L’Autore esamina alcuni aspetti della nuova L. n. 155/2017 sull’insolvenza aziendale. In particolare, l’attenzione è focalizzata sulla composizione pre-fallimento, principalmente come un modo per promuovere la continuità delle società in difficoltà ma ancora vitali. Andando di contrario avviso alla giurisprudenza appena assestatasi, la riforma attribuisce al giudice il potere di valutare il merito economico del piano concordatario. L’articolo mira a spiegare i rischi connessi a quest’ultima opzione.
The Author examines some aspects of the new Italian Act n. 155/2017 reforming the Corporate Insolvency Law. In particular, the attention is focused on the Pre-bankruptcy composition, mainly as a way to promote the continuity of distressed but still viable companies. Contrary to case law, the act appears questionable as regards the power, conferred to the judge during the verification phase of the aformentioned proceedings, to evaluate the economic merit of the plan. Due to this, the article aims to explains the risks related to this latter provision.
1. Il nuovo fallimento in funzione riallocativa dei fattori della produzione d'impresa - 2. La delega al Governo per un nuovo intervento di riforma - 3. Il primo schema di d.d.l. delega approvato dalla "Commissione Rordorf" - 4. Il concordato preventivo e il giudizio di fattibilità secondo la Commissione Rordorf - 5. Le modifiche apportate a seguito dell'approvazione del d.d.l. da parte del Consiglio dei ministri - 6. Il passaggio alle Camere - 7. La controriforma - NOTE
Se si volge lo sguardo al periodo che va dalla promulgazione del Codice di commercio del 1882 al Codice civile del 1942, è possibile constatare sin da subito che l’economia dello Stato unitario era ancora largamente basata sulla produzione agricola e sulla logica commerciale degli scambi, specie per via marittima, senza che gli albori della rivoluzione industriale avessero ancora da noi prodotto effetti significativi. Ne conseguiva che il “neonato” diritto commerciale era basato più che sul concetto di impresa su quello della persona dell’imprenditore, più che sull’identificazione dell’organizzazione dei fattori produttivi da parte dell’impresa sulla mera tipizzazione dei singoli atti di commercio, più che sulla enucleazione di sistemi di risoluzione delle crisi aziendali in una logica di continuità economica su una visione personalistica dell’insolvenza in gran parte mutuata dal sistema esecutivo individuale. Né gli anni tra l’Ottocento e il Novecento erano destinati a vedere grandi mutamenti di questo sistema. Forse solo il governo Giolitti, nel 1892, per primo si pose il problema dei radicali cambiamenti che la rapida industrializzazione di molti Stati del nord-Europa induceva sul panorama degli scambi, ma ancora l’attenzione della neonata industria italiana era focalizzata nel chiedere sgravi e agevolazioni di tipo fiscale piuttosto che riforme strutturali della normativa di settore. Come al solito sono i tempi di crisi che dettano l’agenda dei riformatori. Ed in tal senso l’inadeguatezza del sistema del diritto commerciale, che per lunghi anni era stata discussa a livello meramente accademico dai maestri dell’epoca, era destinata a mostrare tutta la sua gravità dopo la prima crisi economica del 1907. Quando la politica percepisce il pericolo derivante dall’inadeguatezza del sistema è però troppo tardi; l’illusione che dalle crisi economiche sistemiche si potesse uscire solo con strumenti macroeconomici era destinata a rivelarsi tale qualche anno dopo, con la Grande crisi del 1929. Ma, ancora una volta, quando la politica chiamava, i giuristi mostravano la loro inadeguatezza a dare risposte concrete e, soprattutto, aggiornate al contesto. Sicché dalle crisi dell’economia delle valute l’Italia è uscita, anziché con riforme [continua ..]
A distanza di circa dieci anni dalla precedente riforma, nel gennaio 2015 è stata istituita una nuova Commissione ministeriale di esperti incaricata di “valutare” la necessità di ulteriori interventi normativi di riordino della disciplina delle procedure concorsuali. Anche solo dal punto di vista dell’immagine, una riforma organica della disciplina italiana in materia d’insolvenza e procedure concorsuali risultava necessaria, in quanto la normativa nazionale di riferimento era ancora costituita dal R.D. 19 marzo 1942, n. 267, mentre quasi tutti gli altri Stati dell’Unione Europea si erano dotati di normative sull’insolvenza ben più recenti. A prescindere dall’esigenza di “restyling d’immagine”, deve tenersi conto che se da un lato la legge fallimentare italiana è stata oggetto di plurime modifiche nel corso degli anni – innovando interi settori – dall’altro ciò ha persino accentuato lo scarto tra disposizioni riformate e quelle rimaste invariate, che ancora risentono di un’impostazione datata e quindi ben lontana dal contesto politico e sociale odierno. A ciò si aggiunga, poi, che la frequenza degli interventi normativi ha spesso generato difficoltà applicative, impedendo il formarsi di indirizzi giurisprudenziali consolidati e stabili, accentuando, viceversa, situazioni di incertezza giuridica e favorendo il moltiplicarsi delle controversie nonché il rallentamento delle procedure concorsuali. Non si possono ignorare, d’altronde, le numerose sollecitazioni provenienti dall’Unione Europea, e in particolare la Raccomandazione 2014/135/UE, oltre che l’emanazione del nuovo regolamento europeo sull’insolvenza transfrontaliera (Regolamento UE n. 15414/2015). Né vanno trascurati i principi della Model law, elaborati in tema d’insolvenza dall’Uncitral, il cui recepimento consente il riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali emessi nei rispettivi paesi con evidente vantaggio anche per gli imprenditori italiani operanti all’estero. Discende da ciò una prima fondamentale scelta, ossia quella di delineare un assetto normativo in cui siano ben chiari i principi giuridici comuni al fenomeno dell’insolvenza, come tali idonei a rappresentare punti di riferimento per l’intera gamma delle procedure di cui si [continua ..]
La Commissione – insediatasi il 18 febbraio 2015 – veniva investita del compito di provvedere: a) alla razionalizzazione, semplificazione e uniformazione dei procedimenti previsti dalla legge fallimentare anche in relazione all’accordo con la disciplina del processo civile telematico; b) all’individuazione di misure idonee a incentivare l’emersione dalla crisi; c) all’individuazione delle linee generali di riforma delle procedure concorsuali diverse da quelle previste dalla legge fallimentare, e in particolare, quanto alleprocedure del debitore in stato di sovraindebitamento, individuazione delle misure volte a consentire al creditore di provocare l’apertura della procedura liquidatoria; d) alla ricognizione di opportune linee di raccordo con le prospettive di riforma della materia dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Il 25 novembre 2015, la Commissione proponeva al Governo uno schema di disegno di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali. Nella relazione di accompagnamento del Presidente Rordorf, datata 29 dicembre 2015, si illustravano analiticamente le linee essenziali e gli obiettivi della riforma: ampio spazio veniva riservato alla procedura di concordato preventivo, ritenuta, da parte degli operatori del settore, il meccanismo più efficace per risolvere positivamente le crisi d’impresa o per recuperare le potenzialità aziendali presenti in situazioni di insolvenza non del tutto irreversibile; peraltro, le riforme intervenute in materia nell’ultimo decennio, improntate ad una maggiore flessibilità dell’istituto, hanno assicurato un costante aumento delle domande di ammissione a tale procedura.
Nel procedere all’esame dei punti da riformare in tema di concordato preventivo, la Commissione non ha ritenuto opportuno specificare ulteriormente i poteri diverifica della fattibilità del piano concordatario spettanti al Tribunale, considerando, viceversa, sufficiente il richiamo all’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità circa la distinzione tra controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato e valutazione in ordine al merito di detto giudizio. La Cassazione, infatti, a partire dal 2009, si era espressa nel senso di precludere al giudice il potere di formulare un giudizio di merito sulla fattibilità del piano. Inparticolare, nella nota pronuncia delle Sezioni Unite del 2013 [1], è stato affermato che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, e tale giudizio si estende non solo alla completezza, alla congruità logica e alla coerenza complessiva della relazione del professionista, ma anche alla fattibilità giuridica della proposta, ma non a quella economica. La Cassazione, infatti, riconosce al giudice fallimentare tre funzioni: i) garante della regolarità della procedura; ii) custode dei principi fondamentali dell’ordinamento che non vanno violati con l’abuso del diritto; c) solutore dei conflitti; ma, si aggiunge esplicitamente, mai valutatore della convenienza economica, competendo esclusivamente ai creditori la valutazione relativa alla probabilità di successo economico del piano e ai rischi inerenti. Recentemente, sempre la Corte di Cassazione ha affermato che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito di detto giudizio [2]. Anche la giurisprudenza di merito ha mostrato adesione ai principi enunciati dalla Suprema Corte, assurgendo a principio giurisprudenziale consolidato quello per cui il giudice, anche successivamente all’ammissione alla procedura di concordato, è tenuto ad effettuare una valutazione circa la fattibilità del piano proposto sotto il profilo della correttezza giuridica ed [continua ..]
Il Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2016, sulla scorta del progetto della Commissione ministeriale, approvava un disegno di legge delega al Governo per lariforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza (n. 3671). Il nuovo testo, nel transitare da Via Arenula a Palazzo Chigi, vedeva tuttavia mutare parzialmente il suo contenuto, sul punto che qui ci occupa, rispetto allo schema proposto dalla Commissione. Nella relazione di accompagnamento presentata alla Camera l’11 marzo 2016, in particolare, veniva previsto che il futuro legislatore delegato rivedesse l’attuale sistema di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di attestazione della fattibilità del piano concordatario, al fine di chiarire, in via generale, il contenuto dei poteri del Tribunale, con precipuo riguardo proprio alla valutazione della fattibilità del piano, «attribuendo, in ogni caso, al giudice il potere di verificare, sin dalla fase di ammissione alla procedura, la realizzabilità economica dello stesso». In particolare, l’art. 6, 1° comma, lett. f), d.d.l. attribuisce al Tribunale poteri di verifica “in ordine alla realizzabilità economica” del piano, e ciò in palese contrasto con quanto statuito dalla granitica giurisprudenza di legittimità. Schema di disegno di legge delegaapprovato inizialmente dalla Commissione Rordorf Testo approvato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 2016 ART. 6. – (Procedura di concordato preventivo) 1. La disciplina della procedura di concordato preventivo va riordinata prevedendo: a) l’ammissibilità di proposte esclusivamente liquidatore solo in caso di apporto di risorse esterne che aumentino, in misura apprezzabile, la soddisfazione dei creditori; b) a legittimazione del terzo a promuovere il procedimento nei confronti del debitore che versi in stato di insolvenza, nel rispetto del principio del contraddittorio e con l’adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore, in caso di successivo inadempimento del terzo; c) la revisione della disciplina delle misure protettive, specie quanto a durata ed effetti, prevedendone la revocabilità, su ricorso degli interessati, ove non arrechino beneficio al buon esito della procedura; d) la fissazione delle modalità di accertamento della [continua ..]
Il nuovo testo veniva assegnato in questa versione alla II Commissione (Giustizia) in sede Referente il 31 marzo 2016. La Commissione – per ragioni che in questa sede è preferibile sottacere – richiedeva all’Assemblea di espungere l’art. 15, relativo all’amministrazione straordinaria delle grandi imprese, dal testo del disegno di legge. La Camera, nella seduta del 18 maggio 2016, deliberava sulla richiesta di stralcio, approvandola. Il nuovo testo risultante dallo stralcio dell’art. 15, con il 3671 bis(“Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza”), veniva nuovamente assegnato alla II Commissione (Giustizia), in sede referente. Nella seduta del 20 dicembre, veniva proposta la soppressione della lett. f), 1° comma, art. 6 d.d.l. [7], ricevendo tuttavia parere contrario dal Relatore della Commissione. Al contrario, trovavano parere favorevole – al quale si conformava il Governo – le proposte di emendamento relative alla sostituzione, alla lett. f), 1° comma, della parola “realizzabilità” con quella di “fattibilità” [8], nonché l’aggiunta delle parole «anche economica, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale» [9], che venivano approvate in Commissione in data 17 gennaio 2017; successivamente il testo veniva licenziato per la discussione in Assemblea, che prendeva inizio il 30 gennaio 2017. Nella seduta dell’Assemblea della Camera dei deputati 1° febbraio 2017, n. 734, il testo di delega veniva approvato senza ulteriori modifiche alla lett. f), 1° comma, art. 6. Successivamente, il d.d.l. veniva trasmesso in data 3 febbraio 2017 al Senato, che provvedeva alla sua approvazione definitiva l’11 ottobre 2017 (S. 2681), senza che risulti né dai verbali di Commissione né da quelli di Aula, fatta eccezione per alcuni tentativi di emendamenti mai giunti a termine [10], alcuna osservazione in ordine al punto della verifica della fattibilità economica del piano, che aveva impegnato, al contrario, in discussioni infinite gli operatori del settore oltre che la giurisprudenza di legittimità. Il testo diventava L. 19 ottobre 2017, n. 155, pubblicata poi in G.U. del 30 ottobre 2017, n. 254. La disposizione in commento non compare più alla lett. f), di cui al [continua ..]
Il rischio che si palesa dalla novella legislativa è quello di replicare quanto previsto nell’Insolvenz Ordnung tedesco, dove espressamente si afferma che: «il giudice rigetta d’ufficio il piano, se … non ci sono prospettive di accettazione da parte dei creditori, oppure se è evidente che le pretese non possono essere soddisfatte». Si tratta, quindi, di una scelta netta non condivisibile, specie se suffragata dall’idea che, solo per l’inadeguatezza dei creditori – e in particolare dei creditori bancari – nonché dei professionisti incaricati dal debitore, debba essere ribaltata l’impostazione garantista degli istituti, retrocedendo al fallimento sanzionatorio originariamente previsto dal legislatore fascista del ’42. A ciò si aggiunga, non da ultimo, che la nuova previsione normativa accentua il pericolo di concentrare nelle mani del giudice un potere invasivo nel merito dei rapporti creditori-debitore, superando quella sorta di “autolimitazione” del sindacato giudiziale, che la stessa giurisprudenza aveva elaborato, in un ambito non connotato in via esclusiva da profili giuridici, ma anche da riferimenti all’analisi economica e finanziaria in senso lato. È evidente, pertanto, come la previsione di una verifica circa la “fattibilità economica del piano” contenuta nella nuova legge approvata dal Parlamento, lungi dall’apportare un contributo di chiarezza e certezza in materia, finirà per alimentare proprio quel livello di imprevedibilità delle decisioni giudiziali che si mirava a contrastare nell’idea iniziale sottesa al progetto di riforma, e con essa ad accrescere il rischio di prassi eterogenee fra i diversi Tribunali, ingenerando negli imprenditori italiani un ulteriore e perdurante senso di insicurezza, non certamente incentivante il rischio di impresa. Né può sostenersi, come già evocato da autorevole dottrina, che l’introduzione dell’inciso «tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale» possa rappresentare un efficace argine all’invadenza del giudice rispetto al merito del concordato. Tale inciso aggiunto al testo, infatti, non può certamente essere ritenuto idoneo, di per sé, a prevenire il rischio paventato di un’ingerenza del giudice nelle procedure di [continua ..]