Lo scritto esamina la disciplina delle classi di creditori nell’ambito del concordato preventivo, con particolare riferimento ai poteri di sindacato del Tribunale, nonché ai rimedi esperibili dai medesimi creditori a tutela del corretto “classamento” dei propri crediti. Alcune brevi notazioni sono infine riservate alla questione dell’applicabilità dell’istituto della c.d. “doppia conforme” al giudizio di reclamo fallimentare.
The paper examines the provisions regulating the division of creditors into classes within the context of the concordato preventivo (a procedure aimed at avoiding bankruptcy thanks to an agreement between the debtor and the creditors blessed by a judge), with particular reference to the jurisdictional powers of the court and to the remedies that can be lodged by the same creditors in order to protect the correct classification of their credits. The paper also offers some brief thoughts on the issue of the applicability of the so called “doppia conforme” institute to the bankruptcy claim judgment.
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1. La suddivisione dei creditori in classi - 2. (Segue): i criteri di formazione delle classi - 3. I poteri di valutazione del Tribunale e i rimedi esperibili dai creditori - 4. L’applicabilità della c.d. “doppia conforme” nel giudizio di reclamo fallimentare - NOTE
Con la pronuncia in commento la Suprema Corte si è occupata di alcuni aspetti inerenti al controllo giurisdizionale sulla formazione delle classi nell’ambito del concordato preventivo [1], affermando una serie di principi volti a chiarire se e in quale sede il Tribunale possa sindacare il rispetto da parte del debitore dei criteri di formazione delle classi, nonché quali siano i rimedi esperibili dai medesimi creditori al fine di sollecitare un controllo dell’autorità giudiziaria sul punto [2]. Prima di affrontare nello specifico le questioni sopra delineate, occorre brevemente esaminare la disciplina delle classi di creditori nella procedura di concordato preventivo, nonché i criteri previsti dal legislatore per la loro formazione. La facoltà [3] attribuita al soggetto sottoposto alla procedura concordataria di suddividere i «creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei» (art. 160, 1° comma, lett. c), L. Fall.), riservando «trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse» (art. 160, 1° comma, lett. d), L. Fall.), origina dall’esperienza nordamericana del Bankruptcy Code del 1978 [4] e trova il suo immediato precedente nell’ordinamento italiano nell’art. 4-bis, 1° comma, lett. a), D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, nella L. 18 febbraio 2004, n. 39, che disciplina la procedura di amministrazione straordinaria speciale per le imprese di rilevanti dimensioni [5]. La duplice finalità perseguita dalla suddivisione dei creditori in classi è quella di favorire l’accesso alla procedura concordataria, concentrando nel minor numero possibile di classi quei creditori da cui si attende una manifestazione di dissenso rispetto alla soluzione proposta [6], nonché di dare effettiva applicazione al principio della par condicio creditorum, riconoscendo la specificità della posizione di ciascun creditore [7] attraverso una previsione di soddisfacimento differenziata [8]. Quanto alla questione dell’obbligatorietà della suddivisione dei creditori in classi, nonostante il permanere di alcune opinioni di segno contrario [9], allo stato sembra essersi affermata la soluzione negativa, trovando tale presunto obbligo una chiara smentita nella lettera della [continua ..]
L’art. 160 L. Fall. prevede che il debitore, nel formare le classi creditorie, debba attenersi ai criteri della «omogeneità» della «posizione giuridica» e degli «interessi economici», i quali sono da applicarsi in via congiunta e non alternativa [13], sicché le categorie di crediti devono essere suddivise in modo tale che in ciascuna classe si trovino creditori che siano, sia dal punto di vista giuridico che economico, in posizione omogenea [14]. La legge fallimentare non chiarisce tuttavia il significato delle nozioni di «posizione giuridica» e «interessi economici» sicché a tale lacuna normativa ha dovuto supplire la giurisprudenza, la quale si è avvalsa sul punto anche dei numerosi spunti forniti dalla dottrina che si è occupata dell’argomento. Più in particolare, secondo la Suprema Corte [15] e una parte della dottrina [16], il parametro della «posizione giuridica» richiamerebbe la tradizionale distinzione tra crediti chirografari e crediti privilegiati. Altro orientamento, ha ritenuto al contrario che la distinzione poc’anzi indicata si riferisca esclusivamente alla natura del credito, ma non possa essere applicata nell’ambito delle classi concordatarie [17], sicché la nozione di «posizione giuridica» riguarderebbe piuttosto la natura oggettiva del credito o del creditore, consentendo quindi di raggruppare i medesimi crediti a seconda che si tratti, ad esempio, di crediti contestati o meno [18], di crediti muniti o meno di titolo esecutivo, di crediti di persone fisiche o giuridiche, di stranieri o di italiani, di fonte contrattuale o extracontrattuale, e così via [19]. Il requisito della omogeneità degli «interessi economici» consente invece di distinguere le posizioni creditorie aventi medesime caratteristiche oggettive sul piano giuridico-formale, avendo riguardo alla categoria di appartenenza economica dei soggetti creditori (ad esempio, banche, enti previdenziali, fornitori) [20], oppure all’entità del credito rispetto all’indebitamento complessivo [21], o ancora tenendo conto del ruolo dei creditori in sede di realizzazione del piano (ad esempio, ripartendo i crediti in conseguenza dell’appartenenza ad un ramo di azienda per il quale il piano concordatario preveda la [continua ..]
L’art. 163, 1° comma, L. Fall. contempla un potere di sindacato del Tribunale sulle classi concordatarie, disponendo testualmente che «ove siano previste diverse classi di creditori, il Tribunale provvede analogamente previa valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi (corsivo aggiunto)» [29]. Come osservato da un parte della dottrina, nel punto in cui riporta l’espressione «provvede analogamente», la disposizione testé richiamata risulta pleonastica in quanto volta esclusivamente a ribadire che il Tribunale non può pronunciare il decreto di apertura della procedura se non dopo aver positivamente verificato la correttezza dei criteri di suddivisione dei creditori in classi [30]. Inoltre, si è pure osservato che tale disposizione avrebbe trovato migliore collocazione nel corpo dell’art. 160 L. Fall., riguardando i presupposti di ammissione della domanda [31]. Quanto alla portata e ai limiti del sindacato che il Tribunale – d’ufficio o, come si vedrà infra, anche su istanza dei creditori – può compiere sul rispetto dei criteri di formazione delle eventuali classi, esistono posizioni divergenti tanto nella dottrina quanto nella giurisprudenza. Ad avviso di un primo orientamento, infatti, il giudice non potrebbe esercitare un controllo di merito sui metodi di formazione delle classi oppure sulla coerenza delle divisioni adottate, ma dovrebbe limitarsi ad esprimere un giudizio sulla correttezza dei criteri concretamente applicati. Ciò in quanto l’art. 163, 1° comma, sopra citato prevede un controllo sulla mera «correttezza dei criteri di formazione» delle classi, mentre, sotto un diverso profilo, i parametri individuati dall’art. 160, 1° comma, lett. c), L. Fall. sarebbero oltremodo generici, lasciando dunque un’ampia discrezionalità nel merito al debitore [32]. Per tale motivo, al Tribunale sarebbe precluso l’esercizio di qualsivoglia potere sostitutivo rispetto alle specifiche scelte negoziali effettuate dal debitore, non essendo, ad esempio, consentito allo stesso di suddividere il ceto creditorio in classi, né tanto meno di compiere una valutazione in merito alle concrete modalità ed ai criteri di distribuzione delle risorse in favore dei creditori concorsuali, salvo il divieto generale imposto al debitore di non [continua ..]
La pronuncia in commento si segnala infine per aver affrontato e risolto un’ulteriore questione sulla quale si registrano ancora pochi (e difformi) precedenti nella giurisprudenza di legittimità, ossia quella dell’applicabilità al giudizio di reclamo fallimentare del principio della c.d. “doppia conforme” in fatto sancito dall’art. 348-ter, 5° comma, c.p.c. [43]: come è noto, tale disposizione prevede che, nell’ipotesi in cui la pronuncia di primo e secondo grado siano basate sulle medesime ragioni in fatto, non può essere proposto ricorso per cassazione per il motivo di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5, c.p.c. [44]. La soluzione fornita nel recente arresto della Suprema Corte appare invero, ad avviso di chi scrive, quella maggiormente corretta, in quanto la differenza tra reclamo (in ispecie, ai sensi dell’art. 183 L. Fall.) e appello non è puramente terminologica, ma attiene al contrario alla natura e alla struttura dei due mezzi di impugnazione, nonché alla volontà del legislatore [45]. In tal senso si consideri, infatti, che: (i) il medesimo legislatore ha chiarito nella Relazione illustrativa al D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 – laddove ha sostituito il mezzo dell’appello nei confronti della sentenza dichiarativa di fallimento con lo strumento del reclamo – di voler «escludere l’applicabilità della disciplina dell’appello dettata dal Codice di rito ed assicurare l’effetto pienamente devolutivo dell’impugnazione», con ciò dimostrando di voler nettamente distinguere i due mezzi di impugnazione quanto alla disciplina applicabile; e (ii) il reclamo differisce strutturalmente dall’appello in quanto ha un effetto devolutivo automatico e pieno, mentre quest’ultimo è ormai un mezzo di impugnazione a critica (sempre più) vincolata, volto a controllare la correttezza dell’operato del primo giudice (revisio prioris instantiae) e non già a riesaminare nel merito la questione (novum judicium) [46]. Stante l’impossibilità di ricondurre ad unità i due mezzi di impugnazione, si deve allora ritenere che l’art. 348-ter, 5° comma, c.p.c. – applicabile esclusivamente al giudizio di appello – non possa trovare applicazione, nemmeno in [continua ..]