Cassazione civile, Sez. I, 14 febbraio 2017 – Pres. Nappi – Est. Mercolino
La Cassazione torna ad affrontare il tema dell’abuso dello strumento concordatario, con particolare riferimento al caso di domanda “in bianco” ripresentata dopo che quella “piena” era stata dichiarata inammissibile. Il fenomeno è inquadrato dalla Corte in termini di abuso del processo più che del diritto (sul tema cfr. in dottrina, in luogo di altri, F. CORDOPATRI, L’abuso del processo, voll. I-II, Padova, 2000; in materia concorsuale v., anche per riferimenti, R. AMATORE, L’abuso del diritto nelle procedure concorsuali, in Officina del diritto – Società e fallimento, Milano, 2015) e gli assunti contenuti nelle decisione in esame appaiono condivisibili. In linea generale, i giudici di legittimità osservano che “la richiesta di concessione del termine previsto dall’art. 161, 6° comma , L. Fall., per la presentazione della proposta, del piano e della relativa documentazione, non implicando alcuna valutazione in ordine all’ammissibilità della domanda di concordato, non integra un abuso del processo, la cui sussistenza, d’altronde, risolvendosi in un sindacato sull’idoneità della proposta a superare la situazione di crisi dell’imprenditore, con un soddisfacimento sia pur modesto e parziale dei creditori, presuppone necessariamente la conoscenza (che potrà esservi solo alla scadenza di tale termine) delle condizioni offerte dal debitore e delle modalità di realizzazione dell’accordo, nonché dei dati contabili che le giustificano”. Con specifico riguardo al caso di specie, la Cassazione ribadisce correttamente quanto in precedenza affermato nel 2015 a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 15 maggio 2015, n. 9935, in Dir. fall., 2016, p. 187 ss.) e nel 2016 (Cass. 31 marzo 2016, n. 6277, in www.il caso.it), vale a dire che è possibile “ravvisare un abuso del processo anche nella proposizione di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ogni qualvolta la stessa sia stata avanzata dal debitore non già per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, traducendosi tale comportamento nella violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo”. Ad altra decisione è lecito supporre che la Corte sarebbe invece giunta se la riproposizione della domanda, lungi dal perseguire fini scopertamente dilatori, avesse contenuto novità sostanziali e – ciò che più conta – idonee a superare i profili di inammissibilità riscontrati dal giudice di merito, a seguito di accertamento censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione. Nel confermare la declaratoria di fallimento la [continua..]