Il presente contributo esamina l’avvio del procedimento di accordo introdotto dalla L. 27 gennaio 2012, n. 3, modificata dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, per disciplinare la crisi del debitore civile non assoggettabile alle procedure concorsuali regolate dalla legge fallimentare. Nel saggio, inoltre, viene analizzata, sia pure solo di riflesso, la recente legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 di modifica della L. 27 gennaio 2012, n. 3, ponendo in evidenza soprattutto le novità che si vorrebbero introdurre.
This paper examines the procedure of agreement introduced by Law 27 January 2012, n. 3, as amended by D.L. 18 October 2012, n. 179, to regulate the crisis of the civil debitor not amenable to civil proceedings governed by the Bankruptcy Act. In this essay, the author also examines, albeit only as a consequence, the recent enabling act 19 October 2017, n. 155 for amending the Law of 27 January 2012, n. 3, emphasizing especially the news that we would like to introduce.
1. L’evoluzione della disciplina della crisi da sovraindebitamento - 2. Tecnica legislativa e circoscritta applicabilità alla L. n. 3/2012 della normativa fallimentare - 3. Le nuove procedure di composizione: presupposti e condizioni di ammissibilità - 4. La proposizione della proposta di accordo e il piano - 5. L'avvio della procedura - 6. (>Segue): il decreto di ammissione e i suoi effetti - Note
La L. n. 3/2012, modificata dal D.L. n. 179/2012, ha introdotto nel nostro ordinamento i procedimenti per la composizione della crisi da sovraindebitamento [1]. Si tratta di procedure concorsuali, a carattere volontario, previste a favore di debitori e imprenditori non fallibili che versando in una condizione di eccessivo indebitamento intendono porre rimedio alle loro esposizioni [2]. Il presupposto oggettivo di debitore sovraindebitato, necessario per potere accedere alle procedure di soluzione della crisi, è espressamente delineato dall’art. 6 della L. n. 3/2012. Esso si ha quando, le obbligazioni contratte, eccedendo le oggettive capacità di rimborso da parte del debitore, creano “uno squilibrio permanente tra obbligazioni assunte e patrimonio prontamente liquidabile”, sì da determinare, in capo al debitore, o una “rilevante difficoltà ad adempiere le proprie obbligazioni ovvero la definitiva incapacità ad adempierle regolarmente” [3]. Allorché il debitore versa in una delle suddette condizioni, può accedere alle procedure concorsuali di cui alla L. n. 3/2012 e proporre ai creditori, con l’ausilio dell’Organismo di composizione della crisi un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti sulla base di un piano. Ciò detto, va immediatamente rilevato come la normativa in esame rappresenti il frutto di una complessa evoluzione legislativa che conferma da un lato, l’importanza dell’argomento nell’attuale sistema-economico sociale e dall’altro, la sussistenza di una incertezza ricostruttiva-sistematica che, ancora oggi, in questa materia permane fortemente [4]. Il quadro normativo di riferimento, infatti, è tuttora in evoluzione ed è composto oltre che dalla L. n. 3/2012 anche: a) dal regolamento sugli Organismi di composizione della crisi introdotto con il D.M. n. 2014/2012 ed entrato in vigore nel gennaio 2015 [5]; b) dalle novità introdotte nel Codice di procedura civile con il D.L. n. 83/2015 [6]; c) dalla lettura che sull’insolvenza è stata resa nel recente Regolamento comunitario UE n. 848/2015 [7]; d) dalla L. 19 ottobre 2017, n. 155, recante “Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza” [8]. L’asse portante della legge in esame e degli [continua ..]
La diretta conseguenza di questa impostazione sul sistema delle obbligazioni è l’interruzione del legame di immediatezza che nell’ottica del legislatore del 1942, unisce il sistema della responsabilità patrimoniale all’obbligazione inadempiuta [15]. L’illimitatezza e l’universalità del principio della responsabilità patrimoniale ne escono fortemente ridimensionati dall’introduzione dell’esdebitazione e cedono il passo in favore di nuovi modelli processuali di controllo gestorio e negoziali del debito che possono permettere al debitore di intervenire sulla sua situazione debitoria al fine di superarla e potersi rimettere sul mercato [16]. È questo un dato interpretativo che trova conferma nel novellato art. 480 c.p.c., ad opera del D.L. n. 83/2015, nel quale si prevede che l’atto di precetto debba contenere l’ulteriore avvertimento al debitore di potersi avvalere delle modalità di composizione della crisi per porre rimedio al suo indebitamento [17]. Appare evidente che il legislatore con il riformato art. 480 c.p.c. persegue il duplice obiettivo di rendere edotto il debitore sulla possibilità di usufruire di procedure alternative e soprattutto, precedendo il precetto l’inizio dell’esecuzione forzata, consentire all’interessato la tempestiva proposizione di un ricorso per la composizione della crisi che potrebbe valere, se non ad impedirne l’avvio, quantomeno a scongiurare il rischio della prosecuzione e conclusione di esecuzioni singolari che in quanto tali non rimediano all’eccessivo indebitamento [18]. Come a voler mettere in luce la particolare funzione sociale della nuova normativa, il legislatore ha disciplinato le crisi da sovraindebitamento in una legge ad hoc con regole autonome che derogano alla normativa di diritto comune e, ad un tempo, recepiscono le medesime architetture e riproducono le stesse formulazioni adottate dalla legge fallimentare [19]. Eppure, nonostante le manifeste somiglianze strutturali, la normativa sulle crisi da sovraindebitamento è del tutto mancante di richiami a specifiche disposizioni dettate per il processo di fallimento, per il concordato preventivo o per gli accordi di ristrutturazione[20]. In sostanza, in nessuno dei procedimenti regolati dalla L. n. 3/2012 è mai stata utilizzata la tecnica del rinvio, a singole norme o a blocchi [continua ..]
La L. n. 3/2012 così come modificata dal D.L. n. 179/2012 prevede, dunque, tre distinti procedimenti di soluzione della crisi da sovraindebitamento ovverosia: l’accordo, il piano del consumatore e la liquidazione del patrimonio. Si tratta di rimedi diversi fra loro ma aventi presupposti e condizioni di ammissibilità comuni. In particolare, ai sensi dell’art. 7, 2° comma della legge in esame, possono accedere alle procedure di composizione della crisi coloro che: a) non siano soggetti a procedure concorsuali diverse da quelle previste dalla L. n. 3/2012 [22]; b) non abbiano già fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, a procedimenti di composizione della crisi da sovraindebitamento; c) non abbiano subito, per cause a loro imputabili, un provvedimento di impugnazione, revoca o annullamento di un piano già omologato. L’accordo e la liquidazione del patrimonio sono entrambi rimedi a carattere generale rivolti a debitori civili che abbiano contratto obbligazioni sia per attività imprenditoriali sia per scopi diversi [23]. Il piano del consumatore, invece, è a beneficio di quei soggetti le cui passività sono costituite da obbligazioni assunte esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. I consumatori, pertanto, oltre alle due procedure generali, hanno anche uno specifico percorso privilegiato [24]. I rapporti tra i suddetti procedimenti sono regolati nel modo seguente; i due rimedi a carattere generale di composizione della crisi da sovraindebitamento sono perfettamente alternativi al procedimento di liquidazione del patrimonio. Il debitore, quindi, può scegliere se cercare una soluzione all’eccessivo indebitamento mediante un piano approvato dalla maggior parte dei creditori (o dal giudice se si tratta di piano del consumatore) oppure richiedere la liquidazione del proprio patrimonio con l’obiettivo, qualora ne ricorrano i requisiti, di ottenere la successiva esdebitazione. In tutti i casi la scelta e l’iniziativa spetta esclusivamente al debitore. Al solo procedimento di liquidazione del patrimonio, tuttavia, si può accedere per conversione delle due procedure di composizione e ciò quando, per ipotesi patologiche espressamente previste dall’art. 14-quater, i piani omologati non pervengono a buon fine. In questi casi, l’iniziativa di [continua ..]
Con riferimento alla procedura di accordo, va preliminarmente osservato come, malgrado le significative modifiche introdotte dal D.L. n. 179/2012, la stessa abbia conservato la denominazione originaria di “accordo” nonostante il contenuto del procedimento non corrisponda affatto all’effettiva sostanza della figura. Nel sistema originario l’accordo fra debitori e creditori (al pari degli accordi di ristrutturazione) era e rimaneva a tutti gli effetti un vero e proprio accordo di diritto privato diretto a vincolare solo i creditori che avessero aderito alla proposta contrattuale avanzata dal debitore. Dopo il D.L. n. 179/2012, l’accordo ha mantenuto un contenuto pattizio ma di diversa natura ovvero con caratteristiche analoghe a quelle del concordato preventivo. Sotto questo profilo, infatti, il procedimento prevede che non tutti i creditori hanno diritto ad esprimersi sulla proposta avanzata. In particolare, ne sono privi i creditori privilegiati (salvo che non rinuncino alla garanzia), coloro che si sono resi cessionari o aggiudicatari dei crediti nei confronti del debitore da meno di un anno, il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado. Inoltre, come nel concordato preventivo, il silenzio dei creditori chiamati ad esprimersi sulla proposta vale come assenso e l’accordo ai fini dell’omologazione si ritiene raggiunto quando la proposta consegue il 60% dei crediti ammessi ad esprimersi sulla proposta [25]. La proposta di accordo, così intesa, deve prevedere come espressamente recita l’art. 7 della legge, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti in qualsiasi forma anche mediante cessione di crediti futuri e deve essere accompagnata da un piano. Analogamente a quanto previsto per il concordato preventivo, anche in questa fattispecie si applica il principio “dell’atipicità dei contenuti del piano”, quindi, esso potrà prevedere al suo interno: 1) la sola dilazione del pagamento dei debiti (accordo moratorio); 2) o la sola remissione parziale dei debiti (accordo remissorio); 3) oppure, in forma mista, prevedere la remissione parziale dei debiti unitamente alla dilazione degli stessi. Nel caso in cui il debitore sia un imprenditore non fallibile, il piano può altresì regolare la liquidazione dell’impresa o la continuità della stessa; nel primo caso, il giudice dovrà nominare un gestore avente i [continua ..]
La proposta di accordo, così predisposta, deve essere depositata nella forma del ricorso presso il Tribunale del luogo di residenza o sede principale del debitore [29]. Il deposito della proposta determina l’avvio della fase preliminare del procedimento ovvero quella di esame della proposta ed ammissione del debitore alla procedura, alla quale seguirà, se la proposta sarà ammessa, quella di omologazione. Tutte le fasi del procedimento si svolgono esclusivamente con il modello del rito camerale davanti al Tribunale in formazione monocratica [30]. Ai sensi dell’art. 9, 3°-quater comma della legge in esame, il solo deposito della proposta di accordo determina immediatamente la sospensione del corso degli interessi convenzionali o legali, ai soli effetti del concorso; in sostanza si ha la cristallizzazione dei crediti alla data di presentazione della domanda salvo che si tratti di crediti garantiti da ipoteca pegno o privilegio e ciò nei limiti previsti dal Codice civile [31]. Unitamente alla proposta e quindi al piano, vanno depositati una serie di documenti fondamentali per il giudizio di ammissibilità della proposta di accordo [32]. Il primo dei documenti da allegare alla domanda è l’elenco di tutti i creditori, con la indicazione specifica delle somme dovute e delle loro scadenze. All’uopo appare ragionevole ritenere che il suddetto elenco deve comprendere anche i debiti contestati in tutto o in parte, poiché il dato è necessario per riprodurre in maniera veritiera la condizione reale dell’indebitamento, sia al fine di consentire al creditore di esprimere il voto in base ad una valutazione informata, sia per la esatta determinazione del quorum per l’approvazione [33]. Il debitore, inoltre, dovrà depositare l’elenco di tutti i suoi beni nonché indicare gli eventuali atti dispositivi posti in essere negli ultimi cinque anni e ciò al fine di verificare se il soggetto ha dato vita ad operazioni finalizzate alla mera spoliazione [34]. Infine, il debitore dovrà allegare alla domanda l’attestazione sulla fattibilità del piano rilasciata dall’OCC e le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni [35]. La legge è silente sui criteri e le regole da seguire per la stesura dell’attestazione sulla fattibilità del piano. Tuttavia, è opinione dominante [continua ..]
Il procedimento di ammissione del debitore alla procedura di accordo può concludersi con tre diverse risoluzioni ovvero il giudice: a) accertata positivamente la sussistenza dei presupposti di ammissibilità della proposta, fissa con decreto [40] l’udienza per l’omologazione e dispone che “sino al momento in cui il provvedimento di omologazione non diventi definitivo, non possano, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali, né disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore”; b) rilevata l’incompletezza della documentazione allegata alla domanda, concede al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni o depositare nuovi documenti (art. 9, 3°-ter comma); c) valutata, in relazione alla proposta, la mancanza dei presupposti soggettivi e oggettivi di cui agli artt. 7, 8 e 9, pronuncia conseguentemente un decreto motivato di inammissibilità o improcedibilità della domanda che darà luogo all’arresto della procedura senza escludere, tuttavia, la riproponibilità della domanda. In considerazione dell’espresso richiamo operato dall’art. 10, 6° comma, il decreto con il quale il giudice provvede sulla proposta di accordo potrà essere impugnato con reclamo ai sensi dell’art. 739 c.p.c. Nella specie, sembra ragionevole ritenere che la legittimazione alla proposizione del reclamo avverso il decreto di ammissione spetti oltre che al debitore, ai soli creditori (procedenti o intervenuti nelle procedure esecutive o cautelari già in corso) restando, invece, esclusi dalla legittimazione ad impugnare, i creditori non intervenuti nelle procedure sospese, mancando per essi un interesse concreto a reclamare il decreto inibitorio [41]. Si deve escludere, viceversa, la immediata ricorribilità in Cassazione, dal momento che si tratta di un provvedimento non definitivo destinato ad essere assorbito dal successivo decreto di omologa o dal provvedimento di rigetto di quest’ultima [42]. Dalla lettera della norma, si evince chiaramente che il principale effetto del provvedimento di accoglimento della domanda è quello sospensivo delle procedure esecutive in corso nonché inibitorio di nuove esecuzioni [continua ..]