L’articolo esamina le nuove relazioni tra diritto societario e diritto concorsuale a seguito della evoluzione del quadro giuridico europeo, con particolare riferimento agli strumenti intesi a potenziare la ristrutturazione, anche in contrasto con l’eventuale volontà contraria dei soci. L’autore, dopo aver analizzato i differenti approcci di ristrutturazione adottati rispettivamente con riferimento alle imprese finanziarie ed a quelle non finanziarie, descrive gli scenari contenuti nella “Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti”. Alla luce dei principi fatti propri nella proposta, viene esaminata la modalità con cui l’ordinamento spagnolo ha già dato attuazione ad alcuni di quelli, ponendo in particolare evidenza la speciale responsabilità prevista per i soci che abbiano rifiutato l’adozione di misure per la ristrutturazione, interpretando tale responsabilità come una violazione del dovere di lealtà.
Il presente lavoro, realizzato nell’ambito del progetto di Ricerca su Reestructuración Empresarial y Derecho de la Competencia (DER 2015-68733-P), raccoglie, ampliandolo, l’intervento nel Seminario tenutosi il 4 maggio 2017 presso il Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea in Lussemburgo, organizzato dal Dipartimento di Derecho Mercantil della Universidad Compultense di Madrid in collaborazione con il Tribunale.
È stato pubblicato nel numero 27 della Revista de Derecho Concursal y Paraconcursal (La Ley-Wolters-Kluwer). È stato altresì presentato nel convegno Imprese e banche dopo la crisi, organizzato dalla cattedra di diritto commerciale dell’Università di Napoli “Federico II” e svoltosi in Napoli nei giorni 16 e 17 maggio 2017 e sarà inserito nei relativi atti, in corso di pubblicazione. La traduzione in lingua italiana dall’originale spagnolo è di Giovanni Falcone.
The study focuses on new relationships between company law and bankruptcy law following the european legal framework evolution, with special regard to the instruments aimed to foster restructuring, even against shareholders’intent. The author, after analyzing the different approaches adopted to restructure respectively financial and no financial enterprises, provides an outline of the “Proposal for a directive of the European Parliament and of the Council on preventive restructuring frameworks, second chance and measures to increase the efficiency of restructuring, insolvency and discharge procedures”. In the light of the principles set out in that proposal, it is provided an overview of the Spanish way to enforce them, focusing on the special liability affecting those shareholders who rejected restructuring resolutions. That kind of liability is explained as a breach of loyalty duty.
1. I rapporti tra diritto societario e diritto fallimentare: un cambiamento di paradigma - 2. Il sacrificio di soci e azionisti nella ristrutturazione delle imprese del settore finanziario: “burden share”/“bail-in” - 3. Il sacrificio di soci e azionisti nella ristrutturazione delle imprese non finanziarie: la proposta di Direttiva sulla ristrutturazione preventiva - 4. Il modello spagnolo: responsabilità concorsuale dei soci per copertura del deficit patrimoniale - 4.1. L’adattamento tempestivo dell’ordinamento spagnolo al paradigma della ristrutturazione delle imprese in crisi - 4.2 Capitalizzazione del debito e presunzione di concorso colpevole: l'eventuale responsabilità dei soci - 4.2.1. L'introduzione di incentivi negativi nel modello spagnolo - 4.2.2. Gli elementi che configurano la responsabilità concorsuale dei soci - 4.2.3. La modulazione della responsabilità concorsuale dei soci - 4.3. Il fondamento della responsabilità concorsuale dei soci - 4.3.1. Altri casi di responsabilità del socio per debiti sociali nelle società di capitali - 4.3.2. I doveri di fedeltà del socio nell’ambito della ristrutturazione - Note
Assistiamo, già da qualche tempo, ad un processo di costruzione di un diritto europeo della ristrutturazione di imprese in difficoltà finanziarie: un processo che ha avuto inizio con la Raccomandazione della Commissione europea del 12 marzo 2014 e che ci si prefigge di ulteriormente proseguire, con obiettivi di armonizzazione, attraverso la proposta di Direttiva del Parlamento europeo su ristrutturazione preventiva, seconda opportunità e misure per incrementare l’efficacia dei procedimenti di esdebitazione, insolvenza e ristrutturazione delle imprese in crisi del 22 novembre 2016. Con ciò sembrano invece per ora abbandonati gli sforzi diretti ad una armonizzazione sostanziale del diritto dell’insolvenza in Europa: si è pervenuti, con successo, ad una armonizzazione in ambito processuale con il Regolamento UE n. 2015/848 sui procedimenti di insolvenza; ma di armonizzazione ora si parla non con riferimento all’insolvenza, bensì con riferimento alla ristrutturazione delle imprese in crisi. La ristrutturazione preventiva delle imprese in crisi comporta uno spostamento nella finalità del diritto fallimentare: da una finalità prioritariamente liquidatoria delle imprese insolventi – alla luce del principio della soddisfazione prioritaria dei creditori [1] – ad una finalità di ristrutturazione, che prende in considerazione non soltanto gli interessi dei creditori al soddisfacimento dei propri crediti, ma anche interessi inerenti all’attività di impresa (il che, come si evidenzierà, non sempre esclude soluzioni liquidatorie talora considerabili come conservative). Si tratta, tuttavia, di uno spostamento meno innovativo di quanto potrebbe apparire a prima vista: da un lato, gli ordinamenti anglosassoni, già dagli anni ’60-’70 del secolo passato, hanno regolamentato procedimenti di riorganizzazione (e in quest’ambito si collocano il “receivership” del Regno Unito e la “reorganization” regolata nel Chapter 11 del Bankruptcy Code nordamericano del 1978 [2]); dall’altro, tale spostamento non è neppure estraneo alla evoluzione del diritto fallimentare continentale, potendo citarsi a tal fine modelli come quello francese, che già dagli anni ’80 del secolo scorso regolava i procedimenti di “sauvegarde”. L’elemento veramente innovativo è da [continua ..]
Come è noto, la ristrutturazione del settore finanziario europeo, motivata in gran misura dalla crisi finanziaria internazionale verificatasi tra il 2007 e il 2015, ha prodotto nell’ambito della Unione Europea un diritto della concorrenza “eccezionale”, alla luce del regime europeo di concessione di aiuti pubblici [14]. Ciò troverebbe la propria giustificazione di politica legislativa nella finalità di favorire la ristrutturazione di tale settore, ottenendo di evitare, per quanto possibile, la dichiarazione di un procedimento concorsuale e l’eventuale liquidazione di tali enti. Tutto questo alla luce della protezione della stabilità del sistema finanziario, che costituisce una finalità di interesse generale, evitando il rischio sistemico e di contagio che potrebbe comportare la liquidazione di tali enti. In questo settore sono venute in rilievo – e non poteva essere diversamente – le connessioni e, talora, le interferenze non soltanto tra la ristrutturazione e diritto della concorrenza – in particolare attraverso la necessità di stabilire talora delle eccezioni al regime europeo degli aiuti di Stato – ma anche le relazioni tra diritto societario e partecipazione al capitale (soci/azionisti) in relazione all’adozione di misure che risultano chiave nella ristrutturazione del sistema finanziario, come gli aumenti di capitale/ricapitalizzazioni o la conversione di debito in capitale, alla luce di eventuali situazioni di inadempimento dei requisiti del capitale regolatorio nelle entità di credito. Orbene, in tale ambito del sistema finanziario, la giustificazione, così come i limiti e i principi che reggono la partecipazione e il sacrificio del capitale nella ristrutturazione sono stati affrontati dalla legge e dalla giurisprudenza in un ambito comunitario europeo. In effetti, il sacrificio di soci, azionisti e obbligazionisti nella ristrutturazione è stato ammesso espressamente nei testi comunitari, regolando il “fondamento” di tale sacrificio e il percorso attraverso il quale questo si struttura, mentre la sua applicazione pratica è stata modulata dal Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea nell’esercizio delle proprie funzioni di controllo di legalità e di interpretazione delle norme in un ambito europeo. In tale ambito, occorre evidenziare che l’intervento del [continua ..]
Ancorché, come si è anticipato, il sacrificio di capitale nell’ambito della ristrutturazione nel settore finanziario sia stato oggetto di regolazione a livello comunitario ed oggetto di elaborazione da parte del Tribunale di Giustizia dell’Unione Europea, come si è anticipato, tutto questo non è peraltro ancora accaduto, fino ad ora, relativamente alla ristrutturazione delle imprese non finanziarie. In effetti, la proposta di Direttiva sulla ristrutturazione preventiva delle imprese in crisi e sulla seconda opportunità, del 22 novembre 2016, costituisce il primo testo europeo nel quale venga esplicitata chiaramente la necessità che gli Stati membri regolino le modalità attraverso le quali il capitale (soci/azionisti) parteciperà alla ristrutturazione delle imprese non finanziarie in situazione di difficoltà economica. Allo stesso modo, fino ad ora e per quanto io sappia, non si è posto, davanti al Tribunale di Giustizia di Lussemburgo, il tema del sacrificio degli azionisti nella ristrutturazione di imprese non finanziarie, a fronte di quanto abbiamo invece evidenziato essere accaduto in relazione alla partecipazione di soci ed azionisti nella ristrutturazione nel settore finanziario. È pertanto un tema “in costruzione”, nel quale viene evocato il fondamento di tali sacrifici: fondamento che può risultare discutibile dal momento che non si “appoggia”, a differenza di quanto accade nel settore finanziario, ad un fine di interesse generale, quale la stabilità del sistema finanziario. Tuttavia, l’evitamento del rischio sistemico che comporterebbe la eventuale liquidazione di un intermediario finanziario potrebbe manifestarsi anche con riguardo a grandi imprese in crisi, secondo il tradizionale paradigma del “too big to fail”. Effettivamente, ancorché tale paradigma sia stato quanto meno oggetto di revisione, almeno nell’ambito del settore finanziario, con la crisi di “Lehman Brothers”, cessando di essere un paradigma assoluto comunque operante, continua ad essere mantenuto nella pratica, sebbene come “tema aperto” da valorizzare caso per caso. Inoltre, occorre rilevare che continuano ad essere approvate riforme alle quali è sottesa l’idea di impedire la liquidazione di grandi imprese in settori concreti e determinati (per esempio, nel settore [continua ..]
L’ordinamento spagnolo, con singolare rapidità rispetto agli altri ordinamenti europei ha fatto proprio, a partire dal 2009 e particolarmente nel periodo 2012-2015, il nuovo paradigma di ristrutturazione europeo delle imprese in crisi, nel contesto della Raccomandazione europea del 12 marzo 2014, il cui recepimento in Europa, come si è già evidenziato, è stato abbastanza irregolare. In quel contesto, è stato aggiornato e migliorato il regime giuridico degli accordi preconcorsuali di ristrutturazione, introdotto nel 2009, e sono stati superati, prevalentemente alla luce della Raccomandazione, paradigmi classici del diritto privato, finanche anticipando alcune previsioni che avrebbero successivamente costituito l’asse centrale della proposta di Direttiva del 2016. Così, in materia di accordi di rinegoziazione, con o senza omologazione (che costituisce una nuova tipologia di tutela giudiziale) l’ordinamento spagnolo ha superato il principio di relatività del contratto (art. 1258 c.c.), regolando l’estensione del contenuto dell’accordo a creditori dissenzienti o non partecipanti, inclusi i titolari di diritti reali di garanzia, prevedendo criteri di valutazione della garanzia che successivamente sono stati “esportati” al “convenio” concorsuale. Allo stesso modo, l’ordinamento spagnolo ha protetto la negoziazione degli accordi di ristrutturazione per mezzo della comunicazione dell’inizio delle negoziazioni ex art. 5-bis LC, che comportava il blocco delle azioni esecutive (“stand still” legale) [26]. È stato inoltre introdotto un “cramdown” implicito, considerando ammissibili dei piani di fattibilità con “trascinamento” di classi quando nella DA 4°, ap. 3 LC si ammette che i creditori finanziari garantiti possano – se vantano crediti sufficienti – imporre un accordo di rinegoziazione ai creditori non garantiti contro la loro volontà, sebbene senza una determinazione legale di classi di creditori: in questo modo non soltanto allineando l’ordinamento alle previsioni della Raccomandazione, ma anche anticipando quelli che sarebbero stati istituti centrali nella proposta di Direttiva. Tuttavia, nonostante l’importanza di tali innovazioni, l’aspetto forse più importante della adesione dell’ordinamento spagnolo al modello paradigma [continua ..]
Nel modello spagnolo, il riformatore della Ley Concursal n. 22/2003, nel periodo compreso tra gli anni 2012 e 2015 (Ministero dell’Economia), avvertì chiaramente che per favorire la capitalizzazione del debito era necessario minimizzare il rischio di “holdout” degli azionisti, che a volte non hanno interesse alla capitalizzazione, dal momento che possono vedere diluita la loro posizione attraverso “prese o acquisti di controllo” da parte dei concorrenti, ciò che può rendere più difficile l’adozione di una delibere di aumento di capitale per compensazione dei crediti, necessario per procedere alla capitalizzazione del debito. Come si è anticipato, nel modello spagnolo, al fine di incentivare i soci ad adottare tale delibera, sono stati introdotti degli “incentivi negativi” ex art. 165.2 LC, per mezzo di una presunzione “iuris tantum” di concorso colpevole (e che perciò ammette la prova contraria), relativamente a quei soci che rifiutino, senza una causa ragionevole, la capitalizzazione dei propri crediti o una emissione di valori o strumenti convertibili, nei termini dell’art. 71-bis.1 o nella DA 4° LC, frustrando il raggiungimento di un accordo di ristrutturazione. Allo stesso modo, tali soci saranno considerati, eventualmente, persone “colpite” dalla qualificazione ex art. 172.2.1 LC, potendo il giudice estendere anche a questi, quando la fase di qualificazione si sia aperta o riaperta a seguito dell’apertura della liquidazione, il regime di responsabilità concorsuale per deficit patrimoniale previsto per gli amministratori o i liquidatori di diritto o di fatto e rappresentanti generali della persona fisica (art. 172-bis LC). Da tale presunzione sarebbero esclusi, tuttavia, ex art. 172.2.1 in fine LC, gli amministratori che abbiano “raccomandato” la capitalizzazione basata su una causa ragionevole, ancorché sia stata poi rifiutata dai soci. Viene pertanto regolata nelle condizioni appena passate in rassegna una presunzione “iuris tantum” di concorso colpevole, con cui si vuole “punire” il socio, non tanto per non accettare l’accordo di ristrutturazione, quanto piuttosto per non adottare la delibera di aumento di capitale per compensazione dei crediti alla base della capitalizzazione, contenuto dell’accordo di ristrutturazione, frustrando in tal modo la [continua ..]
Sono vari gli elementi che integrano la presunzione di concorso colpevole prevista dall’art. 165.2 LC e che possono comportare la responsabilità concorsuale dei soci per il deficit patrimoniale: – Rifiuto della capitalizzazione dei crediti o di una emissione di valori o di strumenti convertibili. In tale previsione può rientrare un ampia gamma di comportamenti tanto positivi (voto contrario) o omissivi (per es.: assenza del socio di maggioranza che impedisce il raggiungimento del quorum costitutivo) e situazioni di blocco equiparabili in linea di principio a condotte negative di carattere omissivo [32]. – Tuttavia il rifiuto della capitalizzazione non è sufficiente per rendere operativa la presunzione, dal momento che si esige che con questo si “sia frustrato il raggiungimento di un accordo di ristrutturazione” previsto o nell’art. 71-bis 1 o nella Disposizione Addizionale 4°: vale a dire accordi collettivi di ristrutturazione con o senza omologazione, senza che la presunzione di riferisca a accordi individuali “de puerto seguro” di cui all’art. 71-bis 2 LC, trovandosi tuttavia ricompresi all’interno di questo ambito, per espressa previsione di legge, gli accordi stragiudiziali di pagamento. – Si esige, inoltre, che il rifiuto frustri la esecuzione dell’accordo di ristrutturazione, senza che ricorra una “causa ragionevole”, criterio che ricorda l’istituto della impugnazione delle delibere societarie per abuso di maggioranza di cui all’art. 20 LSC, nel quale pure si allude alla “ragionevolezza della causa” nella adozione della delibera per escludere, nel caso, un eventuale abuso di maggioranza [33]. In questo ambito, la presentazione del parere dell’esperto indipendente, designato ai sensi dell’art. 71-bis LC e che viene previsto nella DA 4° LC, che i creditori potrebbero aver richiesto, facilita la prova sulla causa ragionevole – potendo i soci, a loro volta, presentare un altro parere di un esperto che accrediti l’esistenza di una causa ragionevole per rifiutare la capitalizzazione [34]. Tuttavia, ciò non comporta “a contrario” che si possa dedurre che nel caso in cui tale parere non sia allegato non sussista una causa ragionevole: semplicemente, in questo caso occorrerà dare per altri mezzi la prova della causa ragionevole [continua ..]
I soci che abbiano rifiutato senza un motivo ragionevole la capitalizzazione o l’emissione di valori convertibili risponderanno soltanto “in funzione del proprio grado di contribuzione alla formazione della maggioranza necessaria al rifiuto della decisione”: siamo pertanto nell’ambito di una responsabilità per danno. Tale previsione di graduazione della responsabilità, in funzione della partecipazione al capitale sociale, da un lato, si inserisce nel binomio proprietà-responsabilità nel quale sembra un principio lineare, una azione un voto, legandosi ai limiti nell’esercizio da parte del socio del suo diritto di voto come diritto amministrativo. Ciò con la specifica problematica in caso di dissociazione del diritto di voto, quando il titolare formale dell’azione non ha potere di decisione, e con la necessità di distinguere tra il socio apparente e il socio reale, riaprendosi così la questione se il diritto di voto (e la correlativa responsabilità) sia legato alle azioni o agli azionisti, senza dimenticare i casi nei quali sia lo stesso socio – nel quale ricorra anche la condizione di creditore – a convertire il suo credito in capitale. Parlando di dissociazione, un particolare problema comporterà la determinazione della responsabilità nei casi di delega di voto ad un terzo, in particolare ad un intermediario finanziario, o la “depurazione” da responsabilità in funzione del grado di partecipazione nei casi in cui sussistano dei patti di sindacato [39]. Dall’altra parte, con la previsione di graduazione della responsabilità in funzione del grado di partecipazione, si riconosce il pluralismo societario nel quale essere socio di controllo o socio minoritario non è la stessa cosa; tuttavia, tale previsione comporterà problemi pratici, dal momento che la norma non specifica se la graduazione di responsabilità opererà in funzione della partecipazione del socio nel capitale, o se deve intendersi che coloro che di per sé non possano raggiungere la maggioranza necessaria (socio minoritario) possano escludere la propria responsabilità allegando tale circostanza. In linea di principio, a tutto questo fa da presupposto l’idea che possono essere sanzionati soltanto coloro che possano “bloccare” la capitalizzazione e lo facciano [continua ..]
Nelle società di capitali tradizionalmente la responsabilità limitata dei soci è considerata un elemento essenziale, e questo è stato inteso dalla dottrina maggioritaria come assenza di responsabilità dei soci nei confronti dei terzi [41], il che implica che il patrimonio della società costituisce il riferimento obiettivo per i creditori sociali. Orbene, questo paradigma classico del diritto societario è derogato dalla già descritta previsione di una responsabilità per copertura del deficit patrimoniale. Tuttavia, anche se questo regime costituisce una novità, non è peraltro l’unico caso in cui viene prevista una responsabilità personale e individuale dei soci per i debiti sociali, poiché si prevedono altri casi in cui, al fine di proteggere i creditori sociali, anche i soci rispondono dei debiti sociali in un ambito di liquidazione societaria, riduzione di capitale o inadempimento degli obblighi di pubblicità nel caso di società unipersonale. In effetti, nell’art. 399.1 LSC viene stabilita, con riferimento alle società anonime e a responsabilità limitata, la responsabilità solidale dei soci tra di loro per le passività sopravvenute dopo la cancellazione della società dal registro, fino al limite rappresentato da quanto percepito come quota di liquidazione. D’altra parte, nell’art. 331.1 LSC, per la tutela dei creditori, in casi di riduzione del capitale, viene disciplinata nelle società a responsabilità limitata la responsabilità solidale tra di loro e con la società dei soci ai quali fosse stato restituito, totalmente o parzialmente, il proprio conferimento in società, con riferimento al pagamento dei debiti contratti prima che la riduzione fosse stata resa opponibile ai terzi, fino al limite di quanto ricevuto a titolo di restituzione dell’apporto in società. Infine, nell’art. 14.1 LSC viene stabilito, trascorsi sei mesi senza iscrizione della società unipersonale nel registro mercantile, un regime di responsabilità personale, illimitata e solidale per i debiti sociali contratti durante il periodo di tempo durante il quale ha avuto luogo la unipersonalità. Nei casi appena passati in rassegna si rompe il paradigma della responsabilità limitata dei soci di società di capitali: e questo con una [continua ..]
La proposta di “spiegare” i doveri dei soci nella ristrutturazione delle imprese non finanziarie in difficoltà alla luce di un generico dovere di fedeltà ha il suo precedente nell’ordinamento tedesco [43], e il suo fondamento di politica legislativa nella stessa base della natura giuridica della società come contratto [44]. Tuttavia, la costruzione dogmatica può risultare complessa e determinare costi molto alti, vista in particolare la sua mancanza di esplicita tipizzazione fino ad ora nel diritto societario spagnolo e la sua ineludibile connessione con il concetto di interesse sociale non delimitato nell’ordinamento spagnolo e suscettibile, come noto, di costruzioni contrattualiste e istituzionaliste. Fino a questo momento la dottrina e la giurisprudenza spagnola si sono orientate per un primo approccio contrattualista all’interesse sociale, ciò che può essere limitativo del contenuto del dovere di fedeltà, ma non sono mancate costruzioni evolutive, così come sfumature ed evoluzioni nel campo del volontarismo dell’etica imprenditoriale, attraverso la cosiddetta “responsabilità sociale corporativa” o la teoria della creazione di valore tollerante (“creating shared value”). In effetti è vero che il dovere di fedeltà del socio è privo fino ad ora nell’ordinamento spagnolo di tipizzazione legale, a fronte di quanto accade con il dovere di lealtà all’interesse sociale che fa capo all’amministratore nell’esercizio della sua carica, disciplinato nell’art. 227 LSC, che deve modulare il suo comportamento e nel quale si situa il criterio per arbitrare i conflitti di interesse tra socio e società [45]. Pur in mancanza di tipizzazione legale, c’è una certa coincidenza di vedute tra giurisprudenza e dottrina sul fatto che il socio, oltre al dovere di realizzare il suo apporto e eventualmente adempiere le obbligazioni accessorie, ha anche un dovere di fedeltà nei confronti della società e degli altri soci [46]. Orbene, la questione essenziale che si pone è analizzare quale sarebbe, da un punto di vista dogmatico, il fondamento di politica legislativa che permetta di “costruire” un dovere di fedeltà che fino ad ora non è tipizzato legalmente, come si è anticipato. Talora si sono [continua ..]