Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Il fallimento del coniuge e la regolamentazione assunta in sede di separazione consensuale (di Rita Lombardi, Professore aggregato di Diritto processuale della famiglianell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”)


L’ A., sulla scorta di una recente pronuncia della Corte di Cassazione, riflette sulle conseguenze del fallimento del coniuge debitore rispetto al trasferimento all’altro coniuge dell’immobi­le/casa familiare, immobile altresì assegnato al coniuge beneficiario del trasferimento, in quanto convivente con la prole minore, nell’ambito di una pregressa separazione consensuale. L’A. mette in evidenza che è inopponibile al fallimento il trasferimento dell’immobile/casa familiare e non anche, almeno per un novennio, l’assegnazione della casa familiare. Inoltre, rilevata una disparità di trattamento tra la prole del coniuge insolvente che si separa e la prole del coniuge insolvente che non si separa – siccome il meccanismo di conservazione a vantaggio dei figli dell’habitat familiare opera soltanto nel primo caso – l’A., indaga sui possibili rimedi da accordare al curatore fallimentare per “neutralizzare” il vincolo del novennio sull’immobile assegnato al coniuge in bonis, e specificamente sulle possibilità di fruire, ove la separazione tra i coniugi sia “fittizia”, delle azioni revocatorie, ordinaria e fallimentare, dell’azione di simulazione e dell’opposizione di terzo.

The bankruptcy of the spouse and the regulation reached by consensual separation

The A., on the basis of a recent judgment of the Cassation, reflects on the consequences of the bankruptcy of the debtor spouse with respect to the transfer to the other spouse of the property/family home, property also assigned to the spouse beneficiary of the transfer, as cohabiting with the minor children, in the context of a previous separation by mutual consent. The A. pointed out that the transfer of the property/family home is unenforceable against bankruptcy and not also, at least for a nine-year period, the assignment of the family home. Furthermore, having noted a difference in treatment between the sons of the insolvent spouse who separates and the sons of the insolvent spouse who does not separate – because the mechanism of preservation of the family habitat for the benefit of the children only operates in the first case – the A. investigates the possible remedies to be granted to the children of the insolvent spouse who does not separate, investigates the possible remedies to be granted to the trustee in bankruptcy in order to “neutralize” the nine-year lien on the property assigned to the spouse in bonis, and specifically on the possibilities of making use, where the separation between the spouses is “fictitious”, of the revocation actions, ordinary and bankruptcy, the action of simulation and third party opposition.

Keywords: bankruptcy, transfer of family home, assignment of family home, action for revocation, action for simulation.

(Artt. 158, 337-sexies, 2901 c.c.; art. 711 c.p.c.; art. 6, L. n. 898/1970; artt. 44, 64, 67, 69, L. Fall.; artt. 6, 12, L. n. 162/2014) In tema di fallimento, una volta ritenuto improduttivo di effetti nei confronti della procedura ex art. 44 L. Fall. l’atto traslativo dell’immobile già oggetto di assegnazione come casa familiare in favore del coniuge o del convivente affidatario di figli minori (o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti), la declaratoria di inefficacia non travolge il diritto personale di godimento sui generis sorto in capo all’assegnatario, che, in quanto contenuto in un provvedimento di data certa, è suscettibile d’essere opposto, ancorché non trascritto, anche al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione medesima, ovvero, qualora il titolo sia stato in precedenza trascritto, anche oltre i nove anni. (Omissis). 1. Le censure formulate dalla S., ricorrente principale, anche in nome e per conto del figlio minorenne, prospettano, rispettivamente: I) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., artt. 42, 44 e 45”. Si assume che l’errore in cui la Corte distrettuale sarebbe incorsa “... non è quello di ritenere tamquam non esset il trasferimento avvenuto dopo la dichiarazione di fallimento, ma quello di ritenere che residui all’inefficacia una qualche efficienza per la massa di quello stesso atto (il trasferimento di cui sopra) che ad esso fallimento è per legge inopponibile e per essa massa, appunto, tamquam non esset”. La contraddizione nell’interpretazione della norma (e l’errore di fondo che ne è derivato) ha viziato l’intero argomentare della Corte, posto che, “se si afferma che, L. Fall., ex art. 44, l’atto di trasferimento dell’immobile è inopponibile al fallimento (che addirittura chiede che questa inopponibilità sia dichiarata anche dal Giudice), non si comprende come quello stesso atto, tamquam non esset per il fallimento che ne è ex lege insensibile, possa poi essere invocato per affermare il venir meno dei patti “obbligatori” preesistenti alla sentenza per essere stati definiti proprio in virtù di quello stesso atto del quale si chiede (ed è anche dichiarata) la declaratoria di inefficacia L. Fall., ex art. 44. Se si afferma, in conformità della legge (L. Fall., art. 44), che gli atti che trasferiscono un bene dopo la dichiarazione di fallimento sono tamquam non esset per la procedura concorsuale, si afferma, di necessità, che tutto l’atto non modifica e non può modificare, per la procedura (per l’incapacità, sia pur relativa, del fallito di modificarla), la situazione giuridica fotografata al momento della sentenza di fallimento. Rispetto ai creditori concorsuali, quindi, proprio per la disposizione della L. Fall., [continua..]
SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Il caso - 3. La pronuncia della Suprema Corte - 4. Il contenuto dell’accordo di separazione: cenni - 5. Gli effetti del fallimento: a) rispetto ai trasferimenti di beni immobili - 5.1. (Segue): b) rispetto all’assegnazione della casa coniugale - 6. Brevi riflessioni sui rimedi contro gli atti che pregiudicano i creditori - NOTE


1. Introduzione

La pronuncia della Corte di Cassazione in commento tocca il tema del raccordo tra la disciplina del fallimento (R.D. n. 267/1942, significativamente innovato dal D.Lgs. n. 5/2006 e dal D.Lgs. n. 169/2007) e la disciplina della separazione personale dei coniugi (artt. 150 ss. c.c. e 706 ss. c.p.c.). Specificamente tratta delle interferenze tra l’accordo di separazione consensuale tra coniugi omologato dal tribunale ed il successivo fallimento di uno di essi, ove nell’accordo di separazione sia prevista l’assegnazione della casa familiare al coniuge convivente con la prole minore ed altresì sia previsto un patto, avente portata meramente obbligatoria, con cui si dispone la “cessione” di tale immobile al medesimo coniuge [1]. La pronuncia è di particolare rilievo perché fa emergere una distinzione tra le due pattuizioni rispetto alla possibile opponibilità al fallimento del coniuge “cedente” e non assegnatario. Un profilo, questo, che sollecita più di una riflessione, anche considerato che dal 2014 è possibile conseguire la separazione, il divorzio e le modifiche delle relative pattuizioni attraverso la negoziazione assistita [2].


2. Il caso

La vicenda che ha occasionato l’ordinanza in commento è, in breve, la seguente. All’atto della separazione consensuale due coniugi convengono che la casa familiare venga assegnata alla moglie, con cui convive il figlio minorenne, con obbligo di trasferirle anche la piena proprietà entro il termine di due anni dall’omologa­zione dell’accordo di separazione. Omologato l’accordo assunto all’udienza presidenziale (del 23 maggio 2011), “appena divenuto disponibile il relativo provvedimento”, i coniugi non provvedono alla relativa trascrizione bensì procedono subito (il 30 giugno 2011) al pattuito trasferimento dinanzi al notaio, atto trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari dopo cinque giorni (il 5 luglio 2011). Il giorno successivo al rogito notarile (il 1° luglio 2011) è annotata nel registro delle imprese la sentenza di fallimento del coniuge cedente. La curatela del fallimento agisce allora nei confronti dei coniugi separati per conseguire, tra l’altro, la declaratoria d’inefficacia ex art. 44 L. Fall. dell’atto notarile di cessione dell’immo­bile dal marito alla moglie, in quanto trascritto successivamente all’annotazione della sentenza di fallimento del marito, con condanna della moglie a restituire al fallimento l’immobile pur assegnatole come casa coniugale. Il tribunale adito accoglie la domanda e la Corte d’Appello conferma tale decisione ritenendo che l’accordo di mantenimento tra i coniugi ha natura meramente obbligatoria e che, sebbene sia munito di data certa, non è opponibile alla massa dei creditori (artt. 45 L. Fall. e 2645 c.c.). Corte d’Appello, inoltre, ritiene che l’acquisi­ta proprietà della casa coniugale da parte della moglie inibisce la reviviscenza del provvedimento di assegnazione della casa familiare teso a paralizzare per un noven­nio il rilascio di essa in favore del fallimento.


3. La pronuncia della Suprema Corte

Avverso la pronuncia di secondo grado propone ricorso per cassazione la moglie. Deduce che la Corte d’Appello ha dato un’interpretazione contraddittoria del­l’art. 44 L. Fall. in quanto, per un verso, ha ritenuto tamquam non esset per il fallimento l’atto di trasferimento dell’immobile/casa familiare effettuato in adempimento del relativo obbligo assunto in sede di separazione consensuale e, per altro verso, ha raccordato al medesimo trasferimento “una qualche efficacia per la massa”, siccome ne ha fatto conseguire il venir meno dei patti preesistenti alla sentenza di fallimento. La ricorrente evidenzia, inoltre, che detiene la casa familiare in virtù di due distinti titoli: ne ha il possesso, a motivo dell’atto di trasferimento, e ne è assegnataria, in quanto convivente con il figlio minore. Quindi rimarca che l’assegnazione trova titolo “direttamente nella legge ed è sempre opponibile ai terzi perché crea un vincolo di destinazione sul bene collegato all’interesse superiore della prole a conservare il proprio ‘habitat’ ” e, pertanto, è indipendente dal trasferimento della proprietà del medesimo immobile. La ricorrente evidenzia, ancora, che il curatore non si è avvalso della facoltà di sciogliersi da tale assegnazione e neppure ha offerto alcuna indennità, per cui la Corte d’Appello non poteva ordinare il rilascio dell’immobile a cagione dell’inopponibi­lità al fallimento del trasferimento della proprietà di esso. Anche il marito propone impugnazione dolendosi della mancata considerazione della posizione del figlio minore. La Suprema Corte rileva che: la pattuizione assunta in sede di separazione consensuale con cui il marito si è impegnato a trasferire alla moglie l’immobile/casa fa­miliare, avente natura obbligatoria, non è stata trascritta e non è stata impugnata dal fallimento; il trasferimento dell’immobile/casa familiare operato in virtù di detta pat­tuizione produce effetti tra le parti ma non è opponibile ai creditori del coniuge fallito in quanto successivo al fallimento (ex art. 44 L. Fall.); non risulta controversa tra le parti l’assegnazione dell’immobile/casa familiare alla ricorrente in quanto luogo in cui dimora il figlio minorenne. Sulla scorta di tali premesse la Corte, andando [continua ..]


4. Il contenuto dell’accordo di separazione: cenni

Per riflettere sulla conclusione dei giudici di legittimità occorre fare cenno ai con­tenuti dell’accordo di separazione personale tra i coniugi optanti per la via consensuale di cui agli artt. 158 c.c. e 711 c.p.c. Propriamente è da considerare che i coniugi all’atto della separazione predispon­gono un accordo, da sottoporre all’omologazione del tribunale, in cui, manifestata la determinazione a separarsi, regolano i loro futuri rapporti, personali e patrimoniali. In presenza di figli, poi, regolano anche i rapporti con costoro, tenuto conto del loro interesse (art. 158 c.c.). Tanto è disposto dall’art. 711, 3° comma, c.p.c. a mente del quale oggetto dell’accordo di separazione tra i coniugi sono le condizioni “riguardanti i coniugi stessi e la prole”. All’ampiezza e genericità di tale formula corrisponde la prassi di inserire nel­l’accordo di separazione tipi diversi di clausole, quelle derivanti propriamente dallo status di coniuge e quelle occasionate dalla separazione, siccome, ha affermato la Corte di Cassazione, “è diritto di ciascuno dei coniugi condizionare il proprio consenso alla separazione ad un soddisfacente assetto globale dei propri interessi economici, sempre che con tale composizione non si realizzi una lesione di diritti indisponibili” [3]. Così la dottrina e la giurisprudenza si sono adoperate – anche al fine di circoscrivere il potere di controllo del tribunale in sede di omologazione – per individuare un contenuto necessario ed un contenuto eventuale dell’accordo di separazione [4]. Si tratta di un tema complesso su cui non vi è uniformità di vedute e che in questa sede è possibile toccare soltanto per due aspetti. In primo luogo è da considerare che la presenza di figli minorenni, maggiorenni non indipendenti economicamente o portatori di handicap, impone ai coniugi di regolare il loro affidamento e mantenimento osservando le previsioni di cui agli artt. 337-ter ss. c.c. In tale ambito, e quindi tra i contenuti necessari dell’accordo di separazione, si colloca anche la previsione di cui all’art. 337-sexies c.c. – rubricato “Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” – a mente del quale “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto [continua ..]


5. Gli effetti del fallimento: a) rispetto ai trasferimenti di beni immobili

Per riflettere sulla conclusione dei giudici di legittimità è opportuno soffermarsi, poi, sul momento in cui la sentenza di fallimento produce i suoi effetti e sulle interferenze con gli atti traslativi riguardanti i beni immobili del fallito. Orbene, ai sensi dell’art. 16, ult. comma, L. Fall. la sentenza con cui il tribunale dichiara il fallimento “produce i suoi effetti alla data della pubblicazione”. Dunque all’atto del deposito in cancelleria tale sentenza è immediatamente esecutiva tra le parti – ossia tra creditore ricorrente/creditori ricorrenti ed il debitore/imprenditore – e da detta data il fallito è privato del potere di disporre ed amministrare i propri beni [19]. Sennonché il medesimo comma dispone che gli effetti della sentenza nei riguardi dei terzi (quindi anche dei creditori non ricorrenti) si producono dalla data di iscrizione di essa nel registro delle imprese, da effettuarsi ai sensi dell’art. 17, 2° comma, L. Fall. Invero la formulazione vigente dell’art. 16 cit. è frutto della modifica operata con il D.Lgs. n. 169/2007 [20]. Il legislatore della riforma della legge fallimentare, al precipuo scopo di tutelare i terzi in buona fede venuti in contatto con l’imprenditore fallito nel periodo che intercorre tra la pubblicazione della dichiarazione di fallimento ed il momento in cui se ne dà conoscenza legale, ha posticipato, rispetto al passato, gli effetti della sentenza verso i terzi, ancorandoli al momento della sua iscrizione nel registro delle imprese; tanto in linea con la previsione di cui all’art. 2193, 2° comma, c.c. In tal modo la riforma ha determinato uno stacco temporale tra il momento in cui il fallito perde ogni potere dispositivo e di amministrazione del proprio patrimonio ed il momento di efficacia ed opponibilità di tale stato ai terzi, individuando due distinti momenti di efficacia della dichiarazione di fallimento – data della pubblicazione nei confronti delle parti e data di iscrizione nel registro delle imprese nei confronti dei terzi – correlati al riscontro dell’assolvimento di due forme di pubblicità aventi diversa natura, ed assumendo il registro delle imprese a mezzo di pubblicità della sentenza. Pertanto ai fini dell’opponibilità di un atto di trasferimento di un bene immobile al fallimento del venditore/cedente non rileva la data [continua ..]


5.1. (Segue): b) rispetto all’assegnazione della casa coniugale

Il discorso diviene più articolato allorché si passa alla verifica dell’opponibilità al fallimento dell’assegnazione della casa familiare al coniuge con cui convive il figlio minore (art. 337-sexies c.c.). Ciò sia perché l’assegnazione della casa familiare ha contorni assai peculiari [26], sia perché quando si tratta della prole minore o non autosufficiente si esalta la vexata quaestio dei rapporti tra l’accordo assunto dai coniugi (l’atto da omologarsi) ed il controllo del giudice (il decreto di omologazione) [27]. E pur tuttavia taluni nodi sono stati sciolti in sede giurisprudenziale. In primo luogo si è chiarito che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale nell’ambito del procedimento di separazione personale non è idoneo a costituire un diritto reale di uso o di abitazione a favore dell’assegnatario ma soltanto un diritto di natura personale [28]. In secondo luogo si è chiarito che, in ragione del rinvio che l’art. 6, 6° comma, L. div. opera all’art. 1599 c.c., da applicare anche alla separazione tra i coniugi, il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole minore, avendo per definizione data certa, se non trascritto, è opponibile al terzo acquirente dell’immobile in data successiva, per il periodo di nove anni dalla data del provvedimento di assegnazione ed oltre nove anni se precedentemente trascritto [29]; tanto anche dopo l’introduzione dell’art. 155-quater c.c. e, dipoi, dell’art. 337 sexies c.c. [30], norme queste che, sebbene prive del richiamo alla disciplina sulle locazioni [31], non hanno inciso l’art. 6, 6° comma, L. n. 898/1970. I giudici di legittimità intervenendo sul conflitto tra il diritto del terzo acquirente dell’immobile ed il diritto del coniuge ad avere la disponibilità del medesimo bene in forza del diritto personale di godimento derivante dal provvedimento di assegnazione hanno precisato che esso va risolto in base all’anteriorità, rispetto all’atto di alienazione, della data o della trascrizione del provvedimento di assegnazione del medesimo diritto di godimento [32]. Così in sede di merito si è specificamente affermato che l’assegnazione della casa familiare, avente data certa anteriore al fallimento, è [continua ..]


6. Brevi riflessioni sui rimedi contro gli atti che pregiudicano i creditori

Inevitabilmente l’interprete scorge una certa qual lacuna in materia di atti compiuti dal coniuge fallito in pregiudizio dei creditori [39], qualora si soffermi a riflettere sugli effetti del fallimento del coniuge in ordine all’assegnazione della casa familiare effettuata in sede di separazione consensuale. Propriamente rispetto all’assegnazione della casa familiare al coniuge in bonis non risulta sia prefigurato un qualsivoglia strumento idoneo a “neutralizzare” un’in­tesa tra i coniugi antecedente al fallimento e volta ad ostacolare la pronta vendita dell’immobile [40]. Cosicché, sebbene il legislatore abbia presunto in via relativa la conoscenza dello stato d’insolvenza da parte del coniuge dell’imprenditore e postulato la “naturale” attitudine dei coniugi ad accordarsi per sottrarre beni alla garanzia patrimoniale in danno dei creditori [41] – siccome ha dettato all’art. 69 L. Fall. una disciplina specifica e più rigorosa riguardo agli atti di disposizione compiuti tra coniugi [42] – nondimeno nel circoscritto menzionato ambito il fallito ed il coniuge non appaiono “ostacolati” in ordine alla possibilità di alterazione dell’integrità del patrimonio riservato al soddisfacimento dei crediti (art. 2740 c.c.). La separazione consensuale tra coniugi si presta a costituire mezzo per favorire accordi coniugali lesivi dei diritti dei creditori e la tutela del “superiore” interesse della prole minore o bisognosa di protezione si presta a rischi di strumentalizzazione finalizzati alla compressione dell’opposto interesse del ceto creditorio. Per giunta, la possibilità di fruizione, per la separazione consensuale, di soluzioni degiurisdizionalizzate ed accelerate, identificantesi a partire dal 2014 con la negoziazione assistita dinanzi agli avvocati [43], aggrava il pericolo di usi distorti. Invero, quest’ulteriore modalità procedimentale consente di superare le difficoltà interpretative correlate al ruolo dell’omologazione del giudice [44] (artt. 158 c.c. e 711 c.p.c.), siccome in sede di negoziazione assistita ogni controllo è rimesso tout court al pubblico ministero, chiamato ad esprimere il proprio parere con un nulla osta o con una autorizzazione (rispettivamente, a seconda dell’assenza o della presenza di figli minori o [continua ..]


NOTE