Cassazione penale, Sez. V, sentenza 15 febbraio 2018, n. 25651 – Pres. Fumo – Est. Settembre
La condanna di un imprenditore per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione (art. 216, 1° comma, n. 1, L. Fall.), realizzato mediante emissione di assegni per un valore di 35.000 euro in favore di terzi estranei all’attività dell’impresa, si pone in contrasto col divieto costituzionale e convenzionale di bis in idem se, per le medesime condotte, l’imputato era stato già assolto da altro giudice penale con sentenza passata in giudicato, sia pure ad esito di un procedimento in cui era stato contestato il diverso delitto di appropriazione indebita (art. 646 c.p.): questa, in estrema sintesi, la conclusione della Suprema Corte nella sentenza in epigrafe, che merita di essere segnalata innanzitutto per l’originalità del risultato ermeneutico raggiunto, in controtendenza rispetto alla tesi opposta, che sembra ancora maggioritaria presso la giurisprudenza di legittimità (in senso contrario, da ultimo: Cass., Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 48743; Cass., Sez. V, 18 novembre 2008, n. 4404). La motivazione prende le mosse dai più recenti approdi della giurisprudenza costituzionale in tema di ne bis in idem (cfr. Corte cost. 31 maggio 2016, n. 200), la quale, in adesione ad un noto e consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. su tutte la fondamentale Corte Edu, Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine c. Russia), ha ormai espressamente riconosciuto che per “medesimo fatto”, in relazione al quale è preclusa l’instaurazione di un nuovo giudizio penale, deve intendersi il medesimo “fatto storico” e, pertanto, l’ambito di applicabilità del divieto di bis in idem deve «dipendere esclusivamente dal raffronto tra la prima contestazione, per come si è sviluppata nel processo, e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero» e non invece da considerazioni relative alla riconducibilità o meno degli accadimenti posti alla base del giudizio a una o più norme incriminatrici diverse, né tantomeno dalla valorizzazione dei rapporti strutturali eventualmente intercorrenti tra queste ultime, che possono tutt’al più rilevare ai fini dello scioglimento dell’alternativa tra concorso di reato o concorso apparente di norme, ma non consentono alcun automatismo per quanto concerne l’individuazione dell’ambito di applicabilità del divieto di bis in idem. Sulla scorta di tali premesse, la Suprema Corte ha buon gioco nel rigettare le conclusioni dei giudici di merito, che avevano escluso – nonostante la precedenteassoluzione per il delitto di appropriazione indebita – che la successiva condanna dell’imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione potesse configurare una violazione del ne bis [continua..]