Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il curatore può limitarsi a contestare l'opponibilità del contenuto della scrittura sottoscritta dal fallito (di Andrea Tanga (Avvocato in Salerno))


La sentenza offre lo spunto per affrontare il ruolo del curatore nel procedimento di verifica dello stato passivo, in riferimento alle scritture prodotte dal creditore e sottoscritte dal fallito. In particolare ci si interroga sull’applicabilità della disciplina del disconoscimento della sottoscrizione ex artt. 214, 215 c.p.c. e sull’onere di verificazione ex art. 216 c.p.c. al curatore, e sulla opponibilità alla curatela delle scritture private sottoscritte dal fallito.

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The judgment offers the opportunity to analyse the role of the insolvency administrator during the verification process which involves the statement of filing claims, regarding the documents produced by the creditor and signed by the failed. In particular, questions arise concerning the applicability of the regulation involving the disowning of the signature provided for in artt. 214, 215 of the Italian Civil Code Procedure and the burden of verification provided for in art. 216 of the Italian Civil Code Procedure, and the enforceability against the insolvency administrator of the private agreements si­gned by the failed.

CASSAZIONE CIVILE, SEZ. I, 13 OTTOBRE 2017, N. 24168 – Pres. AMBROSIO Rel. TERRUSI (art. 98 L. Fall., artt. 214, 215 e 216 c.p.c., 2702 c.c.) Nel giudizio di opposizione ex art. 98, 2° comma, L. Fall., al curatore, in riferimento alla documentazione sottoscritta in apparenza dal fallito e prodotta dal creditore a sostegno della domanda di ammissione al passivo, non è applicabile la disciplina sul disconoscimento della scrittura privata di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. e sull’onere di verificazione di cui al successivo art. 216 c.p.c., rivestendo il curatore la posizione di “terzo” rispetto agli atti compiuti dal fallito; con la conseguenza che il curatore può limitarsi a contestare l’opponibilità della scrittura privata.   (Omissis).   Fatto RILEVATO che: Aspra Finance s.p.a., agendo nella qualità di cessionaria dei crediti di Unicredit s.p.a. e di Unicredit Corporate Banking s.p.a., chiese di essere ammessa al passivo del fallimento di Sacet s.r.l. per la somma di Euro 189.207,47, al chirografo, e di Euro 1.677.284,93, in privilegio ipotecario; per quanto ancora rileva, il credito in privilegio ipotecario venne riconosciuto per la minor somma di Euro 741.760,67 e la creditrice propose opposizione, facendo valere un atto pubblico di ricognizione di debito, proveniente dalla fallita, con specificazione causale delle singole partire creditorie derivanti da saldi di conti correnti di corrispondenza; l’opposizione è stata accolta dal tribunale di Napoli “per l’ulteriore somma di Euro 1.243,689,15 in via privilegiata ipotecaria”, oltre interessi chirografari fino alla data del fallimento; il tribunale ha motivato affermando: (i) che la dichiarazione era da qualificare come ricognizione di debito titolata dal riferimento ai contratti bancari; (ii) che la curatela, dovendo superare l’astrazione processuale, aveva affidato la pro­va contraria al disconoscimento dell’autenticità di firma in calce al contratto di conto corrente n. (Omissis), stante che il documento esibito dalla banca aveva riportato l’in­dicazione del tasso di interesse convenzionale non presente in quello in possesso della curatela; (iii) che tuttavia la curatela non avrebbe potuto limitarsi a disconoscere la sottoscrizione, ma avrebbe dovuto sostenere con precisione che la sottoscrizione non fosse riconducibile al legale rappresentante della società al tempo della stipula del contratto; (iv) che il legale rappresentante all’epoca del contratto era diverso dal soggetto rivestente la carica al momento della ricognizione di debito, donde la curatela avrebbe dovuto specificare che la firma in calce al contratto bancario non era compatibile con quella del legale rappresentante pro tempore (S.C.); (v) che invece, tra le produzioni della curatela [continua..]
SOMMARIO:

1. Il fatto - 2. Impossibilità per il curatore di disconoscere la scrittura privata sottoscritta in apparenza del fallito - 3. Opponibilità delle scritture private al curatore - NOTE


1. Il fatto

Con istanza ex art. 93 L. fall., Aspra Finance s.p.a. chiedeva di essere ammessa al passivo del fallimento di Sacet s.r.l. presso il Tribunale di Napoli per la somma di Euro 189.207,47, al chirografo, e di Euro 1.677.284,93, in privilegio ipotecario. Il Tribunale riconosceva il credito in privilegio ipotecario per la minor somma di Euro 741.760,67 e la creditrice proponeva opposizione, facendo valere in giudizio un atto pubblico di ricognizione di debito, proveniente dalla fallita. L’opposizione veniva accolta dal Tribunale di Napoli “per l’ulteriore somma di Euro 1.243,689,15 in via privilegiata ipotecaria”, oltre interessi chirografari fino alla data del fallimento con tali motivazioni: 1) la dichiarazione presentata dal creditore era da qualificarsi come ricognizione di debito titolata dal riferimento ai contratti bancari; 2) la curatela aveva affidato la prova contraria al disconoscimento dell’autenticità di firma contenuta nel contratto di conto corrente, poiché il documento esibito dalla banca aveva riportato l’indicazione del tasso di interesse convenzionale non presente in quello in possesso della curatela; 3) la curatela non avrebbe potuto limitarsi a disconoscere la sottoscrizione, ma avrebbe dovuto sostenere con precisione che la sottoscrizione non fosse riconducibile al legale rappresentante della società al tempo della stipula; 4) il legale rappresentante all’epoca del contratto era diverso dal soggetto rivestente la carica al momento della ricognizione di debito e conseguentemente la curatela avrebbe dovuto specificare che la firma in calce al contratto bancario non era compatibile con quella del legale rappresentante pro tempore; 5) che tra le produzioni della curatela era stato rinvenuto un documento con sottoscrizione perfettamente identica a quella recata nella scrittura prodotta dalla banca. Per la cassazione del decreto del Tribunale di Napoli, la curatela proponeva ricorso ritenendo che: 1) il riconoscimento del debito era da considerarsi inefficace poiché sottoscritto da un amministratore della società privo di potere rappresentativo; 2) a norma dell’art. 214 c.p.c., gli eredi o gli aventi causa, e tra questi rientrerebbe il curatore, possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione dell’autore del documento prodotto. La Suprema Corte rigettava il ricorso proposto dalla curatela, [continua ..]


2. Impossibilità per il curatore di disconoscere la scrittura privata sottoscritta in apparenza del fallito

Nel proprio ricorso la Curatela del fallimento ha ritenuto erroneamente di poter disconoscere la scrittura privata apparentemente sottoscritta dall’amministratore della società in bonis, asserendo che il ruolo del curatore fosse equiparabile a quello degli eredi o aventi causa del fallito con conseguente applicazione dell’art. 214 c.p.c., che prevede al 2° comma “gli eredi o aventi causa [1] possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore”. La dichiarazione effettuata da eredi ed aventi causa produce gli stessi effetti del disconoscimento, e cioè la caducazione dell’efficacia probatoria nel processo del documento, a meno che la parte che l’abbia prodotta non chieda ed ottenga il riconoscimento della scrittura e salvo l’applicazione di norme penali nel caso di verifica positiva circa l’autenticità del documento [2]. Come ritenuto dalla Suprema Corte, sulla scorta del costante orientamento in tema, il curatore, nella verificazione dei crediti, stante il suo ruolo di gestore del patrimonio fallimentare non può essere “annoverato tra i soggetti successori (o aventi causa) del fallito”, bensì è da considerarsi terzo rispetto al fallito medesimo [3]. Quanto stabilito ci permette di affrontare la vexata quaestio della posizione del curatore rispetto agli atti del fallito. Il curatore infatti è talvolta considerato terzo, in quanto rappresentante degli interessi dei creditori, altre volte parte, in quanto legittimato ad esercitare i diritti e le azioni spettanti al fallito [4]. Muovendo dalla premessa, assolutamente pacifica, che il curatore rappresenta anche e soprattutto l’interesse della collettività dei creditori, occorre allora considerare che egli debba assumere la posizione processuale di terzo nelle ipotesi in cui un creditore intenda far valere una pretesa fondata su una scrittura privata sottoscritta, in apparenza, dall’imprenditore fallito. Infatti l’onere del disconoscimento della scrittura privata, come previsto dagli artt. 214 e 215 c.p.c., presuppone che il documento prodotto contro una parte del processo provenga dalla parte stessa, e non può operare nel caso in cui la scrittura sia proveniente da un terzo, con la logica conseguenza che non può prodursi in tal caso l’effetto di [continua ..]


3. Opponibilità delle scritture private al curatore

Come ampiamente specificato, l’onere del disconoscimento della scrittura privata grava esclusivamente sul soggetto che appare essere l’autore della sottoscrizione del documento. Nel caso in esame, la Suprema Corte è andata oltre, specificando che il curatore, non avendo sottoscritto il documento, può comunque contestare il contenuto della scrittura privata, ritenendo che la stessa sia a lui opponibile. Ebbene, secondo la Corte, la curatela può liberamente contestare la scrittura privata proveniente dal fallito, non applicandosi i principi di disciplina sostanziale di cui al 2702 c.c. e processuale di cui all’art. 214 c.p.c. in ordine alla provenienza della scrittura dal sottoscrittore. Ne discende che quando viene contestato il contenuto della scrittura privata inter alios sottoscritta in apparenza dal fallito, quel documento non “viene in rilievo come prova legale”. Da tale indicazione è evidente che per la sentenza in commento, conformemente al costante orientamento in tema, il fallito assuma il ruolo di “terzo” (sotto un profilo processuale) nel giudizio di opposizione allo stato passivo. È assolutamente prevalente, infatti, in dottrina e giurisprudenza l’indirizzo che nega la qualità di parte al fallito sia nella fase necessaria del giudizio di ammissione al passivo, sia per quella eventuale dell’impugnazione (che contempla comunque la facoltà per il fallito di esser sentito [6]). Ciò premesso, andrebbe comunque valutata l’efficacia probatoria della scrittura privata sottoscritta dal fallito nel giudizio di verificazione dello stato passivo, posto che, per quanto ritenuto nella pronuncia de quo, non verrebbe in rilievo come prova legale se contestata. Tale ultima constatazione è da considerarsi quantomeno pleonastica, anche perché la scrittura proveniente da terzi in nessun caso (e quindi anche in caso di mancata contestazione) potrebbe assurgere a “prova legale”. La scrittura privata gode dell’effica­cia stabilita dall’art. 2702 c.c., proprio in quanto proveniente dalle parti. Gli scritti che provengono da soggetti che non sono parti del processo non posseggono un’effica­cia probatoria di per sé, né per la provenienza, né per il contenuto [7]. La giurisprudenza riconosce a tali scritti, infatti, un valore puramente [continua ..]


NOTE