Il Diritto Fallimentare e delle Società CommercialiISSN 0391-5239 / EISSN 2704-8055
G. Giappichelli Editore

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Fallimentarizzazione del sequestro di prevenzione e liquidazione di società nel Codice Antimafia (di Enrico Locascio Aliberti, Ricercatore di Diritto commerciale nell’Università di Napoli “Federico II”)


Il Codice Antimafia disciplina le ipotesi del fallimento sia conseguente sia precedente un sequestro di prevenzione, non regolando, invece, lo scioglimento di un’impresa societaria soggetta a misure di prevenzione che non presenta i requisiti per l’apertura del fallimento. In quest’ambito, ci si propone di esaminare la possibilità della estinzione senza liquidazione di una società priva di attivo e non fallibile.

Bankrupting the prevention seizure and liquidation of companies in the Codice Antimafia

The Italian Codice Antimafia regulates the cases of bankruptcy both following and preceding a seizure of prevention, not regulating, however, the dissolution of a company which is subject to measures of prevention but does not have the requirements for the bankruptcy. In this context, the paper aims to examine the possibility of extinction without liquidation of a company that is devoid of assets and not bankruptible.

Keywords: preventive seizure, relationship between preventive seizure and bankruptcy, closure of bankruptcy, dissolution of the company, inderogability of liquidation.

SOMMARIO:

1. Il problema dello scioglimento di società prive di attivo e non fallibili nel Codice Antimafia - 2. Il sequestro di prevenzione di quote sociali nelle società di persone. Fase di liquidazione e procedura formale di liquidazione - 3. Sequestro penale ed esercizio dei diritti sociali nelle società di capitali. La questione della inderogabilità della procedura di liquidazione - 4. I fenomeni di cancellazione senza liquidazione nelle società di capitali - 5. Cessazione delle misure di prevenzione vs chiusura del fallimento: prospettive de iure condendo - NOTE


1. Il problema dello scioglimento di società prive di attivo e non fallibili nel Codice Antimafia

Negli ultimi anni il numero delle misure di prevenzione aventi ad oggetto imprese, specie organizzate in forma societaria, è cresciuto in maniera esponenziale [1]; tant’è che vi è chi parla della crisi di legalità alla stregua di «nuova categoria di crisi dell’impresa» [2]: circostanza invero purtroppo non nuova, sol che si consideri che in ambiti specifici dell’ordinamento giuridico le irregolarità gestionali sono da lungo tempo considerate motivi di assunzione di provvedimenti di soluzione della crisi (come sono certamente l’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa delle banche, degli intermediari finanziari e delle compagnie assicurative). I motivi potrebbero essere i più disparati [3], ma indubbiamente quello principale è costituito dall’ormai noto intreccio tra criminalità e attività produttive, per cui le organizzazioni malavitose sovente svolgono attività di impresa formalmente lecita, al solo scopo di realizzare un disegno criminoso quale può essere il riciclaggio di denaro di provenienza illecita. L’attenzione per questa problematica è testimoniata dalla riforma del 2017 – la L. 17 ottobre 2017, n. 161 – con cui il legislatore ha profondamente novellato il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “Codice Antimafia”), mantenendo però intatto, anzi implementando, l’impianto originario che dedicava una disciplina specifica ai casi in cui i beni soggetti alla misura preventiva fossero di natura “aziendale”, deputati cioè all’esercizio di un’attività di impresa [4]. A tal riguardo, la novella ha dedicato ampio spazio alla tutela della continuità aziendale [5] “meritevole” [6], che viene incoraggiata da molteplici novità normative introdotte [7]. Sicché, oggi più di ieri, il sequestro di prevenzione appare orientato a sottrarre le imprese sane «il più rapidamente possibile, all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti» [8]. Purtuttavia – è persino superfluo affermarlo –, accanto ad imprese societarie sostanzialmente “sane”, capaci cioè di rimanere in vita indipendentemente dalla (e successivamente alla) cautela penale, ve [continua ..]


2. Il sequestro di prevenzione di quote sociali nelle società di persone. Fase di liquidazione e procedura formale di liquidazione

La problematica che ci si propone di affrontare va collocata sul piano del diritto societario, pur dando conto della peculiare disciplina dettata dal Codice Antimafia. Lo scioglimento di una società si realizza attraverso un procedimento a formazione progressiva formato notoriamente da tre fasi idealmente distinte, consistenti nel verificarsi della causa di scioglimento, nel procedimento di liquidazione e, infine, nella cancellazione della società dal registro delle imprese. Nell’ipotesi di un sequestro di prevenzione di quote sociali, che, come meglio si dirà in prosieguo, determina una compressione dei diritti sociali dei soci prevenuti, la prima questione da affrontare concerne l’individuazione della causa di scioglimento. Vale infatti rilevare che la messa in liquidazione disposta dal tribunale non sembri costituire una “autonoma” causa di scioglimento. In primo luogo, da un punto di vista esegetico, l’art. 41, 5° comma, cod. Antimafia prevede che il tribunale «dispone la messa in liquidazione»; tuttavia, “disporre” è cosa ben diversa dal “decidere”, essendo, invece, forse, più accostabile all’“autorizzare”. Ciò che significherebbe che il tribunale possa solo rimuovere un ostacolo a una decisione altrui; nel caso specifico, dei soci o dell’assemblea, a seconda del tipo societario. In secondo luogo, nonostante qualche precedente di segno contrario [16], in dottrina si afferma che la misura preventiva abbia ad oggetto soltanto i beni aziendali e le partecipazioni sociali, ma non la società, intesa quale soggetto di diritto distinto dalle persone dei soci [17] e della quale il tribunale non può disporre. In tal guisa, l’estinzione della società, ancorché priva di beni, parrebbe essere, se non affidata in toto, quantomeno raccordata alle norme societarie del Codice civile. Ciò posto, è ora necessario distinguere il problema nelle società personali e in quelle capitalistiche. Le prime, come ognuno sa, ai sensi dell’art. 2272 c.c. si sciolgono, tra l’altro, «per la volontà di tutti i soci». Ora, occorre capire quale sia il percorso da seguire allorché la totalità – ovvero una parte – delle quote siano soggette al sequestro di prevenzione; il Codice Antimafia, infatti, diversamente da quanto fatto [continua ..]


3. Sequestro penale ed esercizio dei diritti sociali nelle società di capitali. La questione della inderogabilità della procedura di liquidazione

Nelle società di capitali il problema si presenta, invece, più complesso nonché scivoloso. Intanto, se, come dianzi sostenuto, l’estinzione di una società soggetta alla cautela penale resta regolata dalle norme societarie – per quanto compatibili –, lo scioglimento di una società capitalistica impone, come noto, il coinvolgimento dell’as­semblea straordinaria; ciò, ad esempio, per la nomina dei liquidatori, e, in generale, per l’assunzione di tutte le pertinenti e consequenziali decisioni. Ora, benché la tematica dell’esercizio dei diritti sociali relativi alle partecipazioni oggetto di sequestro penale nelle società capitalistiche meriti un più ampio studio, giova compiere qualche riflessione. Ebbene, alla ipotizzabile inattività dell’assemblea dei soci, invero dovuta al sequestro delle quote sociali, si può supplire ricorrendo alla disciplina di cui all’art. 41, 6° comma, cod. Antimafia, il quale stabilisce che, in caso di sequestro di partecipazioni (non necessariamente totalitarie ma) che assicurino le maggioranze previste dall’art. 2359 c.c., l’amministratore giudiziario esercita «i poteri che spettano al socio nei limiti della quota sequestrata». A tal riguardo, nessuno dubita che tali poteri ricomprendano il diritto di partecipazione e voto in assemblea, come del resto risulta de plano dall’art. 2352, 1° comma, c.c. In quest’ambito, il Codice Antimafia attribuisce all’amministratore giudiziario, se del caso previa autorizzazione del giudice delegato, altresì il potere di convocare l’assemblea, di sostituire l’organo amministrativo, nonché di «approvare ogni altra modifica dello statuto utile al perseguimento degli scopi dell’impresa in stato di sequestro». Costui può dunque esercitare i diritti di voto in un’assemblea straordinaria, da egli stesso convocata, e provvedere in luogo dei soci all’adozione delle delibere necessarie per attuare lo scioglimento della società. Certo, quest’interpretazione, se, da un lato, risulta rispettosa della irrilevanza della distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria ai fini del­l’esercizio del voto da parte dell’amministratore giudiziario [40], dall’altro lato, supporrebbe che la decisione di sciogliere la società [continua ..]


4. I fenomeni di cancellazione senza liquidazione nelle società di capitali

Invero, il nostro ordinamento contempla svariati casi in cui, sia pur in diversi ambiti e con diverse finalità, la cancellazione di una società di capitali può esser disposta, per un verso, d’ufficio, e, per altro verso, in assenza di una (compiuta) liquidazione. Vale precisare che, nei suddetti casi che infra si illustreranno, ad esser omesso non è soltanto il procedimento formale di liquidazione, bensì la liquidazione tout court. Il che rappresenta proprio la fattispecie di cui si valuta la fattibilità a proposito dello scioglimento conseguente il sequestro. Se ciò è vero – come è vero –, l’affermazione dianzi prefigurata, per cui la cancellazione di una società di capitali potrebbe essere richiesta unicamente dal liquidatore e disposta soltanto dopo l’approvazione del bilancio finale di liquidazione, si presta a qualche obiezione o, comunque, non è elevabile – oggi – al rango di principio generale nel nostro ordinamento. Anzi, alla luce della crescente numerosità delle fattispecie in cui può aversi estinzione senza (una compiuta) liquidazione, vi è chi intravede una vera e propria “vis expansiva” [81] di tale fenomeno. Ci si potrebbe dunque chiedere se tale espansione possa riguardare, quantomeno de iure condendo, i casi di scioglimento coattivo di imprese societarie sequestrate e confiscate. Uno dei primi interventi normativi in materia di scioglimento senza liquidazione può farsi risalire alla L. 7 maggio 1986, n. 150 che introdusse l’art. 11-bis nella L. 16 dicembre 1977, n. 904. Quest’ultima, come è noto, aveva dettato una disciplina – nelle intenzioni del legislatore – transitoria, inerente la liquidazione e cancellazione delle società di capitali che non avessero adeguato il capitale ai nuovi minimi legali [82]. Sennonché, alla prova dei fatti, tale disciplina non riscosse il successo sperato poiché un gran numero di imprese, discioltesi, non diedero corso alla liquidazione e vennero così a trovarsi in uno stato di “abbandono” [83]. A tale stallo [84] il legislatore tentò di rimediare introducendo il succitato art. 11-bis che sancì per tali società l’omissibilità della fase di liquidazione e la cancellazione della società, nei casi di «inesistenza di [continua ..]


5. Cessazione delle misure di prevenzione vs chiusura del fallimento: prospettive de iure condendo

Se l’argomento della cancellazione senza liquidazione non può scalfire l’indero­gabilità della procedura di liquidazione di una società le cui quote sono soggette a sequestro di prevenzione, occorre ora affrontare la questione da una differente angolazione, ovverosia muovendo dalla natura e dallo scopo di tale sequestro. Volendo sintetizzare al massimo, le misure di prevenzione previste nel Codice Antimafia sono volte, ove possibile, a restituire alla legalità le imprese sane che le organizzazioni criminali avevano configurato nel segno della illegalità. Ciò posto, può essere utile, ai fini del discorso che si intende compiere, un confronto tra il sequestro di prevenzione e la procedura fallimentare. Intanto, la qualificazione di tale sequestro è stata lungamente dibattuta [111]; quale che ne sia la finalità [112], esso rappresenta una misura di prevenzione patrimoniale, avente natura cautelare e provvisoria, che produce l’effetto di sottrarre materialmente e giuridicamente i beni alla disponibilità dell’imprenditore e costituisce il presupposto necessario per l’adozione del provvedimento di confisca. Il vincolo autoritativo produce, quindi, come effetto il c.d. spossessamento dei beni costituenti l’azien­da, i quali devono essere conservati nonché, ove possibile, incrementati di redditività [113] in vista della riconsegna al prevenuto ovvero dell’assegnazione allo Stato, in forza del provvedimento di confisca definitiva. A tal fine, l’amministratore giudiziario svolge una vera e propria gestione conservativa [114], la quale configurerebbe un’ipotesi di esercizio provvisorio analogo a quello disciplinato dall’art. 104 L. Fall. (art. 211 c.c.i.i., oggi) [115]. Con tutta evidenza, lo spossessamento de quo accomuna la procedura fallimentare e le misure di prevenzione in ambito antimafia. Al di là di tale contiguità, le due procedure giudiziali presentano finalità ontologicamente diverse, atteso che mentre le prime sono notoriamente finalizzate alla liquidazione del patrimonio e al soddisfacimento concorsuale dei creditori, le seconde mirano essenzialmente a recidere il legame tra l’impresa sequestrata e l’imprenditore – individuale o collettivo – che la esercita e, tendenzialmente, non hanno carattere liquidativo; di tal che, come si [continua ..]


NOTE