Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Traformazione di società di capitali in comunione d´azienda e termine annuale per la dichiarazione di fallimento (di Nicola Soldati, Professore associato di Diritto dell’economia nell’Università di Bologna “Alma Mater Studiorum”)


Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte, prendendo posizione sugli effetti della cancellazione della società dal Registro delle imprese, ribadisce – alla luce della previsione contenuta all’art. 10 L. Fall. – la fallibilità delle società entro il termine di un anno dalla sua cancellazione e ciò indipendentemente dal fatto che la società cessi effettivamente ogni attività o questa sia trasferita a seguito di trasformazione. La Corte cristallizza il principio di diritto secondo il quale i creditori di titolo anteriore alla cancellazione dell’“ente originario” si avvantaggiano del regime di responsabilità proprio della relativa struttura. A tale regime rimane ancorata, di conseguenza, la fallibilità dell’“ente originario”, che l’intervenuta trasformazione non è idonea a impedire. Del pari la Corte ha affermato che in caso di trasformazione, la norma dell’art. 10 trova comunque applicazione nei confronti dell’“ente originario”. La soggettività fallimentare di questo ente non è diversa da quella che viene riconosciuta a una qualunque società cancellata dal registro e dichiarata fallita nel corso dell’anno successivo. La sentenza fornisce l’occasione all’A. per delineare la disciplina della fallibilità dell’impresa in caso di trasformazione.

Transformation of capital company in communion of company and annual deadline for the declaration of bankruptcy

With the decision in question, the Supreme Court, taking a position on the effects of the cancellation of the company from the Company Register, reiterates – in the light of the forecast contained in art. 10 L.F. – the fallibility of companies within one year of its cancellation and this regardless of whether the company actually ceases every activity or this is transferred as a result of transformation. The Court crystallizes the principle of law according to which the creditors of the prior to the cancellation of the “Original Ente” are benefited from the responsibility regime of the relative structure. At this scheme it remains anchored, consequently, the fallibility of the “Original Ente”, which the intervention of transformation is not suitable to prevent. Likewise, the Court stated that in the event of transformation, the rule of art. 10 still finds application against the “Original Ente”. The bankruptcy subjectivity of this institution is no different from what is recognized to any company canceled by the register and declared failed during the following year. The sentence provides the opportunity to outline the discipline of the failure of the company in the event of transformation.

Keywords: transformation, cancellation from the Business Register, bankruptcy, communion of the company.

(Artt. 10 e 15 L. Fall.; artt. 2248, 2500, 2500-septies, 2500-octies, 2740 c.c.) L’art. 10 L. Fall. là dove precisa il limite temporale entro cui può intervenire la dichiarazione di fallimento, si manifesta funzionale all’obiettivo di non estendere all’infinito gli effetti di una attività di impresa non più attuale; ora, questa situazione di cessata “attualità” dell’attività ben può ravvisarsi pure nel caso in cui il soggetto più non l’esercita, in ragione del fatto che ha ceduto la relativa azienda ad altri; come pure nel caso in cui sia venuto meno, per sopravvenuta trasformazione, il regime di responsabilità patrimoniale che accompagnava l’“ente” originario, attraverso la trasformazione della società in comunione d’azienda. FATTI DI CAUSA 1. – Con sentenza depositata in data 30 giugno 2017 il Tribunale di Terni ha dichiarato il fallimento della s.r.l. (Omissis), società cancellata dal registro delle imprese nel (Omissis) a seguito di delibera assembleare (per verbale notarile del (Omissis)) di sua trasformazione in comunione di azienda tra le società ADIP SA e MA.SA. SA. Avverso tale dichiarazione il rappresentante legale della società dichiarata fallita, M.A., ha proposto reclamo L. Fall., ex art. 18 avanti alla Corte di Appello di Perugia. Questa lo ha respinto con sentenza depositata in data 2 dicembre 2017. 2. – (Omissis). 3. – In relazione all’ulteriore contestazione del reclamante, per cui l’applicazione della norma della L. Fall., art. 10 è da ritenere limitata ai soli casi di cancellazione dal registro per “cessazione dell’attività”, la Corte umbra ha poi rilevato che l’indica­ta disposizione risulta “destinata a trovare applicazione a fronte di tutte le ipotesi di ‘cancellazione dal registro delle imprese’” e che, d’altronde, con la “trasformazione eterogenea la società si era comunque estinta”. A tale proposito la sentenza ha altresì sottolineato, pure richiamandosi a dei precedenti di questa Corte, che le società “sono tutte forme di esercizio collettivo del­l’impresa, sicché ad esse, senza distinzione alcuna, deve intendersi riferita, ai fini previsti dalla L. Fall., art. 10, l’espressione ‘impresa collettiva’ ivi contenuta”. E ha ancora aggiunto che, del resto, per solito “l’inapplicabilità dell’art. 10 è sostenuta (ad esempio, con riferimento alle società trasferite all’estero) nel senso di ‘estendere’ la possibilità del fallimento, non già nel senso di limitarlo, non rilevando la possibilità dell’opposizione dei creditori ex art. 2500 novies c.c., limitata alla sola trasformazione in sé, e non ai [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso deciso - 2. La fallibilità dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa - 3. Gli effetti della trasformazione eterogenea sull’ente originario - 4. La non alternativa tutela dei creditori sociali mediante opposizione alla trasformazione - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il caso deciso

La Suprema Corte, con la decisione in commento, prendendo posizione sulla fallibilità di una società in caso di trasformazione, ne afferma la fallibilità quale ente originario a seguito della sua trasformazione in comunione d’azienda entro il termine di un anno dalla data della sua cancellazione dal Registro delle imprese ai sensi della disciplina disegnata all’art. 10 L. Fall. Nel caso di specie, nel giugno del 2017 il Tribunale di Terni aveva dichiarato il fallimento di una società a responsabilità limitata cancellata dal Registro delle imprese nel novembre del 2016 a seguito di delibera assembleare con la quale era stata disposta la sua trasformazione in comunione d’azienda tra due società. Il legale rappresentante della società fallita presentava reclamo, ai sensi dell’art. 18 L. Fall., innanzi alla Corte d’Appello di Perugia, affermando che l’applicazione della norma contenuta all’art. 10 L. Fall. troverebbe applicazione limitatamente ai soli casi di cancellazione dal Registro per “cessazione dell’attività”. La Corte d’Appello, non condividendo i motivi del gravame e, quindi, rigettandolo, affermava che la disposizione di cui all’art. 10 L. Fall. è destinata a trovare ap­plicazione a fronte di tutte le ipotesi di “cancellazione dal registro delle imprese” compresa, quindi, la trasformazione eterogenea che porta all’estinzione dell’ente originario e alla conseguente cancellazione dal Registro delle imprese della compagine sociale. La Corte d’Appello sottolineava parimenti, richiamandosi ad alcuni precedenti della Suprema Corte, che le società sono tutte forme di esercizio collettivo dell’impresa, sicché ad esse, senza distinzione alcuna, deve intendersi riferita l’e­spressione impresa collettiva, contenuta all’art. 10 L. Fall. Altresì, la Corte ha evidenziato che di prassi “l’inapplicabilità dell’art. 10 è sostenuta con particolare riferimento alle società trasferite all’estero nel senso di ‘estendere’ la possibilità del fallimento, non già nel senso di limitarlo, non rilevando la possibilità dell’opposizione dei creditori ex art. 2500 novies c.c., limitata alla sola trasformazione in sé, e non ai suoi riflessi in ordine alla [continua ..]


2. La fallibilità dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa

La fattispecie dalla quale origina la sentenza in commento è costituita dalla fallibilità dell’imprenditore che ha cessato l’esercizio dell’impresa a seguito della trasformazione della società in comunione d’azienda [1] e costituisce, stante la novità della materia, l’occasione per approfondire le questioni interpretative attinenti alla fallibilità del soggetto giuridico che ha cessato la propria attività per il tramite di un’ope­razione di trasformazione eterogenea [2]. I dubbi interpretativi affrontati dalla sentenza in esame non riguardano, in senso stretto, le sorti dell’imprenditore che ha cessato tout court la propria attività, bensì quelle dell’imprenditore che la cessa attraverso un’operazione di trasformazione eterogenea [3] all’esito della quale il soggetto giuridico disponente non svolge più alcuna attività d’impresa. Nella sistematica della Legge Fallimentare, al pari di quanto poi confermato nel CCI [4], l’art. 10 stabilisce al suo 1° comma che “Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo” [5]. La previsione in parola viene generalmente valutata come una previsione antielusiva di grande rilevanza poiché, in sua assenza, l’imprenditore avrebbe buon gioco a sottrarsi dai propri debiti e, quindi, dagli effetti del fallimento, semplicemente attraverso la cessazione dell’attività di impresa [6]. Al contrario, la cessazione dell’at­tività d’impresa, vuoi dell’imprenditore individuale, che di quello collettivo [7], non cancella la responsabilità patrimoniale dell’imprenditore commerciale e, in mancanza dei disposti dell’art. 10, lo stesso sarebbe sottoposto financo sine die [8], a mente dell’art. 1, 2° comma, lett. c), al fallimento [9]. La norma fallimentare [10], invero, con grande lucidità contempera entrambi gli interessi contrapposti delle parti, prevendendo, da un lato, a favore dei creditori, una finestra temporale post cancellazione dal Registro delle imprese ai fini della dichiarazione del fallimento e, dall’altro lato, a favore [continua ..]


3. Gli effetti della trasformazione eterogenea sull’ente originario

La trasformazione [16], come è noto, dà luogo un’operazione straordinaria evolutiva [17] attraverso la quale si addiviene ad un mutamento della forma giuridica di un ente, senza che abbia luogo la sua contemporanea estinzione [18]. Gli artt. 2500-septies [19] e 2500-opties c.c., introdotti dalla riforma del diritto societario del 2003 [20], che disciplinano rispettivamente la trasformazione di società di capitali in società di persone e viceversa ha, di fatto, reso possibili le trasformazioni transtipiche [21], arrivando anche ad aprire le porte a trasformazioni eterogenee [22] delle società di capitali in enti senza scopo di lucro di cui al libro primo del Codice civile [23] e financo a figure, come, nel caso in esame, quella della comunione d’azien­da [24], dove l’autonomia patrimoniale dell’ente viene abbandonata a favore di una contitolarità di diritti attraverso la comunione a scopo di godimento di un complesso di beni, ai sensi dell’art. 2248 c.c., da parte degli ex soci della società [25]. Alla luce dell’evoluzione normativa l’istituto della trasformazione ha assunto, quindi, un ruolo centrale nello sviluppo dell’attività di impresa che permette all’ente un perfetto adattamento alle mutate esigenze organizzative [26] e condizioni economiche sia in senso evolutivo, che devolutivo [27]; proprio con riferimento a questo ultimo aspetto devolutivo, nella pratica, può accadere, ed accade di sovente, che all’e­sito della trasformazione l’ente risultante non sia soggetto alle tradizionali procedure concorsuali per ragioni dimensionali e sia sottoposto, di converso, solamente alle procedure di sovraindebitamento di cui alla L. n. 3/2012 [28]. Occorre, quindi, domandarsi se, una volta effettuata l’operazione di trasformazione, l’ente originario possa, o meno, in presenza dei presupposti soggettivi e oggettivi di legge, essere sottoposto al fallimento, in considerazione del fatto che si tratta di un’operazione che modifica il regime patrimoniale proprio della precedente struttura giuridica dell’ente. All’autonomia patrimoniale dell’ente originario viene a fare seguito la sussistenza di una pluralità di patrimoni sui quali vengono a concorrere le ragioni dei creditori anteriori alla trasformazione con le ragioni dei [continua ..]


4. La non alternativa tutela dei creditori sociali mediante opposizione alla trasformazione

Altro elemento rilevante tratteggiato nella pronuncia in esame è rappresentato dalla valutazione effettuata dalla Corte di Cassazione in merito alla reclamata alternatività della tutela posta a favore dei creditori sociali dalle norme in tema di trasformazione accordata dall’opposizione dei creditori di cui all’art. 2500-novies c.c. [31] rispetto a quella fornita dalla disciplina del fallimento e, in particolare, dall’art. 10 per la regolazione concorsuale dello stato d’insolvenza dell’impresa. Nella fattispecie la Suprema Corte si è pronunciata, come evidenziato, con riferimento ad una trasformazione eterogenea di una società a responsabilità limitata in comunione d’azienda. Ad avviso della Corte, le disposizioni dell’art. 10 L. Fall. hanno la finalità di fissare solamente un limite temporale entro cui può essere dichiarato di fallimento di un ente cessato al fine di “non estendere all’infinito gli effetti di un’at­tività di impresa non più attuale”, rilevando, al contempo, come questa situazione di cessata attualità permane pure nell’ipotesi di trasformazione, senza che questa possa essere ritenuta idonea ad escludere il fallimento dell’ente oggetto della trasformazione. La tesi difensiva riteneva che lo strumento dell’opposizione dei creditori, ai sensi dell’art. 2500-novies c.c. fosse di per sé idoneo ed esaustivo a tutela del ceto creditorio e, conseguentemente, preclusivo della possibilità per i creditori di proporre dopo la trasformazione istanza di fallimento nei confronti dell’ente trasformato. Di diverso avviso risultano essere i Supremi giudici, i quali giungono ad affermare che l’istituto dell’opposizione dei creditori costituisce un meccanismo di tutela aggiuntivo e non sostitutivo rispetto a quello dell’opposizione dei creditori. Del pari, viene affermato che la mancata proposizione dell’opposizione, non può essere interpretata in senso abdicativo rispetto al potere dei creditori di formulare istanza di fallimento, ovvero domanda di insinuazione al passivo. La Corte evidenzia correttamente che l’affermata alternatività dei rimedi posti a disposizione del ceto creditorio comporterebbe per i creditori anteriori alla trasformazione una tutela talmente minore tanto da potere assurgere a violazione del precetto [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

Le conclusioni cui la Corte giunge, in continuità con il proprio precedente arresto, appaiono assolutamente condivisibili, seppure una maggiore chiarezza del testo della Legge Fallimentare, anche a seguito delle modifiche apportare all’art. 10, avreb­be permesso una più chiara lettura e conseguente applicazione della norma, anche a fini deflattivi del contenzioso. Occorre, quindi, domandarsi in sede di conclusioni se il legislatore del CCI abbia fatto tesoro dell’insegnamento della giurisprudenza per ridisegnare i disposti oggetto della sentenza all’interno del novellato art. 33, il quale, al 1° comma, dispone espressamente che la liquidazione giudiziale può essere aperta “entro un anno dalla cessazione dell’attività del debitore, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo” [36]. In vero, pare che il legislatore si sia soffermato solamente su di una più evidente sottolineatura del calcolo “temporale” anche attraverso l’introduzione di una presunzione, che dovrebbe semplificare la valutazione della decorrenza del termine annuale. La norma prevede, infatti, che per gli imprenditori [37] la cessazione dell’attivi­tà coincide con la cancellazione dal Registro delle imprese e, se non iscritti, dal mo­mento in cui i terzi hanno conoscenza della cessazione stessa [38]. In merito ai rapporti tra trasformazione e apertura della procedura di liquidazione pare potersi affermare che l’assetto normativo sia in linea con la giurisprudenza in commento, tenendo la norma in considerazione sia gli aspetti soggetti che oggettivi della continuazione dell’attività di impresa [39] e, permanendo l’assenza di una norma che sancisca espressamente l’alternatività delle tutele dei creditori, vale a dire, opposizione dei creditori e istanza di fallimento ovvero liquidazione giudiziale, non paiono sussistere dubbi sulla possibilità che l’orientamento espresso dalla Suprema Corte possa trovare applicazione anche dopo l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa dell’Insolvenza [40]. Con particolare riferimento, quindi, ad una trasformazione eterogenea con le medesime caratteristiche di quella oggetto della pronuncia in commento, vale a dire, da società di capitali in comunione d’azienda, [continua ..]


NOTE