizione delle procedure e, soprattutto, dei presupposti per l’atti­vazione della composizione assistita delle crisi d’impresa è quello che maggiormente si lega alle suddette contrapposizioni di principio. L’ordinamento francese prevede da [continua ..]


2. Il progetto di legge elaborato della Commissione Trevisanato

Come ben noto, l’introduzione di misure di allarme finalizzate a far emergere tempestivamente la crisi era già stata oggetto di attenzione e di studio da parte della Commissione presieduta dall’avvocato Trevisanato [16], insediatasi nel novembre 2001 presso il Ministero di Giustizia “per l’elaborazione di principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo, relativo all’emanazione della nuova legge fallimentare ed alla revisione delle norme concernenti gli istituti connessi”, i cui lavori però non videro mai la luce [17]. Ciononostante, ai fini della presente indagine, appare senza dubbio utile e opportuno ripercorrerne, seppur brevemente, i contenuti in quanto il più recente progetto di riforma elaborato dalla Commissione Rordorf riprende per buona parte le soluzioni elaborate agli inizi degli anni duemila. Al fine di “ favorire l’emersione tempestiva della crisi d’impresa e l’attivazione delle iniziative volte a porvi rimedio”, la Commissione Trevisanato aveva posto l’attenzione sul concetto di crisi d’impresa anziché su quello di imprenditore in crisi, da intendersi in senso oggettivo, ed era passata dalla tradizionale impostazione liquidatoria, tesa a disciplinare solo le conseguenze della crisi, alla sua prevenzione attraverso strumenti giuridici idonei a far emergere tempestivamente la crisi, con particolare attenzione rivolta alle soluzioni concordatarie, dirette alla conservazione e al risanamento dell’azienda [18]. Nel testo di maggioranza, si imponevano agli organi di controllo precisi obblighi di attivazione al manifestarsi di uno stato di crisi, accompagnati da poteri di impulso dell’organo gestorio prevedendo, laddove tali poteri non avessero avuto seguito, il ricorso al Tribunale al quale veniva demandato il compito di convocare l’im­pren­ditore per individuare le iniziative di risanamento, comprendente anche la procedura di composizione concordata della crisi; nel testo di minoranza, invece, si escludeva il coinvolgimento dell’autorità giudiziaria laddove fossero mancanti i fatti concreti rilevatori di uno stato di insolvenza e si valorizzava la disciplina dei controlli endosocietari attribuendo specifici obblighi in capo agli organi di controllo e prevedendo la creazione di istituzioni pubbliche e private, chiamate ad assistere, offrire [continua ..]


3. I lavori della Commissione Rordorf

Il Senato della Repubblica in data 11 ottobre 2017 ha approvato in via definitiva il disegno di legge delega S2681 di riforma organica delle procedure concorsuali, frutto dell’iniziativa del Governo della XVII legislatura, il quale scaturisce dai lavori di una commissione incardinata, ad inizio gennaio 2015, presso il Ministero della Giustizia, presieduta dal presidente aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Renato Rordorf, mentre si è dovuto attendere fino al 14 febbraio 2019 per avere la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155. L’iniziativa del Governo nasce da una pluralità di fonti di pressione: in primo luogo, dalla presa d’atto della frammentazione normativa causata dalla giustapposizione di testi legislativi occasionali e spesso tutt’altro che armonici; secondariamente, dalla consapevolezza che la materia della crisi dell’impresa è centrale in una più ampia cornice di disposizioni volte a favorire la competitività del Paese; in terzo luogo, ancora, dall’intenzione di dar seguito alle sollecitazioni contenute nella Raccomandazione europea del 12 marzo 2014 su «un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza» [26], nel nuovo Regolamento UE 2015/848 [27] sulle procedure d’insolvenza transnazionali e nei principi della model law, elaborati in tema di insolvenza dalla commissione delle Nazioni Unite per il diritto commerciale internazionale (Uncitral); infine, dalla volontà di attivarsi in vista dell’agognata prospettiva di armonizzazione delle normative nazionali in materia di procedure di ristrutturazione e di insolvenza [28]. Un breve accenno meritano i complessivi obiettivi della riforma: – razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti previsti dalla L. Fall. [29] (anche in raccordo con la disciplina del processo civile telematico e della normativa dell’Unione Europea ed in particolare del Regolamento UE 2015/848 del Parlamento Europeo e del Consiglio sulle procedure di insolvenza, oltre che della Raccoman­dazione della Commissione 2014/135/UE), valutando in particolare l’opportu­nità di introdurre una specifica disciplina nazionale per l’insolvenza di gruppo; – individuazione di misure [continua ..]


3.1. Dalla gestione dell’emergenza alla cultura della prevenzione: la necessità d’introdurre misure di allerta nella riforma delle discipline della crisi e dell’insolvenza

In base all’esperienza di altri ordinamenti europei, da tempo nel nostro ordinamento ci si interroga sulla opportunità di riformare la legge fallimentare, favorendo, al fine di fronteggiare la crisi dell’impresa, non ancora divenuta insolvenza, un approccio diverso, improntato appunto sugli istituti di allerta e prevenzione. Si tratta, in altri termini, di strumenti volti al sollevamento della struttura aziendale in crisi, mediante un complesso di metodologie capaci di far emergere tempestivamente segnali di sofferenza di questa entità economica, in una prospettiva di rigorosa prevenzione dell’insolvenza. Atavici dubbi dottrinari e politici in merito alla proficuità, oltreché alla legittimità costituzionale, di tali meccanismi ne hanno ostacolato la compiuta introduzione nel nostro ordinamento. Neppure i lavori della Commissione Trevisanato, come abbiamo visto, erano riusciti a scalfire il dogma ordinamentale dell’intangibilità della c.d. twilight zone [31]. Pertanto, lo stato di crisi, non ancora tradottosi in vera e propria insolvenza, restava, all’alba della nuova riforma, ancora sotto il completo arbitrio dell’autonomia imprenditoriale. Infatti, sebbene il legislatore con la riforma della legge fallimentare degli anni 2005-2007, non fosse rimasto del tutto insensibile al tema dell’emersione anticipata della crisi d’impresa, essendo di quegli anni l’introduzione di modelli di gestione negoziale della crisi quali i piani di risanamento ex art. 67, 3° comma, lett. c), L. Fall., gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis, L. Fall., e il successivo concordato “in bianco” (o “con riserva”) di cui all’art. 161, 6° comma, L. Fall., gli sforzi profusi si erano comunque tradotti in una serie considerevole di mancanze normative, che, associate ad un incessante mutamento della disciplina vigente, non sempre coerente con gli scopi originariamente perseguiti, avevano contribuito ad impedire l’affermarsi di una disciplina stabile tesa a regolamentare l’attività delle imprese in crisi. I rimedi necessari a fronteggiare una crisi non erano in buona misura stati forniti e gli istituti sopra ricordati, spesso, nella prassi, si sono rivelati non pienamente funzionali a soddisfare le esigenze per le quali erano stati introdotti, soprattutto perché essi soggiacciono, [continua ..]


3.2. L’allerta del debitore

Nell’ottica di mantenere l’impostazione tradizionale che vuole responsabilizzare colui che meglio dovrebbe essere in grado di riconoscere l’imminente crisi cui va incontro la propria entità [38], è proprio al debitore che, anzitutto, viene data la possibilità di adire l’organismo di composizione della crisi, al fine di individuare, dopo aver convocato l’organo di controllo ove presente, le misure idonee a porre rimedio alla crisi. Sarà poi tale organo, su istanza del debitore, ad addivenire a una soluzione della crisi concordata tra il debitore e i creditori, entro un termine non superiore a tre mesi prorogabile solo fino a un massimo di ulteriori tre mesi in caso di positivi riscontri delle trattative (art. 19, 1° comma). Naturalmente, il particolare zelo del debitore, che abbia fatto istanza chiedendo l’attivazione delle predette procedure [39] entro sei mesi dal verificarsi di determinati “indicatori significativi” costituiti dagli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’at­tività imprenditoriale svolta (art. 13, 1° comma) non rimarrà senza gratificazione essendo, infatti, previste misure premiali sotto il profilo patrimoniale come la congrua riduzione degli interessi e delle sanzioni correlati ai debiti fiscali dell’im­presa, fino alla conclusione della medesima procedura (art. 25, 1° comma), anche se in dottrina [40] era stata ipotizzata la possibilità di estendere tali misure anche a «incentivi fiscali, contributivi o più in generale lavoristici …», nonché alla possibilità di «rateizzazione dei debiti», mentre, dal punto di vista personale, vengono citate la causa di non punibilità per il delitto di bancarotta semplice e per gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, se ai sensi dell’art. 219, 3° comma, c.p., abbiano cagionato un danno di speciale tenuità, ovvero un’at­tenuante speciale per altri reati. La componente dell’incentivo diventa qui fondamentale e avrebbe dovuto, senza dubbio, per essere veramente efficace essere coordinata con l’obbligo di attivazione ex art. 323, 1° comma, del nuovo codice della crisi che prevede, tra gli [continua ..]


3.3. L’allerta interna

Si tratta qui di una procedura, di cui all’art. 14, che suppletivamente prende avvio su impulso degli organi di controllo sociali e, pertanto, è confinata nell’alveo della gestione di società [47]. Dopo aver avvisato l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi, in ossequio alle sue proprie funzioni di cui all’art. 2406 c.c., in caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, gli organi di controllo sociale, il revisore contabile e le società di revisione, avranno l’obbligo di adire l’organismo di composizione della crisi [48], fornendo ogni elemento utile per le relative determinazioni, anche in deroga a quanto disposto dall’art. 2407, 1° comma, c.c., circa l’obbligo di riservatezza. L’adempimento a questi oneri, lo esplicita l’art. 14, 3° comma, fa venire meno la responsabilità solidale dei sindaci con l’organo amministrativo per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o delle azioni successive alla predetta segnalazione. Il privilegio si fa qui garante del rispetto della nuova normativa, chi non si adegui lo fa a proprio rischio. Rifiuta immediatamente l’esenzione. Da questo punto di vista, un rischio condivisibile che la dottrina ha posto in luce, a fronte di un doppio giudizio non certo agevole posto a carico di questi organi, prima sui sintomi dell’incipiente crisi, poi sull’adeguatezza della risposta delineata dall’organo amministrativo, è quello che l’inevitabile dubbio davanti a simili valutazioni comporti una segnalazione non ragionata e pressoché automatica delle più minime criticità, al solo scopo di sciogliersi da qualsiasi tipo di responsabilità personale [49]. Certamente solo la prassi potrà dire quanto, in media, gli organi di controllo si riveleranno capaci di svolgere questo compito, tuttavia, la strada imboccata dal progetto è coerente a se stessa e mirata a responsabilizzare l’intera platea degli organi sociali in rapporto al monitoraggio dei primi segnali di crisi dell’impresa. Facile o meno da affrontare il problema centrale è, qui, quando scatti l’onere di mobilitazione in capo all’organo di controllo; per determinare cosa [continua ..]


3.4. L’allerta esterna

Se per lungo tempo si è discusso della possibilità di affidare al creditore uno strumento di attivazione dell’allarme, sul punto, la risposta del legislatore è stata chiara e precisa: si, ma soltanto ad alcuni. Ataviche concezioni statalistiche interne al nostro Paese, nonché la circostanza nota che molte categorie imprenditoriali ricorrano sistematicamente, come mezzo di autofinanziamento all’omissione di pagamenti nei confronti di quegli enti che, come le pubbliche amministrazioni, hanno una minore prontezza di reazione, hanno suggerito che questi creditori qualificati siano individuati nelle pubbliche amministrazioni, statali, territoriali e autonome [54]. L’art. 15, dando attuazione al principio contenuto nell’art. 4, 1° comma, lett. d), legge delega n. 155/2017, ha affidato all’Agenzia delle entrate, all’Istituto nazionale della previdenza sociale e all’agente della riscossione delle imposte il compito di segnalare immediatamente il perdurare di inadempimenti agli organi di controllo della società e all’organismo di prevenzione, dopo aver avvertito il debitore che la sua esposizione debitoria ha superato un importo rilevante [55] e che provvederà alla segnalazione, se entro i successivi novanta giorni dalla ricezione dell’avviso questi non abbia estinto il debito o, alternativamente, regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità previste dalla legge o non avrà presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza. Da questo avviso l’organo di controllo maturerebbe parimenti l’onere di attivarsi nelle stesse forme dell’allerta interna [56]. La cogenza della normativa è garantita da una significativa sanzione, cioè l’inefficacia, nel successivo sviluppo concorsuale della procedura, dei privilegi dei crediti di cui la P.A. è titolare [57], con la conseguenza che la mancata segnalazione dovrebbe riversare una pesante responsabilità civile in capo al funzionario incaricato, da commisurare all’ammontare dei crediti che, se privilegiati, avrebbero potuto trovare soddisfazione all’esito del fallimento o di uno strumento di composizione concordata della crisi [58]. In ognuno dei tre casi sopra esposti, [continua ..]


4. Conclusioni

Qui si chiude il mandato conferito alla Commissione, e tuttavia, certo, tra il disegno di legge n. 3671-bis presentato alla Camera e il testo approvato dal Senato della Repubblica, nel passaggio da un rito ibrido e bifasico (nel quale, in fase giudiziale, opportunamente si prevedeva il coinvolgimento del Presidente della sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale nel caso di fallimento delle trattative per il superamento della crisi) [62], ad una procedura esclusivamente stragiudiziale, inopinatamente si è persa una non irrilevante possibilità di coazione sulla volontà del debitore. Infatti, lì si prevedeva che se anche nella fase giudiziale il debitore avesse rifiutato di intraprendere le misure idonee a porre rimedio alla crisi, al decorso del termine a costui assegnato si dovesse provvedere alla pubblicazione della relazione nel registro delle imprese. Il timor di questa repentina procedura di notorietà, che oggi è blandamente sostituita dalla solo eventuale attivazione del Pubblico Ministero, avrebbe certo avuto la capacità di stimolare il debitore ad adoperarsi per far fronte alla crisi o per cercare una soluzione concordata con i creditori, che così, invece, permane rimessa alla sua buona volontà [63]. La speranza, comunque, è quella che un’emersione anticipata della crisi, che passi attraverso le misure di allarme, eviti che il debitore ponga in essere condotte dilatorie e che la stessa si traduca in patologia irreversibile, conservando in vita i complessi aziendali e, conseguentemente, intatti i quadri occupazionali; peraltro, anche nella peggiore delle ipotesi, quando la crisi rendesse ineludibile l’esito liquidatorio, una sua tempestiva rilevazione avrebbe contribuito a far adottare misure volte ad evitare il peggioramento del dissesto; infine, i creditori avrebbero dalla loro attivazione la precipua garanzia che l’eventuale liquidazione avvenga in modo ordinato. Opporsi, infatti, all’introduzione di queste misure vuole dire opporsi ad un Paese che sia capace di partecipare attivamente al processo di avvicinamento dei sistemi giuridici europei, rifiutando nella materia fallimentare l’adozione della cultura della prevenzione e lasciando l’imprenditore solo di fronte alla crisi, nella più completa deresponsabilizzazione degli organi di controllo societari, che per loro natura alla [continua ..]


NOTE