Attraverso la disamina degli interventi normativi succedutisi in materia di “concordato con continuità” ex art. 186-bis L. Fall., e dei principi generali e criteri direttivi della legge delega n. 155/2017 per la riforma organica delle procedure della crisi e dell'insolvenza, lo studio analizza i profili tipologici, funzionali ed evolutivi della “continuità aziendale” nella gestione dell'impresa in concordato.
Through the examination of the regulatory actions occured on the sobject of the “concordato preventivo con continuità” referred to article 186-bis L. Fall., and general principles, guiding criteria of the Law n. 155/2017 concerning the organic reform of the crisis and insolvency procedures, the study analyzes the typological, functional and evolution profiles of the “going concern” in the management of the company in arrangement with creditors.
1. Emergenza sistemica e principi europei di gestione preventiva e risolutiva della crisi d’impresa - 2. La legge delega per la riforma della disciplina della crisi d’impresa e il primato della soluzione concordataria con continuità - 3. Il concordato “con continuità aziendale” fra tradizione e innovazione: cenni introduttivi - 3.1. (Segue): status e prospettive evolutive di un modello opzionale di risoluzione della crisi d’impresa - 4. L’art. 186-bis L. Fall. fra incertezze interpretative e difficoltà applicative invalidanti: una premessa necessaria - 4.1. La “continuità” ex art. 186-bis: tentativi di ricostruzione tipologica alla luce degli interventi normativi riformanti - 4.2. (Segue): procedure competitive e continuità concordataria “oggettiva” - 4.3. (Segue): la continuità aziendale in concordato, profili evolutivi di un paradigma funzionale - 4.4. Il “miglior soddisfacimento dei creditori”: un limite qualificante della “continuità”? - 5. La continuità indiretta fra fattispecie normative e modalità applicative compatibili - 5.1. La (in)compatibilità dell’affitto d’azienda: una questione discussa - 5.2. (Segue): affitto d’azienda e continuità aziendale, un binomio possibile - 5.3. (Segue): continuità aziendale e destinazione “oggettiva” dei flussi economici - 6. Conclusioni - NOTE
L’emergenza sistemica che ha interessato, negli ultimi anni, i mercati produttivi nazionali, europei ed internazionali, unitamente alle esigenze di armonizzazione delle normative di settore dei Paesi aderenti all’Unione Europea, ha segnato l’avvio di un processo di rivisitazione, di ammodernamento e di adeguamento della disciplina dell’insolvenza d’impresa. È noto, invero, come la necessità di una gestione uniforme ed adeguata ai tempi della crisi dell’attività di impresa, specie di dimensioni trasfrontaliere [1], si sia tradotta in una prerogativa d’intervento quanto mai urgente ed attuale per il legislatore europeo [2] il quale, anche di recente, si è fatto portavoce di orientamenti d’indirizzo ispirati ad una ratio eminentemente “salvifica” [3]. Tra le linee guida tracciate dall’Unione Europea v’è, in primis, la necessità di un sistema normativo in grado assicurare l’emersione precoce e tempestiva della difficoltà economica, nell’ottica di una gestione preventiva della sofferenza finalizzata al risanamento e alla ristrutturazione dei valori e delle potenzialità aziendali [4]. Nel progetto di revisione europeo infatti la crisi dell’attività d’impresa, attualizzata e contestualizzata nell’ambito del sistema economico globale, acquista una valenza fisiologica naturalizzata, meritevole di adeguati strumenti preventivi e di monitoraggio complessivamente preordinati al possibile risanamento dell’impresa in difficoltà (purché meritevole) e, dunque, al suo salvataggio [5]. A tal proposito rilevano i principi comuni ed uniformanti contenuti nella Raccomandazione n. 2014/136/UE della Commissione europea, specie in punto di gestione preventiva dell’insolvenza descritta sotto forma di precoce accorgimento e di risoluzione della fase embrionale reversibile (dunque “trattabile”) dello status decotionis. Tale approccio, di natura evidentemente preventiva, che ravvisa nel momento disgregante e liquidatorio una extrema ratio non auspicabile e per quanto possibile evitabile, persegue obiettivi di stabilità sistemica ed economica (anche [continua ..]
Nel quadro delle linee guida tracciate dall’Unione Europea in materia di crisi d’impresa si innestano, senza evidenti discostamenti, i principi e i criteri direttivi espressi dalla legge delega “per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza” [22]. Alla riforma delegata è affidato, com’è noto, un progetto di revisione sistematica ed organica delle procedure concorsuali di cui al R.D. n. 267/1942 che dovrà tenere conto della normativa dettata dall’Unione Europea in materia di insolvenza [23] in un’ottica di attualizzazione e di ammodernamento della disciplina in vigore [24]. In linea con gli indirizzi europei anche la legge delega mostra una dichiarata predilezione per l’adozione di formule extragiudiziali, negoziali e preventive risolutorie della crisi d’impresa, votate alla ristrutturazione aziendale e come tali da preferirsi alle soluzioni liquidatorie meramente disgreganti [25]. Fra gli strumenti negoziali di regolazione conservativa e preventiva della crisi individuati dalla legge delega, accanto agli accordi di ristrutturazione dei debiti e ai piani attestati di risanamento contemplati dall’art. 5 [26], risulta confermato l’istituto del concordato preventivo a cui sembra destinato un ruolo specifico di risoluzione della crisi d’impresa e di “recupero” delle “potenzialità aziendali” [27]. Al riordino della relativa disciplina è dedicato, di specie, l’art. 6, “Procedura di concordato preventivo”, contenente un complesso elenco di previsioni riformanti destinate ad investire aspetti specifici delle singole fasi della procedura [28]. Ex multis, appare determinante il dettato della lett. a), 1° comma del predetto articolo, dedicato all’ammissibilità (limitata e residuale) di proposte concordatarie di natura liquidatoria. La formulazione della norma che, a ben vedere, recupera in parte i contenuti a suo tempo elaborati dalla Commissione Lavori (c.d. Commissione Rodorf) [29], comprime in maniera significativa la portata dell’istituto concordatario liquidatorio circoscrivendone l’ammissibilità all’unica ipotesi in cui lo stesso preveda un “apporto di risorse” economiche [continua ..]
Nelle maglie della riforma delegata è pertanto possibile individuare una nuova ed ulteriore fase dell’iter evolutivo che nell’ultimo decennio ha interessato l’istituto concordatario preventivo [45]. Tale percorso, radicato, com’è noto, nella riforma del 2006 e via via alimentato dagli interventi normativi più o meno d’urgenza succedutisi dal 2012, si propone una auspicata quanto necessaria chiusura del cerchio normativo in punto di risoluzione della crisi d’impresa e di risanamento e di conservazione dei valori produttivi. A tal proposito, i principi dettati dall’Unione Europea e i criteri direttivi individuati dal legislatore delegante in punto di gestione dell’insolvenza (unitamente alle severe esigenze economiche che ne sottendono e ne evocano la proclamazione) non sembrano risultare in verità del tutto nuovi o innovativi per il nostro ordinamento, specie in considerazione dell’approccio preferenziale, affermatosi per necessità e prima d’ora nel nostro Paese, verso modalità solutorie a carattere preventivo della difficoltà e della sofferenza d’impresa [46]. È ormai noto, infatti, come il processo di revisione e di ammodernamento del panorama normativo italiano avviato in materia di procedure concorsuali dalla L. n. 5/2006 abbia condotto in itinere alla individuazione e al potenziamento di soluzioni gestorie della crisi, di stampo negoziale, alternative alla liquidazione concorsuale ed ispirate, sia pure in via mediata o solo indiretta [47], anche al salvataggio dell’impresa e del complesso produttivo in sé recuperabile [48]. Si pensi, a tal riguardo, allo spazio operativo e normativo conquistato da istituti negoziali ed extragiudiziali nuovi, volti alla ristrutturazione aziendale ed idonei a tradursi, ove sapientemente e tempestivamente optati, in un valido strumento risolutorio della crisi, alternativo alla liquidazione anche concordataria del complesso aziendale [49]. Lo stesso dicasi della rivisitazione in chiave più propriamente “privatistica” di istituti noti, come quello concordatario, via via ripensati e rimodulati (talvolta anche attraverso il riconoscimento normativo di soluzioni ricercate nella prassi ed in essa consolidate [50]) al fine di agevolare una definizione della crisi meno pregiudizievole (se non più [continua ..]
Malgrado le incertezze interpretative ed applicative collegate agli interventi normativi succedutisi in materia di concordato con continuità [72] l’istituto costituisce, a ben vedere, un esempio tangibile del più generale processo di rivisitazione e di ammodernamento compiuto nell’ultimo decennio in ambito concorsuale [73]. Tale rivisitazione ha consentito al sistema concorsuale italiano di sperimentare un progressivo allontanamento dalla tradizione fallimentare storicamente concentrata sul soggetto imprenditore ed ispirata a una ratio per lo più “punitiva” della crisi (intesa quale evento patologico “disdicevole”); come anche di focalizzarsi via via sui “connotati oggettivi” dell’impresa, quale attività produttiva destinabile (ove ancora dotata di valore economico) alla ristrutturazione e alla ricollocazione sul mercato [74]. A tal proposito si è osservato [75] come l’iter innovativo abbia finito per incidere, altresì, sulla stessa funzione istituzionale dell’istituto concordatario preventivo; funzione che si è progressivamente incentrata (e concentrata) sull’“attività d’impresa” [76] e sugli aspetti “dinamici” delle “relazioni” in cui tale attività inevitabilmente consta, in un’ottica conservativa di salvaguardia e di promozione dei valori aziendali, organizzativi e produttivi [77]. Il percorso evolutivo appena accennato trova nuove conferme (e nuova forza) nei principi generali e nei criteri direttivi contemplati dalla legge delega n. 155/2017 e, prima ancora, nei principi generali dettati dall’Unione Europea in materia di gestione della crisi e dell’insolvenza. Il panorama normativo sembra, infatti, riconoscere ufficialmente al concordato con continuità una funzione istituzionale più specificamente risolutoria della crisi d’impresa (reversibile) [78] e ciò specie nella misura in cui vi destina l’istituto in via potenzialmente preminente e non più meramente alternativa rispetto alla liquidazione, anche concordataria, dei valori aziendali. A tal fine, come già rilevato (parr. 1 e 2), appare determinante il principio generale contemplato [continua ..]
All’indomani della sua entrata in vigore, l’art. 186-bis L. Fall. ha sollevato non poche questioni interpretative sia in ordine alla qualificazione giuridica del concordato con continuità, sia all’individuazione dei confini e della portata applicativa della disciplina speciale ad esso dedicata [94]. Benché dotata di una rubrica dal tenore inequivocabile, la norma non reca, com’è noto, una definizione giuridica espressa e tantomeno pacifica dell’istituto concordatario con continuità aziendale, limitandosi a circoscrivere il proprio ambito applicativo (e quello dei collegati artt. 182-quinquies e 182-sexies) alla ricorrenza di tre fattispecie [95], tutte afferenti il contenuto del piano concordatario, a sua volta contemplato dal richiamato art. 161, 2° comma, lett. e), L. Fall. [96]. L’argomento è tanto noto quanto oramai probabilmente scontato; esso costituisce tuttavia un inevitabile punto di partenza per l’analisi ricostruttiva che ci si propone, ragion per cui si tenterà di darne cenno limitatamente ai profili a quest’ultima strettamente funzionali. A tal proposito, può dirsi che le maggiori difficoltà interpretative, registrate in punto di valutazione della conformità dei piani concordatari alle previsioni ex art. 186-bis L. Fall. e di compatibilità (ai sensi della medesima norma) delle modalità esecutive ed attuative proposte e/o proponibili a mezzo dei predetti piani [97], si siano tradotte in problematiche operative complesse, concernenti l’applicabilità, ai casi specifici sottoposti all’esame dei Tribunali di merito, delle norme più favorevoli e dei benefici speciali dedicati al concordato con continuità. Con l’ovvia conseguenza di esiti applicativi variopinti ed eterogenei in ragione della differenza di vedute riconducibile alle diverse sedi giudiziarie [98]. È innegabile come il quadro sopra descritto abbia reso l’attività ermeneutica di individuazione in positivo degli elementi e dei contorni qualificanti la tipologia concordataria in esame non solo necessaria ed imprescindibile [99], ma anche (per quanto metodologicamente stimolante) probabilmente più complessa [100], specie nell’ottica di una ricostruzione generale della formula [continua ..]
È noto come una delle questioni più dibattute, anche in forza dei risvolti pratici ed operativi ad essa conseguenti, abbia riguardato la eventuale necessaria rilevanza, ai fini dell’applicazione della disciplina speciale riservata al concordato con continuità, della persistenza di un ruolo attivo in capo all’imprenditore proponente. Ad avviso dell’orientamento aderente al tenore letterale della norma, infatti, la continuità contemplata dall’art. 186-bis L. Fall. è da intendersi in senso unicamente “soggettivo” e come tale da ricondursi necessariamente ed in via esclusiva alla “persona” dell’imprenditore e all’attività (di impresa) dallo stesso esercitata [104]. La formulazione dell’art. 186-bis, che tipizza peraltro espressamente ed in prima battuta l’ipotesi nella “prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore”, ne richiederebbe la persistenza necessaria ed inderogabile financo nelle more della successiva traslatio aziendale in mano d’altri [105]. Si aggiunga che tale soluzione interpretativa, favorevole ad una continuità aziendale rigorosamente “soggettiva”, ove altrettanto rigorosamente perseguita ed applicata, conduce all’esclusione di qualunque ipotesi di prosecuzione “indiretta” dell’attività d’impresa non espressamente tipizzata (v. par. 5.1). E ciò pure allorché la stessa risulti funzionalmente preordinata e idonea ad assicurare (non solo in concreto) la preservazione dei valori organizzativi ed economici sottesi alla continuità, traducendosi pertanto in una soluzione realmente più conveniente per i creditori dell’impresa. In una prospettiva del tutto opposta si pone invece un altro orientamento favorevole ad una qualificazione giuridica della “continuità” (ex art. 186-bis) in termini “oggettivi”, quale gestione di natura anche “indiretta” e dunque condotta per mano altrui [106]. Tale prospettiva interpretativa, che trova peraltro numerose conferme anche nella più recente giurisprudenza di merito, attribuisce in altre parole rilevanza all’“esercizio” dell’organismo [continua ..]
Ulteriori ed analoghe osservazioni possono formularsi in ordine alla disciplina competitiva di cui agli artt. 163, 4°-7° comma e 163-bis L. Fall. introdotti dalla citata L. n. 132/2015 [121]. La regolamentazione degli istituti delle proposte e delle offerte concorrenti risponde, com’è noto, all’esigenza di implementare il valore ottenibile dalla soluzione concordata della crisi attraverso l’intervento propositivo e competitivo del terzo, peraltro non necessariamente individuato o segnalato dal debitore, in un’ottica di massimizzazione delle possibilità di realizzo e di soddisfacimento dei creditori [122]. Sia pur nel vigore della complessa disciplina ad essi dedicata, tali istituti costituiscono l’espressione di un “decentramento”, sia pur diversamente articolato, del ruolo imprenditoriale nel governo della procedura concordataria e, dunque, di una “liberalizzazione” di quest’ultima in chiave potenzialmente migliorativa per gli interessi in gioco [123]. Entrambi gli istituti, infatti, sia pur diversamente per valenza ed intensità attuano un evidente “depotenziamento” della funzione “attorea”, svolta tradizionalmente dall’imprenditore c.d. originario, e del “controllo” esercitabile da quest’ultimo sull’attività d’impresa e sulla procedura concordataria. La “concorrenzialità” attuabile attraverso la presentazione di proposte alternative o l’avvio di aste competitive ex art. 163-bis L. Fall. consente infatti a soggetti terzi la facoltà di “intervenire” nella gestione dell’attività d’impresa e di “pilotare” il valore economico (e/o ancora produttivo) dell’organismo aziendale verso soluzioni “eterologhe” più convenienti di quelle prospettabili dal titolare dell’impresa medesima [124]. Ciò emerge con particolare forza dall’esame della disciplina prevista in materia di proposte concorrenti c.d. “ostili” (art. 163, 4°-7° comma L. Fall.) ove la competitività promossa dall’intervento di terzi proponenti assume per l’imprenditore una valenza rigorosamente “espropriativa” [125]. Sotto tale [continua ..]
Complessivamente gli interventi normativi del 2015 e del 2017 sembrano pertanto in sostanziale sintonia nel confermare la legittimità di una esegesi tendenzialmente più ampia del dato normativo ex art. 186-bis L. Fall. e la conseguenziale riconducibilità in capo a quest’ultimo di modalità esecutive ultronee rispetto a quelle tipizzate, il tutto nell’ottica di un’accezione “oggettiva” del criterio in esame. In via generale può concludersi come l’articolato avvicendarsi degli interventi normativi in materia di concordato preventivo evidenzi ad oggi i segni di un combattuto quanto faticoso mutamento di prospettive anche funzionali in tema di valore economico aziendale e di risanamento dell’organismo produttivo. Esso rivela inoltre le tracce di un percorso evolutivo in linea con gli indirizzi europei, confermato non senza apparenti esitazioni dalla prossima riforma delle procedure concorsuali che sembra ormai aver eletto la continuità aziendale “oggettivamente” intesa e il superamento della crisi ottenibile suo tramite, a requisito tanto prevalente quanto essenziale della procedura concordataria e, prima ancora, ad obiettivo generale e prioritario. Con ciò confermando altresì una nuova (ed ulteriore) tappa del laborioso quanto faticoso percorso evolutivo tipologico della “continuità aziendale”, da elemento funzionale ed occasionale tipizzato, a “valore” sostanziale,“intrinseco” [134] ed in prospettiva potenzialmente “autonomo” [135].
Sull’analisi ricostruttiva della “continuità aziendale” (e del suo percorso evolutivo) incide significativamente la previsione (nonché l’esegesi) del nesso funzionale contemplato dall’art. 186-bis L. Fall. [136]. Il collegamento inscindibile sancito dal legislatore del 2012 fra “continuità” e “migliore soddisfacimento” dei creditori concordatari si traduce, com’è noto, in un criterio selettivo essenziale per l’individuazione della tipologia concordataria con continuità e per l’applicazione della relativa disciplina, divenendo generatore di effetti interpretativi ed applicativi di rilievo, variabili in relazione alla valenza e al peso ad esso riconoscibile, in un’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco. Il legame funzionale previsto dall’art. 186-bis L. Fall. ha così finito per dar vita inevitabilmente a soluzioni interpretative ed applicative diverse, in ragione del maggiore o del minore “dinamismo” concedibile al bilanciamento dei centri di interesse ad esso sottesi [137]. Più precisamente, secondo una dinamica che evoca il fenomeno fisico dei “vasi comunicanti”, accade che ad un eventuale “contenimento” della portata dell’interesse del ceto creditorio corrisponda un’acquisizione di valore tutelabile in capo all’interesse al risanamento e alla conservazione dell’organismo aziendale [138], anche in termini di deroga al principio generale ex art. 2740 c.c. [139]. E ciò specie nella misura in cui il primo (ex parte creditoris) trovi nel secondo (il risanamento e la conservazione) una giustificazione istituzionale alla propria eventuale compressione. In via generale, l’operazione di bilanciamento degli interessi in gioco richiesto dall’art. 186-bis in vigore, evidenzia allo stato una sostanziale “prevalenza” dell’interesse dei creditori sull’interesse, diretto o indiretto, al risanamento. Ciò quantomeno nei casi in cui quest’ultimo risulti non coincidente o non confliggente con le ragioni creditorie, alla stregua di una valutazione comparatistica che tenga conto dei risultati prevedibilmente connessi alle alternative procedurali [continua ..]
Come sopra esposto (parr. 4, 4.1), la “continuità” ex art. 186-bis L. Fall. si articola in due formule, una “diretta”, l’altra “indiretta”; fra le fattispecie “a continuità indiretta” la norma contempla, com’è noto, la “cessione dell’azienda in esercizio” e il “conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”. A tal proposito, si è già osservato come la previsione normativa in esame individui nella “costanza” e nel “mantenimento in esercizio” un comune denominatore caratterizzante entrambe le fattispecie traslative: ai sensi dell’art. 186-bis, infatti, l’oggetto della cessione o del conferimento è l’azienda, complesso produttivo che conserva, tramite la “continuazione”, il proprio “valore” operativo, “dinamico” [164] e dunque economico. La continuità del complesso organizzato (e ristrutturato) diviene così “fattore produttivo” di flussi e di valori finanziari destinati, al loro volta, anche all’adempimento degli obblighi concordatari e, dunque, al “miglior soddisfacimento” dei creditori concorsuali; ciò emerge dall’analisi condotta sulle fattispecie in esame [165]. La cessione di azienda [166] determina, com’è noto, il trasferimento a titolo definitivo degli assets aziendali in capo al cessionario a fronte di un corrispettivo posto a carico di quest’ultimo che tenga conto del valore produttivo del complesso organizzato, mantenuto medio tempore in esercizio [167]. Tale corrispettivo (id est, il prezzo di cessione) individua e, al contempo, concretizza le risorse destinate al pagamento dei creditori concordatari, secondo le modalità e le percentuali consacrate nell’accordo [168]. La seconda fattispecie, in forza della quale gli assets aziendali costituiscono oggetto di un conferimento in natura in favore di una società, anche di nuova costituzione, pur svolgendo un’analoga funzione traslativa a titolo definitivo reca, diversamente dalla prima fattispecie, una struttura evidentemente peculiare. Il secondo termine del rapporto [continua ..]
Fra le questioni interpretative ed applicative maggiormente controverse giunte all’attenzione degli organi giudicanti all’indomani dell’entrata in vigore delle norme, v’è, com’è noto, la possibile configurabilità ex art. 186-bis L. Fall. della formula concordataria con continuità che si avvalga del contratto di affitto d’azienda quale modalità esecutiva potenzialmente compatibile [177]. Per quanto ampiamente dibattuta, la quaestio non pare ancora pacificamente risolta; essa peraltro si conferma di attuale rilevanza specie in ragione della diffusa quanto consueta utilizzazione del suddetto contratto quale strumento di conservazione “indiretta” del complesso aziendale, generalmente preordinato alla cessione (di quest’ultimo) al terzo affittuario [178]. Come già accennato (parr. 4, 4.1), le pronunce di merito analizzate in argomento consentono di individuare, seppure con risultati a dir poco variabili in punto di applicabilità della disciplina speciale dedicata, due filoni interpretativi principali e fra loro ancora oggi contrapposti: uno più rigoroso, ispirato a una prosecutioesclusivamente diretta dell’attività d’impresa; l’altro, invece, favorevole ad una lettura “oggettiva” della continuità e pertanto orientato ad ammettere la legittimità di formule esecutive ultronee purché serventi (in concreto) la salvaguardia del complesso aziendale e la sua continuità [179]. A tal proposito è bene ricordare come la mancata menzione del contratto di affitto (di azienda) nel testo ex art. 186-bis L. Fall. abbia contribuito a sollevare non poche perplessità in merito alla possibile individuazione in capo allo stesso di uno strumento esecutivo (di piani concordatari con continuità) “compatibile” e dunque “conforme” alle disposizioni normative [180]. La omessa previsione legislativa ha pertanto suffragato da principio una interpretazione restrittiva ispirata ad un concetto di “continuità” dal valore eminentemente “soggettivo”, favorevole ad una lettura delle tre fattispecie (contemplate dall’art. 186-bis) da condursi in chiave analoga [181]. Ad avviso di tale orientamento, invero, [continua ..]
Tale ricostruzione è opposta, com’è noto, dai sostenitori della tesi c.d. oggettiva, tendenzialmente favorevole a riconoscere la compatibilità e dunque l’ammissibilità ai sensi dell’art. 186-bis L. Fall., delle formule concordatarie a continuità indiretta seppure non espressamente tipizzate [193]. L’orientamento, incline ad un’accezione“estensiva” del concetto di continuità quale valore conservabile anche a prescindere dal soggetto che vi provveda, ha consentito di guardare con favore a formule ulteriori di gestione eterologa e, dunque, a soluzioni che indichino nell’affitto d’azienda un possibile strumento di adempimento concordatario [194]. A tal proposito deve osservarsi come, almeno da principio, tale prospettiva esegetica abbia trovato fondamento, nonché consolidamento, nel criterio di (necessario) collegamento funzionale fra il predetto contratto (di affitto) e le fattispecie a continuità indiretta espressamente contemplate dal legislatore. Ad avviso del predetto orientamento, infatti, il contratto di affitto d’azienda non costituisce un impedimento alla qualificazione del concordato ai sensi dell’art. 186-bis L. Fall., quantomeno nelle ipotesi che rivelino un legame di preordinazione del primo rispetto alla futura cessione o al futuro conferimento del complesso aziendale [195]. Su tali premesse, la ricorrenza del rapporto di “mezzo a fine” tra i negozi giuridici in esame ha consentito di legittimare, pertanto più agevolmente, l’utilizzo del contratto di affitto, in forza della “coerente” collocazione di quest’ultimo all’interno del piano concordatario quale fase antecedente, preordinata e prodromica alla cessione o al conferimento a terzi dell’azienda, mantenuta (suo tramite) “in esercizio” [196]. In altre parole, è la espressa previsione normativa delle fattispecie a continuità “oggettiva” (cessione e conferimento) improntate alla definitiva dismissione del complesso aziendale, a consentire l’utilizzo del contratto di affitto purché finalizzato e preordinato alla realizzazione di uno degli eventi traslativi tipizzati, prescelti [continua ..]
Un ultimo rilievo merita, infine, la “struttura” del canone di affitto per essersi essa tradotta talvolta in un punto di contatto fra gli opposti orientamenti interpretativi sopra indicati [210]. Tale struttura, infatti, ove elaborata in misura “variabile” e dunque legata all’andamento dell’attività condotta dall’affittuario e al flusso economico da essa proveniente, si è rivelata risolutiva ai fini dell’ammissibilità di concordati proposti ai sensi dell’art. 186-bis L. Fall. [211]. Il collegamento “quantitativo” del canone alla “produttività aziendale” riconducibile all’attività condotta dal terzo/affittuario ha, infatti, consentito più agevolmente di ravvisare una permanenza, sia pur indiretta, delle condizioni di rischio di impresa in capo all’imprenditore proponente, senza alcuna sostanziale soluzione di continuità [212]. In argomento, benché minoritaria, merita evidenza tuttavia un’altra opinione che, spingendosi ben oltre i confini suindicati, ha riconosciuto la compatibilità ex art. 186-bis L. Fall. dello strumento dell’affitto anche a fronte di un canone del tutto svincolato dai risultati reddituali attesi, ricavabili in concreto dalla gestio c.d. indiretta e, dunque, pattuito in misura fissa [213]. È evidente come tale soluzione [214] trovi fondamento in un approccio interpretativo rigorosamente oggettivo del concetto in esame, attento alle prospettive di permanenza in vita del complesso aziendale quale organismo produttivo di valore (indipendentemente dal soggetto che vi provveda) e sul presupposto che i flussi economici previsti dalla “gestio indiretta” vengano a tradursi in “ricavi” da destinare all’esecuzione del concordato. La pattuizione di un canone fisso, formalmente “svincolato” dall’andamento dell’attività dell’affittuario, non cagionerebbe pertanto alcun scollegamento sostanziale fra la gestione indiretta dell’impresa e l’adempimento degli obblighi concordatari assunti dall’imprenditore proponente, specie nei casi in cui la predetta determinazione (in misura fissa) abbia tenuto conto (ex art. 186-bis, 2° comma) della [continua ..]
Alla luce degli orientamenti “salvifici” suggeriti a gran voce dall’Unione Europea in materia di gestione preventiva della crisi d’impresa, recepiti nella legge delega per la riforma delle discipline della crisi d’impresa e dell’insolvenza, la continuità aziendale, tanto diretta quanto indiretta, calata in ambito concordatario, sembra deputata ad acquisire in via definitiva un valore essenziale ed autonomo, strutturale e funzionale al contempo, quale “obiettivo-strumentale” dal contenuto prevalentemente “oggettivo”. Da modalità concordataria opzionale (ed occasionale) tipizzata, meritevole di uno speciale favor legis in punto di disciplina, tale continuità sembra infatti destinata dal progetto riformatore a un riconoscimento ufficiale di rilievo, quale elemento costitutivo (se non esclusivo, quantomeno prevalente) dotato di valore sostanziale e, al contempo, quale fattore funzionale, strumentale al risanamento e al potenziamento dei valori aziendali (oltre che al soddisfacimento dei creditori), nel quadro di una rinnovata concezione, europea quanto nazionale, di gestione preventiva e risolutiva della crisi d’impresa. Tale percorso evolutivo, prospettato e tracciato nelle pagine che precedono, sembra trovare conferma e buone prospettive attuative nei contenuti definitivi della legge delega per la riforma appena promulgata; per conoscerne l’epilogo normativo si dovrà tuttavia attendere la chiusura dei lavori istituzionali delegati, di competenza Governativa.