Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Le principali novità in materia di revocatoria fallimentare nel Codice della Crisi e dell´insolvenza (di Concetto Costa, Professore ordinario di Diritto commerciale nell’Università di Catania)


Lo scritto esamina le modifiche normative relative all’azione revocatoria fallimentare che entreranno in vigore con il Codice della Crisi e dell’Insolvenza.

Regulatory changes in bankruprcy revocation action in the new “Crisis and insolvency code”

The work examines the regulatory changes in bankruptcy revocation action resulting from the forthcoming entry into force of the new “Crisis and insolvency code”.

Keywords: bankruptcy revocation action, “Crisis and insolvency code”.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. La decorrenza del “periodo sospetto” - 3. La revocatoria nella consecuzione tra procedure: l’individuazione della data di decorso a ritroso dei termini per la revocatoria - 4. La revocatoria nella consecuzione tra procedure (segue): la revocabilità degli atti posti in essere durante e nella fase dell’esecuzione di stru­menti di regolazione della crisi poi sfociati in liquidazione giudiziale - 5. La revocatoria degli atti infragruppo - NOTE


1. Introduzione

L’azione revocatoria fallimentare costituisce oggi uno degli istituti cardine della procedura fallimentare, ed altrettanto lo sarà nella futura liquidazione giudiziale disciplinata nel nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza. Il notevole ridimensionamento della portata della revocatoria effettuato dalla riforma del 2005/2006, che aveva posto fine ad una serie di eccessi applicativi cui aveva dato luogo la disciplina precedente, non aveva affatto generato, come dimostra la prassi giudiziaria degli ultimi anni, una “morte” della revocatoria, come qualcuno aveva affermato dopo la riforma, ma una sua riconduzione allo spirito originario di strumento di reazione a comportamenti dannosi per la massa, o comunque in violazione della par condicio creditorum, posti in essere prima della dichiarazione di fallimento. D’altra parte l’azione revocatoria, oltre che aver costituito da sempre terreno fertile per studi teorici e dibattiti dottrinali [1], basti qui ricordare il tradizionale dibattito tra i sostenitori della “teoria indennitaria” e quelli della “teoria antiindennitaria”, ri­veste un rilievo pratico sul piano professionale e giudiziario che ne richiede una conoscenza approfondita da parte di tutti gli operatori del diritto, giudici e professionisti, sia che svolgano questi ultimi le funzioni di curatore, di legale della curatela o di consulente tecnico, sia che assistano controparti contrattuali di imprese fallite o potenzialmente fallibili. Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza conserva l’impianto generale della revocatoria fallimentare contenuto nella Legge Fallimentare, salva ovviamente una nuova collocazione anche numerica (artt. 163-171 CCI). Rimane quindi la classica tripartizione tra atti gratuiti e pagamenti anticipati [2], atti anormali ed atti normali, nonché la previsione di esenzioni e di alcune discipline particolari. Ciò è sicuramente riconducibile ad una scelta della Legge delega, che non aveva previsto sostanziali modifiche alla disciplina della revocatoria, ma solo ritocchi al cosiddetto “periodo sospetto” (L. n. 155/2017, art. 7, 4° comma, lett. b). Credo che tale scelta sia derivata non solo da una maggiore attenzione del legislatore della riforma per gli strumenti di risoluzione anticipata della crisi rispetto a quelli della liquidazione giudiziale (che risultano sovente essere una mera riproduzione di [continua ..]


2. La decorrenza del “periodo sospetto”

Una modifica particolarmente importante, peraltro prevista nella Legge delega, è quella della anticipazione della decorrenza del “periodo sospetto”. È a tutti noto che la riforma del 2005/2006, da un canto riducendo la durata del “periodo sospetto”, dall’altro allungando i tempi della istruttoria prefallimentare, aveva comportato un forte restringimento temporale dell’operare della revocatoria, legato alla data di dichiarazione di fallimento. Il CCI ha voluto invece disancorare il termine da cui si calcola a ritroso il “periodo sospetto” dalla apertura della liquidazione giudiziale, le­gandolo alla presentazione dell’istanza di fallimento, con ciò eliminando ogni preoc­cupazione circa la possibile durata della istruttoria prefallimentare. Tale soluzione è stata adottata per tutti i tipi di revocatoria fallimentare, con una formula pressocché analoga, salve le differenze derivanti dai caratteri peculiari di ogni tipo di revocatoria, che ritroviamo nell’art. 163 per gli atti a titolo gratuito, nell’art. 164 per i pagamenti anticipati, nell’art. 166 per gli atti anormali e gli atti normali: “sono privi di effetto rispetto ai creditori, se compiuti dal debitore dopo il deposito della domanda cui è seguita l’apertura della liquidazione giudiziale o nei … anni anteriori …”, formula che comprende anche gli atti posti in essere tra il deposito della domanda e l’effettiva apertura della procedura. Peraltro, se tale formula risolve un importante problema, ne apre altri, e pone numerosi dubbi, che erano stati già avanzati in passato quando era stata prospettata tale possibile soluzione in occasione di precedenti riforme [7]. Innanzi tutto viene introdotto un elemento di forte incertezza circa i tempi di operatività dell’azione. La diversa durata dell’istruttoria prefallimentare tra diversi tribunali, o per procedure diverse nell’ambito dello stesso tribunale, potrebbe dilatare i tempi, tenuto conto che la revocatoria colpisce anche gli atti posti in essere in tale periodo. Anzi tale previsione potrebbe avere un effetto negativo sulla durata delle istruttorie prefallimentari e la loro gestione da parte dei tribunali. Ulteriore, e proba­bilmente più grave, elemento di incertezza, specie per i terzi, è l’assenza di una pub­blicità [continua ..]


3. La revocatoria nella consecuzione tra procedure: l’individuazione della data di decorso a ritroso dei termini per la revocatoria

Sono noti i complessi problemi sorti dopo la riforma del 2005/2006 in caso di consecuzione tra procedure (in particolare concordato preventivo e fallimento, ed oggi liquidazione giudiziale), con particolare riferimento da un canto alla individuazione della data di decorso a ritroso dei termini per la revocatoria, dall’altro alla revocabilità degli atti posti in essere durante e nella fase dell’esecuzione della procedura di concordato preventivo poi sfociata in fallimento. Iniziando dal primo problema, quello della individuazione della data di decorso a ritroso dei termini per la revocatoria, va ricordato che, mentre anteriormente alla riforma del 2005/2006 la giurisprudenza era ferma nella tesi, peraltro condivisa anche da buona parte della dottrina, della natura unitaria delle procedure in consecuzione, e quindi riteneva che il termine decorresse dalla data di accesso alla prima delle due procedure, successivamente numerosi dubbi erano sorti in relazione a due mutate previsioni normative: la prima, che prevedeva l’accesso alla procedura di concordato preventivo anche in situazioni di mera “crisi” e non necessariamente di “insolvenza”, differenziando così i presupposti delle due procedure; la seconda, che abolendo il fallimento d’ufficio consentiva che tra la revoca, o la mancata approvazione, o la mancata omologazione, o ancora la risoluzione del concordato, ed il successivo fallimento, potesse decorrere un lasso di tempo, anche lungo, e tale da far venir meno la costruzione unitaria delle due procedure. Al fine di fare chiarezza è intervenuto successivamente il legislatore che, con il D.L. n. 83/2012, ha introdotto un 2° comma nell’art. 69-bis L. Fall., sostanzialmente riproponendo in sede normativa quello che era stato il vecchio orientamento della giurisprudenza, ma senza così fugare affatto i dubbi prospettati, anzi aggravandoli: “Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini … decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”. Dal dato testuale sembrerebbe che in ogni caso le procedure andrebbero considerate unitarie, salvo forse potersi appigliare alla parola “segua” per poter escludere l’applicazione della norma quando non vi sia consecuzione temporale tra le due procedure (circostanza che viene frequentemente evitata dai [continua ..]


4. La revocatoria nella consecuzione tra procedure (segue): la revocabilità degli atti posti in essere durante e nella fase dell’esecuzione di stru­menti di regolazione della crisi poi sfociati in liquidazione giudiziale

L’art. 166, 3° comma, lett. e), CCI prevede l’esenzione dall’azione revocatoria fallimentare (ed anche ordinaria) per gli atti i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo e dell’accordo di ristrutturazione sfociati in fallimento, nonché per quelli posti in essere durante la procedura, quindi dal deposito della domanda sino all’omologa. La norma, che riprende modificandola significativamente la lett. e) del 3° comma dell’art. 67 L. Fall., tende quindi a risolvere due diversi problemi: quello della revocabilità degli atti posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato poi sfociato in liquidazione giudiziale, e quello della revocabilità degli atti posti in essere durante la procedura (quindi tra il deposito della domanda di accesso alla procedura e l’omologa di essa) di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato poi sfociato in liquidazione giudiziale. Ovviamente la precisazione “omologato” si riferisce sia al concordato che all’accordo. La nuova norma introduce delle precisazioni di rilievo, che peraltro raccolgono l’esito di un dibattito svoltosi in vigore della Legge Fallimentare. Per quanto riguarda la revocabilità degli atti posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione omologato poi sfociato in liquidazione giudiziale, l’esenzione da revocatoria opera soltanto per gli atti, i pagamenti e le garanzie “in essi indicati”, quindi per quelli che sono stati sottoposti, vagliati ed approvati dal tribunale in sede di omologa, ed è pertanto l’omologa a dare ad essi il suggello della non revocabilità. Fermo restando, ovviamente, che gli atti successivamente posti in essere devono essere conformi a quelli indicati, e che tale conformità andrà eventualmente vagliata dal tribunale in sede di azione revocatoria eventualmente promossa dal curatore. Per quanto riguarda invece la revocabilità degli atti posti in essere durante la procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione omologato poi sfociato in liquidazione giudiziale, l’esenzione da revocatoria opera soltanto per gli atti, i pagamenti e le garanzie “legalmente posti in essere dal debitore”. Tale espressione fa ovviamente riferimento [continua ..]


5. La revocatoria degli atti infragruppo

Assolutamente nuovo è invece l’art. 290 CCI, rubricato “Azioni di inefficacia fra imprese del gruppo”, che così si esprime: 1. Nei confronti delle imprese appartenenti al medesimo gruppo possono essere promosse dal curatore, sia nel caso di una procedura unitaria, sia nel caso di apertura di una pluralità di procedure, azioni dirette a conseguire la inefficacia di atti e contratti posti in essere nei cinque anni antecedenti il deposito dell’istanza di liquidazione giudiziale, che abbiano avuto l’effetto di spostare risorse a favore di un’al­tra impresa del gruppo con pregiudizio dei creditori, fatto salvo il disposto dell’art. 2497, primo comma, del codice civile. 2. Spetta alla società beneficiaria provare di non essere stata a conoscenza del carattere pregiudizievole dell’atto o del contratto. 3. Il curatore della procedura di liquidazione giudiziale aperta nei confronti di una società appartenente ad un gruppo può esercitare, nei confronti delle altre società del gruppo, l’azione revocatoria prevista dall’art. 166 degli atti compiuti dopo il deposito della domanda di apertura della liquidazione giudiziale o, nei casi di cui all’articolo 166, comma 1, lettere a) e b), nei due anni anteriori al depositto della domanda o nell’anno anteriore, nei casi di cui all’art. 166, comma 1, lettere c) e d). Intenzione manifesta del legislatore, peraltro ribadita nella relazione illustrativa al CCI, è stata quella di prevedere in materia di liquidazione giudiziale di società ap­partenenti allo stesso gruppo, e per gli atti infragruppo posti in essere prima della procedura, una “revocatoria aggravata” simile a quella prevista dall’art. 91 del D.Lgs. n. 270/1999 per l’amministrazione straordinaria dei gruppi insolventi [14], al fine di sanzionare le operazioni infragruppo poste in essere per modificare la condizione patrimoniale di alcune imprese del gruppo a danno di altre, o che comunque abbiano condotto a questo risultato [15]. La norma è peraltro molto più articolata e complessa di quella prevista nel suddetto art. 91, e fa sorgere numerosi problemi interpretativi [16]. Innanzi tutto la norma non è dettata specificamente per l’azione revocatoria, ma si riferisce alle “azioni dirette a conseguire la inefficacia di atti e contratti”, con [continua ..]


NOTE