Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (AdR) sono strumenti per la regolazione negoziale della crisi d’impresa dai contenuti poliedrici e variegati. Il presente contributo prende le mosse dagli aspetti strutturali ed effettuali di tali accordi, per poi indagarne le patologie negoziali ed i relativi rimedi giudiziali in una sequenza logica che va dalle criticità emergenti durante la fase delle trattative, ai vizi genetici, per passare infine alle problematiche funzionali. Lo scritto si sofferma altresì sui rimedi volontari ai profili patologici degli AdR, con particolare attenzione ai “meccanismi di aggiustamento”, destinati ad operare in presenza di eventi reversibili, ed alla rinegoziazione in caso di accordi irreversibilmente compromessi.
Debt restructuring agreements are multifaceted and versatile tools to contractually regulate enterprise crisis. The present work aims at exploring the structural and functional aspects of these agreements as well as investigating the contractual issues and the associated judicial cures. Emergent critical problems which can arise during negotiations, invalidities, and contractual performance are discussed. Finally, this article outlines strategies to overcome debt restructuring agreement shortcomings, with a focus on adjustment clauses implemented when the events are reversible, and on renegotiation when agreements are irreversibly breached.
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1. La varietà contenutistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti - 2. Profili strutturali e funzionali dell’accordo - 3. Violazione dei doveri di buona fede ed informativi: responsabilità nella fase delle trattative - 4. Vizi genetici dell’accordo e nullità - 5. (Segue): fattispecie di annullabilità dell’accordo - 6. Patologie funzionali: il possibile rimedio della rescissione - 7. (Segue): inefficacia dell’accordo e clausole condizionali - 8. (Segue): inadempimento e caducazione dell’accordo - 9. (Segue): gli scostamenti rispetto alle previsioni del piano - NOTE
I contenuti degli accordi di ristrutturazione dei debiti (AdR) possono risultare particolarmente articolati [1]. A dimostrazione di questa poliedricità basta esaminare i provvedimenti giurisprudenziali sull’omologazione degli accordi per rendersi conto del polimorfismo che può contraddistinguerli, quale espressione di autonomia negoziale in questo campo [2]. Stante l’assenza di particolari previsioni contenutistiche nelle disposizioni di cui agli artt. 182-bis e 182-septies L. Fall., negli accordi stragiudiziali possono essere inseriti i patti più variegati: dilazioni di pagamento, remissioni parziali del debito, variazioni dei tassi d’interesse, postergazione di crediti, conversione di crediti in capitale, interventi di carattere aziendale, industriale e sul personale, sul management, sulle linee di business, dismissione di partecipazioni, alienazione di rami d’azienda ed erogazione di nuova finanza. L’unica prescrizione richiesta ope legis è la compatibilità di dette pattuizioni con la prospettiva di assicurare «l’integrale pagamento dei creditori estranei» (art. 182-bis, 1° comma, L. Fall.), che in ogni caso trova una possibile deroga nel regime degli accordi di ristrutturazione con banche ed intermediari finanziari (v. art. 182-septies, 1°-4° comma, L. Fall. [3]). Peraltro, nella prospettiva d’indagine delle patologie degli accordi, è stato affermato che la previsione di integrale pagamento dei creditori estranei non è né contenuto obbligatorio né, tantomeno, condizione di validità dell’accordo, riguardando piuttosto l’omologazione e quindi la sua efficacia a termini della legge fallimentare.
Il variegato atteggiarsi in concreto degli accordi stragiudiziali non agevola la definizione del problema inerente la loro natura giuridica, che è preliminare ad ogni discorso sulle possibili patologie ed i relativi rimedi. La fattispecie regolata dall’art. 182-bis L. Fall. è qualificata dal legislatore come «accordo … stipulato con i creditori» di cui l’imprenditore «può domandare l’omologazione». Pare, quindi, si possa accedere all’opinione che, rilevata la specifica qualificazione dell’accordo di ristrutturazione tra gli atti di autonomia privata e segnatamente tra i contratti, non considera tale istituto come una specie del genus concordato preventivo [4]. Militano in favore di questa tesi i seguenti argomenti: (i) gli accordi si formano prima della fase giurisdizionale, mentre nei concordati si prescinde, almeno formalmente, da qualsiasi anticipata intesa tra debitore e creditori; (ii) negli AdR la posizione dei creditori estranei resta di norma intangibile, invece nei concordati la maggioranza vincola sempre la minoranza; (iii) i creditori non sono organizzati come collettività; (iv) manca un controllo sulla gestione del debitore in epoca successiva al deposito del ricorso e al provvedimento di omologazione; v) manca la nomina di organi della procedura, salvo il caso di pre-concordato, e non vi sono particolari limitazioni alla “capacità” dell’impresa. Neppure sembra che i possibili limitati effetti per i creditori estranei previsti dall’art. 182-bis L. Fall., la prededucibilità ex art. 182-quater L. Fall. [5] e gli effetti solo eventuali verso banche ed intermediari finanziari non aderenti, ammissibili alle rigorose condizioni stabilite dall’182-septies, 2° e 4° comma, L. Fall., siano sufficienti allo stato a giustificare una virata dell’istituto, nel suo più recente restyling, verso la c.d. concorsualità [6]. Tuttavia, la constatazione della natura negoziale degli accordi non può indurre a trascurare il carattere per così dire “bifasico” del procedimento delineato dall’art. 182-bis L. Fall. e gli effetti ricollegabili alla fase giurisdizionale. Invero, dalla data di pubblicazione dell’accordo e per sessanta giorni [continua ..]
Il regime degli accordi di ristrutturazione è contraddistinto dalle disposizioni (6° e 7° comma dell’art. 182-bis L. Fall.) che danno esplicito rilievo alla fase delle trattative. Invero, l’imprenditore può richiedere al Tribunale la pronuncia del divieto per i creditori di iniziare o proseguire le azioni cautelari od esecutive nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione se non concordati «anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo» [23]. Tali effetti operano, comunque, a prescindere dal provvedimento del giudice e sin dal momento della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese. Con la predetta domanda va depositata la documentazione di cui all’art. 161, 1° e 2° commi, lett. a), b), c), d), L. Fall. nonché una proposta di accordo corredata (i) da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che su di essa sono in corso trattative con tanti creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e (ii) da una dichiarazione del professionista, avente i requisiti di cui all’art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall. circa l’idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento di creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a contrattare. La ratio della disposizione, che permette di anticipare la tutela per il debitore al momento delle trattative, è (a) quella di favorire le negoziazioni, consentendo la continuazione dell’impresa in un’ottica di valorizzazione dell’attività funzionale alla protezione del ceto creditorio, così come (b) quella di agevolare il perfezionamento degli accordi per garantire un più informato e consapevole svolgimento della fase precontrattuale. La previsione in discorso è stata oggetto di approfondimenti dottrinali riguardanti gli aspetti procedurali ed i profili attinenti la completezza documentale dell’istanza, che appaiono marginali rispetto al nostro tema d’indagine [24]. Invece, assai significativo, per esaminare eventuali patologie precontrattuali, è stabilire un legame tra la norma ex art. 182-bis, 6° comma, L. Fall. e quanto più in generale previsto dall’art. 1337 c.c., in ordine [continua ..]
Nell’ipotetica sequenza che muove dai profili patologici delle trattative, ai vizi genetici dell’accordo, per passare infine alle patologie funzionali dello stesso, occorre adesso volgere lo sguardo alle possibili questioni di validità. In relazione agli elementi essenziali del contratto [29], si è già scritto (supra, par. 2) che non sarebbe necessaria un’esplicita enunciazione nell’accordo dell’eventuale causa di ristrutturazione; tale finalità, ove presente, potrebbe certo conferire una particolare coloritura in senso funzionale al negozio (per esempio, fungere da elemento unificante tra i singoli covenants in esso contenuti; più tecnicamente: occasione di rilievo di un collegamento negoziale) e, aggiungerei, potrebbe pure orientare l’interpretazione del contratto [30]. La pretesa causa di ristrutturazione non sembra riconducibile sic et simpliciter alla funzione di scongiurare il fallimento – che appare invece un semplice motivo – giacché se così fosse dovrebbe configurarsi una nullità dell’accordo per mancanza sopravvenuta di causa derivante dalla successiva declaratoria d’insolvenza. Difatti, il rischio di dissesto del debitore rientra nell’alea normale del contratto di composizione della crisi d’impresa, la cui efficacia non è prefigurata dal legislatore come assolutamente irreversibile, tant’è che le regole sull’esenzione da revocatoria ex art. 67, 3° comma, lett. e), L. Fall. e sulla prededucibilità dei crediti ex art. 182-quater L. Fall.) [31] disciplinano effetti legali tipici di qualsivoglia AdR, proprio in vista dell’eventuale fallimento. Invero, negli accordi di ristrutturazione bisogna distinguere l’aspetto “programmatico”, connotato da reciproci impegni contrattuali delle parti, da quello “realizzativo”, che deve confrontarsi con la dinamicità dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, sicché la causa degli AdR, quale sintesi di ambedue i profili appena evidenziati, non può che mirare al riequilibrio economico-patrimoniale-finanziario dell’impresa in crisi, nell’interesse del debitore, del ceto creditorio e del mercato. Ma anche a voler assecondare l’idea dell’emersione [continua ..]
L’informazione ai creditori e la sua correttezza svolgono un ruolo decisivo negli accordi di ristrutturazione dei debiti. Quindi, è innegabile che la trasparenza del debitore sia rilevante quanto ai possibili riflessi che determina sul procedimento di formazione della volontà negoziale. Un’informazione adeguata, per quantità e qualità, è condizione per il valido esercizio dell’autonomia contrattuale, poiché il corretto intendere è fondamento per un volere razionale [40]. Ancor più in questa sede, in cui limitato spazio ha il principio di auto-responsabilità del creditore atteso che il dovere di informare, secondo le norme ex art. 182-bis L. Fall., è posto rigorosamente a carico dell’imprenditore proponente. Non può quindi escludersi che un’informazione non corretta spieghi efficienza causale sulla determinazione volitiva del creditore, quando abbia ingenerato in lui una rappresentazione alterata della realtà sì da produrre un errore da considerarsi essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c. Parimenti è a dirsi quando l’errore sia determinato da artifici o raggiri, o anche da semplici menzogne, configurandosi la fattispecie del dolo di cui all’art. 1439 c.c. se i raggiri siano stati tali che senza di essi l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso alla stipula [41]. In linea di principio, nella fattispecie neppure si può escludere l’applicazione della normativa in materia di violenza quale causa di annullamento dell’accordo (artt. 1434 ss. c.c.): non sembra peregrina l’ipotesi della minaccia di proporre ricorso per la dichiarazione di fallimento del debitore (cfr. art. 1438 c.c.). Quando si discorre di annullamento, nell’ambito di un’indagine che coinvolge le crisi d’impresa, la tentazione è che si vadano a ricercare nella disciplina della crisi i referenti normativi della patologia. Mi riferisco all’estensione agli AdR delle disposizioni in materia di annullamento (ma anche di risoluzione) del concordato preventivo, cioè l’art. 186 L. Fall., oltre a quelle, ivi richiamate, dettate dagli artt. 137 e 138 L. Fall. per il concordato fallimentare [42]. Tuttavia, l’irriducibilità degli accordi stragiudiziali al genus delle procedure concorsuali [continua ..]
In dottrina si è discusso se tra i rimedi a tutela della corretta formazione del consenso possa includersi la rescissione, almeno nella sua variante della rescissione per lesione ultra dimidium ex art. 1448 c.c. [45]. In linea teorica, l’applicazione di questo istituto alla fattispecie de qua non dovrebbe essere negata. Il presupposto dello stato di bisogno, inteso quale mancanza di liquidità, è astrattamente prospettabile sia – più tipicamente – per l’imprenditore, che per eventuali creditori. Così pure l’approfittamento. Sarebbe altresì superabile l’idea che debba ricorrere la necessaria strutturazione bilaterale del rapporto, giacché la dottrina non esclude che il rimedio rescissorio possa essere esteso anche ai contratti plurilaterali, oppure a figure negoziali autonome tra le quali ricorra però un collegamento che ne denoti la sostanziale bilateralità [46]. Tuttavia e salva la necessità di valutare, in concreto, il tenore dello specifico covenant, sarei tentato a negare l’applicazione agli AdR del rimedio rescissorio, in forza dell’art. 1970 c.c., che non consente la rescindibilità per lesione della transazione: l’eventuale sproporzione nel caso degli accordi, così come nella transazione, è riconducibile all’alea normalmente connessa ad un patto compositivo ed all’impossibilità di stabilire esattamente l’entità delle attribuzioni data l’incertezza sulle pretese dei contraenti, proprio nella fase della crisi d’impresa di cui non è agevole pronosticare esiti di sorta [47].
L’art. 182-bis, 2° comma, L. Fall., prevede che l’AdR debba essere pubblicato nel registro delle imprese e che acquisti efficacia dal dì della pubblicazione. Tale momento fissa il dies a quo per la proposizione delle eventuali opposizioni (182-bis, 4° comma, L. Fall.). La legge, nello stabilire che oggetto di deposito sia l’accordo e non una proposta d’accordo, evidentemente presuppone che l’accordo sia stato già stipulato. La decorrenza dell’efficacia dell’atto dalla pubblicazione vuole quindi significare non tanto che il deposito rappresenti elemento costitutivo dell’atto, quanto, al più, un incombente per la conoscibilità dei terzi. In questo senso, potrebbe affermarsi che, tendenzialmente, l’accordo è idoneo di per sé a produrre effetti sin dal suo perfezionamento, mentre sono gli effetti tipicamente collegabili all’omologazione che si spiegheranno una volta assolti gli oneri pubblicitari [48]. Più precisamente, riprendendo il discorso sulla causa concreta degli accordi, ci sarebbe da operare un distinguo. Da un verso, (i) potrebbe trattarsi di accordi non espressamente votati a realizzare gli effetti di cui all’art. 182-bis L. Fall.: in quest’ipotesi è indubitabile che gli effetti normalmente ricollegabili all’accordo saranno gli effetti naturali discendenti dallo specifico rapporto contrattuale intercorso tra le parti. All’estremo opposto, (ii) si potrebbero collocare quegli accordi in cui i contraenti subordino espressamente l’efficacia dell’atto all’omologazione. In posizione intermedia, (iii) potrebbero segnalarsi gli accordi nei quali si enuncia (o si desume) una generica finalizzazione alla rimozione dello stato di crisi, senza precisare l’intento di perseguire gli effetti ex art. 182-bisL. Fall. In tal caso, è questione di interpretazione verificare la sussistenza nell’accordo di una condizione implicita della sua destinazione al deposito nonché alla successiva omologazione, con conseguente applicazione della regola della sospensione dell’efficacia di cui si è scritto dianzi, ovvero se l’atto, qualificabile come semplice concordato stragiudiziale, debba considerarsi efficace sin dalla sottoscrizione quanto alle pattuizioni ivi contenute e produrre gli ulteriori [continua ..]
Le fattispecie di mancata esecuzione dell’accordo, riferibili sia all’inadempimento del debitore che agli altri soggetti coinvolti, non si prestano ad una facile sistemazione – anche in ragione della specifica disciplina – (a) in difetto di qualsivoglia appiglio normativo nella specifica sedes materiae e (b) considerata, oltretutto, la loro poliedricità sotto il profilo funzionale e strutturale. Sull’inapplicabilità delle norme della risoluzione del concordato preventivo agli accordi in discorso si è già scritto (supra, par. 5). Si può aggiungere solo che la differente ratio – e quindi l’impossibilità di estendere la disciplina del concordato preventivo in materia di annullamento e di risoluzione – potrebbe cogliersi nella circostanza che la crisi, negli accordi, è governata alla stregua dei patti dei contraenti e non in ambito giudiziale, dunque al di fuori di una procedura concorsuale; il controllo omologatorio vale, semmai, a verificare che il tentativo di soluzione negoziale della crisi sia seriamente realizzabile, senza lesione dei diritti dei soggetti che non vi hanno partecipato [53]. La natura esclusivamente privatistica degli accordi non è tradita dal controllo successivo [54], né tanto meno dall’applicazione della disciplina generale della risoluzione del contratto per inadempimento. L’inadempienza potrebbe però rilevare anche nei confronti di soggetti che parti dell’AdR non sono: mi riferisco ai creditori terzi. A questo riguardo, emerge il problema di verificare in quale misura sia possibile configurare un inadempimento dell’accordo rispetto ai creditori non aderenti. La riforma di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83 ha dato tendenzialmente ragione all’opinione meno rigorosa formatasi sul testo previgente [55], escludendo che il pagamento ex art. 182-bis, 1° comma, L. Fall. debba essere necessariamente “esatto” ma prevedendo, quantomeno, che debba trattarsi di un adempimento “integrale”. La legge rinuncia, quindi, alla necessità di considerarlo “esatto” quantomeno con riguardo alla sua scadenza. Difatti, viene stabilito un termine legale di tolleranza di centoventi giorni che decorrono dall’omologazione, per i crediti maturati a tale data, e dalla scadenza, in caso di [continua ..]
9. (Segue): gli scostamenti rispetto alle previsioni del piano, i “meccanismi di aggiustamento” e la rinegoziazione degli accordi Come è pacifico, sia l’attuabilità dell’accordo sia la possibilità di pagare regolarmente i creditori terzi non derivano dall’AdR in sé, quale contratto stipulato con una parte qualificata dei creditori, ma, piuttosto, da un insieme coordinato di azioni che il debitore intende intraprendere, (anche) grazie alla ristrutturazione del suo debito, e che devono necessariamente trovare idonea rappresentazione nei patti. Lo scostamento dal piano, in fase esecutiva, si considera “significativo” ogniqualvolta l’ipotesi di ristrutturazione prospettata ed assunta a pietra miliare (ossia un risultato parziale misurabile che deve essere raggiunto durante l’attuazione) non sia più realizzabile ovvero lo sia, ma a condizioni economiche e/o temporali incompatibili con il rispetto del cronoprogramma [67]. Gli scostamenti “significativi”, ben diversi dagli inadempimenti all’accordo, possono essere di due specie: (i) oggettivi, che si sostanziano nel compimento di un’attività non contemplata nel piano o nel mancato compimento di un’attività in esso prevista; (ii) quantitativi, consistenti nel mancato rispetto dei dati previsionali di piano qualora lo scarto rispetto ad essi non sia assorbito da savings ovvero si riveli comunque superiore allo scarto massimo tollerabile individuato nell’analisi di sensitivity. In caso di significativo scostamento fra la realtà e le previsioni del piano «l’accordo non può più essere eseguito come originariamente prospettato e gli effetti protettivi dell’omologazione vengono meno» [68]; inoltre, «gli eventuali atti che dovessero ancora risultare da compiere, ove posti in essere, non potrebbero [quindi] essere più considerati in esecuzione del piano» [69]. Dal momento in cui si verifica lo scostamento in poi, l’accordo diviene inattuabile (quantomeno nell’originaria configurazione), sicché – con riferimento a tutti gli atti compiuti successivamente – vengono meno il beneficio della prededuzione per i finanziamenti erogati, l’operatività [continua ..]