La sentenza della Corte di Cassazione prova dare una soluzione al problema dell’individuazione di un termine per la riassunzione di un processo che è stato interrotto in ragione del fallimento di una parte. La questione ci impone di interrogarci sulle ragioni dell’interruzione come istituto del diritto processuale civile e verificare come tali ragioni si profilano quando la causa dell’interruzione è il fallimento di una parte. Assodato che il fondamento dell’interruzione del processo è funzionale al diritto di difesa, ci si chiede come questo possa concretamente esercitarsi posta che da un lato il fallimento produce un’interruzione automatica, per ragioni anche di celerità, dall’altro lato il curatore può difendersi nel processo, di cui non è parte, se è a conoscenza della sua pendenza. Allora la Corte di Cassazione propone di ritenere necessaria la dichiarazione giudiziale di interruzione e la sua comunicazione al curatore. La soluzione viene tratta da una interpretazione sistematica dell’ordinamento sovranazionale e nazionale, applicando il Codice della crisi come norma di interpretazione autentica dell’art. 43 della legge fallimentare. Ciò consente di preferire quell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, tra tutti, pare assicurare il miglior contemperamento tra celerità di trattazione del processo interrotto e più efficace garanzia di conoscibilità dell’interruzione. La sentenza merita di essere letta non solo per il suo contenuto ma per il metodo ermeneutico che applica.
The judgment of the Court of Cassation proves to give a solution to the problem of finding a deadline for the reinstatement of a process that was interrupted due to the failure of a party. The question requires us to ask ourselves the reasons for the interruption as an institution of civil procedural law and to verify how these reasons arise when the cause of the interruption is the bankruptcy of a party. Given that the basis of the interruption of the process is functional to the right of defense, one wonders how this can be concretely exercised by the fact that on the one hand the failure produces an automatic interruption, for reasons of speed, on the other hand, the curator can defend himself in the process, of which he is not a party, if he is aware of pending proceeding. Then the Court of Cassation proposes to deem necessary the judicial declaration of interruption and its communication to the curator. The solution is taken from a systematic interpretation of the supranational and national system, applying the Crisis Code as the norm of authentic interpretation of art. 43 of the bankruptcy law. This makes it possible to prefer that orientation of the jurisprudence of legitimacy which, among all, seems to ensure the best balance between the speed of dealing with the interrupted process and more effective guarantee of knowledge of the interruption. The judgment deserves to be read not only for its content but for the hermeneutic method it applies.
Keywords: interruption of civile proceeding, bankruptcy law, reinstatement of the case.
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L’interruzione del processo è istituto funzionale alla preservazione del contraddittorio tanto che non trova applicazione nei procedimenti speciali, quali la prima fase del procedimento per ingiunzione, il procedimento cautelare celebrato ai sensi dell’art. 669-sexies, 2° comma, c.p.c., come pure il processo di cognizione prima della proposizione della domanda, ovvero dopo la chiusura della discussione davanti al collegio (per meglio dire, dopo la riforma del 1990, dopo l’ultimo atto di parte nella sequenza processuale), salvo riapertura dell’istruttoria [1]. Nel caso di litisconsorzio facoltativo ai sensi dell’art. 103 c.p.c. la giurisprudenza di legittimità [2] ha ritenuto che nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili, l’evento interruttivo relativo ad una delle parti di una o più delle cause connesse, opera di regola solo in riferimento al procedimento (o ai procedimenti) di cui è parte il soggetto colpito dall’evento, ma non è necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, salvo sempre il potere attribuito al giudice dall’art. 103, 2° comma, c.p.c. Pertanto in pratica se il giudice non separa le cause, esse dovranno tutte rimanere “ferme” e subire di fatto tutte l’interruzione; del resto se il giudice le separasse, nel procedimento colpito da evento interruttivo, se necessario, potranno eventualmente rinnovarsi tutti gli atti istruttori assunti senza la partecipazione della parte colpita dalla perdita di capacità processuale, svolti nei procedimenti separati e non interrotti. Non è la sede per soffermarsi a meditare su questo orientamento della Corte di Cassazione, che ha sicuramente offerto spunti di riflessione, ma dal complesso delle norme si evince l’istituto dell’interruzione del processo, è strettamente strumentale al contraddittorio. L’evento interruttivo, che può essere la morte ovvero la perdita della capacità di stare in giudizio (ovvero eventi assimilabili), può colpire la parte ovvero il suo rappresentante legale e, a seconda di alcune variabili, produce effetti diversi. Se la parte “colpita” è in una situazione particolarmente vulnerabile dal punto di vista difensivo, allora la legge prevede [continua ..]
La vicenda processuale da cui trae origine la sentenza in commento si può così riassumere [6]. Il Tribunale di Siena aveva condannato la banca MPS alla restituzione di interessi usurari e anatocistici indebitamente versati in favore di Ocma s.p.a., la quale fallisce durante la fase di appello interposto da MPS. Il giudizio di appello era interrotto a seguito della dichiarazione di fallimento dell’appellata; con l’atto di riassunzione, MPS insisteva nel gravame, ma il Fallimento, costituendosi, ne eccepiva la tardività, invocando la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio stesso. La Corte di Appello di Firenze, accogliendo l’eccezione di tardività, ha rigettato l’appello di MPS, in quanto ritiene che il termine per la riassunzione sia tre mesi e non sei, ed esso sarebbe pure spirato, essendo stato il ricorso in riassunzione depositato in data 29 aprile 2015, e notificato al curatore il 25 giugno 2015; infatti la Corte conteggiava come dies a quo, l’avviso art. 92 L. Fall. che MPS aveva ricevuto in data 3 maggio 2014, insinuandosi al passivo il 10 giugno 2014, senza considerare che il fallimento è stato pronunciato il 16 aprile 2014 dal Tribunale di Ascoli Piceno e la dichiarazione d’interruzione è stata resa dalla Corte d’Appello all’udienza del 9 dicembre 2014. MPS, tramite la sua procuratrice Juliet s.p.a., ricorre in Cassazione, formulando vari motivi, contestando che la comunicazione dell’avviso effettuata dal curatore alla banca, nella qualità di creditrice, e non invece al suo difensore, integri gli estremi della conoscenza legale, da cui far decorrere i termini per la riassunzione (peraltro pari a 6 e non a 3 mesi), posto che l’istituto, in una lettura costituzionalmente corretta, implica che l’esternazione dell’evento o la sua notifica avvengano formalmente nell’ambito del processo coinvolto dall’interruzione e da riassumere. Prima di ogni altra cosa la Corte di Cassazione afferma, in via pregiudiziale, che la riduzione, operata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, 14° comma, trova applicazione, ai sensi dell’art. 58, 1° comma predetta legge, solo quanto ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore, fissata al 4 luglio 2009, cioè si guarda al giudizio di primo grado, “restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di [continua ..]
La dichiarazione giudiziale di interruzione, e il successivo onere comunicativo, introduce una serie di incombenti, che risultano essere pressoché coessenziali per la produzione dell’interruzione, possono indurre in realtà ad attenuare l’impatto della automaticità dell’evento interruttivo [24]. Teoricamente il processo dovrebbe arrestarsi immediatamente, in concreto l’interruzione, nella ricostruzione della Corte, diventa una sorta di fattispecie a formazione progressiva. In effetti non è difficile immaginare che le parti, non a conoscenza dell’evento interruttivo, depositi una o più memorie, con il rischio inconsapevole, che tale sforzo professionale sia inutile. In tal senso, lungi dal denigrare la necessità della dichiarazione giudiziale, si dovrebbe realmente sperare e confidare che la pubblicità riguardante le procedure concorsuali, anche per il tramite di sistemi di automazione informatica, sia la più immediata ed estesa possibile. Non è utopica immaginare un’implementazione del registro delle imprese, dove le parti di un processo possano annotare la pendenza di causa con un’impresa, e vengano allertate automaticamente dal sistema, appena viene inserita l’informazione dell’apertura di una procedura concorsuale a carico della controparte. Eventualmente tale sistema potrebbe anche essere connesso alla consolle del magistrato o dell’assistente del magistrato, che inoltra allo stesso le istanze e le informative. Del resto occorre riconoscere che il compito del giudice è segnato dal problema della variabilità cronologica dell’acquisizione della notizia dell’evento interruttivo; in assenza di un impulso di parte, non si comprende a quali fonti il giudice potrebbe attingere per la dichiarazione officiosa. Si è voluto sottrarre alle parti la discrezionalità di dichiarare o meno l’evento interruttivo ma così si lascia la decisione al caso, alla scienza privata del giudice, comunque a fonti extraprocessuali. Inoltre l’onere sulla cancelleria di comunicare non ha alcun fondamento normativo [25]. Il codice di rito, all’art. 136 c.p.c., prevede che le comunicazioni a cura del cancelliere si fanno nei casi previsti e dal combinato disposto degli artt. 134, 170 e 292 c.p.c. le ordinanze – compresa quella che dichiara l’interruzione del giudizio [continua ..]